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Il senso della biro_3. Un panno nero alla finestra.

Creato il 11 luglio 2014 da Gianlucaweast @gianlucaweast
Il senso della biro_3. Un panno nero alla finestra.
Si alzi uno e lo dica: che non va bene ammazzare i bambini. Uno a caso. Siamo lì tutti presi a dare un senso alla nostra vita e fatichiamo a trovarlo. Che ci sia un senso nel dire questo? Credo di sì. Non ammazziamo i bambini. Non le loro madri. E i padri? Ammazzabili, questi?
A Gaza non è guerra. La parola è entrata in circolo, come una botta di eroina dentro un reticolo di vene e arterie ammalate. Marce. Non è guerra: è soltanto un esercizio. Meglio: un atto di obbedienza alla versione ufficializzabile e ufficializzata del mondo. Da una parte e dall'altra, voglio essere chiaro. Le statistiche sono fluide e aperte all'imprevedibile: si adeguano. Oggi tanto, domani tanto. Finora, tuttavia, parlano un linguagguo chiaro. L'invito è a consultarle. Non per assolvere o condannare. Per resistere. Sì. C'è, nelle statistiche, l'aria rarefatta delle alture: sono trasparenti. Abbiamo, tutti quanti, un potere enorme. Quello, perlomeno, di dire che non ci stiamo. Dirlo significa scriverlo, anche questo. O urlarlo. O metterlo alla finestra: con un panno nero, ad esempio. Ecco: mettiamo un piccolo e modesto panno nero alla finestra. Lo veda qualcuno. Lo veda chi decide e ha la possibilità di rilasciare dichiarazioni ufficiali. Mettiamo, alla finestra, un piccolo segno di lutto. Lo troviamo il tempo? Ho chiesto che venga esposto, a una finestra del mio studio.
E: cosa possiamo fare d'altro? Qualcuno, oggi, me lo chiedeva. Nulla. Basta un segno.
Un segno è anche una parola.
Mahmoud Darwish e Paul Celan. Da leggere. Difficili, due ossi duri. Poeti.
O kristo, grossi, adesso ci vieni a parlare di poeti?
Un poeta musulmano e un poeta ebreo. Non, però, di quelli che vanno di moda, quelli che finiscono sui giornali e in TV, che strombazzano la celebrazione di sé e basta. Loro due, loro due soltanto. Veri negli abissi che esplorano e nei quali, credete, si incontrano.
Non li troverete nelle librerie che sbadigliano (sbadigliano quasi tutte: entri e ti addormenti), ma potrete sempre chiedere. Chiedere che finiscano, in questi giorni, nelle vetrine. È un atto di resistenza. Non contro la guerra, la guerra è un'altra cosa, questa che vediamo è una vigliaccata: resistenza contro l'idea, invece, che essendo lontani siamo disposti ad accettare qualsiasi speculazione, per quanto sprovveduta e cinica, messa a punto sulla pelle degli altri. Quali essi siano. Da quale parte essi stiano. E sono sempre le donne. E i bambini. E i loro papà. Finora pezzenti e urlanti, con i sandali ai piedi e la faccia non sbarbata. Pieni di sabbia e polvere. A malapena esseri umani. Questo vogliono farci credere, le immagini. Che siano così. In grado, per natura e per nascita, di sopportare il lutto. Nemmeno di provarlo. Fanno figli e li sotterrano. Li mettono al mondo liberi. Liberi di morire. E basta.
Un panno nero, cosa vuoi che sia? Un pezzo di stoffa. Per resistere. Per ricordare i morti di Gaza. E per dire, in modo chiaro, ma chiaro sul serio, che questi morti non troveranno pace in compagnia dei morti dell'altra parte. Quelli che, se il calcolo continua a produrre cifre, ci saranno di sicuro. E che vanno evitati. Leggere Mahmoud Darwish e Paul Celan. Alla ricerca – tanto è estate e c'è tempo – delle profondità della parola e della vita da cui origina, io credo, il pensiero che fa da bussola al nostro desiderio di resistenza.  

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