Richard P. Feynman (1918-1988),
premio Nobel per la fisica nel 1965
Mi sono letto “Il senso delle cose” di Richard P. Feynman, il grande scienziato (premio Nobel per la fisica nel 1965 per i suoi studi sull’elettrodinamica quantistica) morto nel 1988. È un libretto di poco più di 100 pagine, pubblicato da Adelphi (collana “Biblioteca Scientifica” n. 27). È tratto da tre conferenze tenute da Feynman nel 1963 e parla della scienza e del rapporto di questa con le altre discipline ed è assolutamente illuminante su come debba funzionare una mente razionale.
Parte dall’apologia del dubbio, smonta il principio di autorità e rivendica il primato del metodo scientifico come l’unico strumento valido inventato finora dall’uomo per accumulare esperienza e orientarsi nel buio.
La scienza è certa solo di non aver certezze:
«Ciò che oggi chiamiamo “conoscenze scientifiche” è un corpo di affermazioni a diversi livelli di certezza. Alcune sono estremamente incerte, altre quasi sicure, nessuna certa del tutto. Noi scienziati ci siamo abituati, sappiamo che è possibile vivere senza sapere le risposte. Mi sento dire: “Come fai a vivere senza sapere?”. Non capisco cosa intendano. Io vivo sempre senza risposte. È facile. Quello che voglio sapere è come si arriva alla conoscenza.»
Dubitare sempre è l’unico modo per imparare qualcosa:
«Questa libertà di dubitare è fondamentale nella scienza e, credo, in altri campi. C’è voluta una lotta di secoli per conquistarci il diritto al dubbio, all’incertezza: vorrei che non ce ne dimenticassimo e non lasciassimo pian piano cadere la cosa. Come scienziato, conosco il grande pregio di una soddisfacente filosofia dell’ignoranza, e so che una tale filosofia rende possibile il progresso, frutto della libertà di pensiero. E come scienziato sento la responsabilità di proclamare il valore di questa libertà, e di insegnare che il dubbio non deve essere temuto, ma accolto volentieri in quanto possibilità di nuove potenzialità per gli esseri umani. Se non siamo sicuri, e lo sappiamo, abbiamo una chance di migliorare la situazione. Chiedo la stessa libertà per le generazioni future. Nella scienza il dubbio è chiaramente un valore».
Feynman giocoliere (© CalTech)
La scienza non riconosce autorità (e ricordo che a dirlo è uno che diventerà premio Nobel di lì a due anni):
«non c’è un’autorità che decida quale idea sia buona e quale no: non abbiamo più bisogno di verità rivelate. Possiamo consultare il luminare di turno e chiedergli di illustrarci il suo punto di vista, e poi fare gli esperimenti del caso e scoprire se quel che dice è vero oppure no. Se non è vero, peggio per lui: è così che le “autorità” perdono un po’ della loro “autorità”.»
Le idee non hanno padroni:
«Molti si stupiscono che nel mondo scientifico si dia così poca importanza al prestigio o alle motivazioni di chi illustra una certa idea. La si ascolta, e se sembra qualcosa che valga la pena di verificare – nel senso che è un’idea diversa, e non banalmente in contrasto con qualche risultato precedente – allora sì che diventa divertente. Che importa quanto ha studiato quel tizio, o perché vuole essere ascoltato?»
Dunque val la pena indagare qualunque idea purché rivoluzionaria? Beh, non proprio:
«È [...] essenziale che le varie leggi della scienza siano tra loro coerenti. Dato che le osservazioni hanno lo stesso valore per tutti, è inammissibile che due leggi predicano risultati contraddittori. Quindi, la scienza non è affare dei singoli specialisti, ma ha valenza universale. Ho parlato di atomi in fisiologia, poi ne ho parlato in astronomia, elettricità, chimica; dato che gli atomi sono universali, le loro proprietà in tutti questi campi devono essere reciprocamente compatibili. Non si può iniziare una nuova teoria che prescinda dagli atomi come li conosciamo.»
… questo perché il metodo scientifico:
«[...] si basa sul principio che l’osservazione è il giudice ultimo di come stanno le cose. Quando si capisce che solo l’osservazione può dimostrare la verità di un’ipotesi, ogni altro aspetto e caratteristica della scienza diventa immediatamente comprensibile. In questo contesto “dimostrare” significa “verificare”, o “controllare” [...]»
Dunque non basta che un’ipotesi spieghi una singola osservazione.
«Molti credono alle cose più strane per aver sentito storie in cui si parla di un singolo caso, invece di un gran numero di casi come sarebbe necessario. Si riferiscono episodi per dimostrare correlazioni tra le cose più disparate. È accaduto per davvero, se lo ricordano tutti, e “come te lo spieghi?” ti chiedono…»
Per supportare un’ipotesi di osservazioni ne occorrono molte, e devono essere giustificate anche tutte quelle fatte da altri in precedenza. In fisica, per esempio,
«[...] si è accumulata una tale massa di osservazioni che è quasi impossibile trovare un’idea originale, diversa da tutto ciò che è stato pensato finora, e allo stesso tempo in accordo con tutte le osservazioni fatte.»
Una mente aperta coltiva il dubbio ma questo non implica considerare che ciò che è possibile sia necessariamente probabile:
«Mi è capitato di parlare di dischi volanti in spiaggia con delle persone, e la cosa che ho trovato interessante è questa: continuano a dire che è possibile. Ed è vero: è possibile. Ma il problema – ed è questo che la gente si ostina a non capire – è un altro […]: non si tratta di decidere cosa sia teoricamente possibile, ma di cercare di capire cosa è probabile, che cosa sta succedendo. Non serve dimostrare ogni volta che non si può essere sicuri al cento per cento che lo strano oggetto lassù non sia un disco volante. Quello che dobbiamo fare è cercare di prevedere se dovremo o no preoccuparci di un’invasione marziana, se quello è un disco volante, se è ragionevole che lo sia. E tutto questo in base ai dati dell’esperienza, una cosa ben più impegnativa che dire semplicemente se è possibile o meno. In genere la gente non ha una percezione chiara del numero di cose possibili. E quindi non ha chiaro nemmeno il numero di cose possibili che tuttavia non stanno accadendo, né il fatto che è impossibile che tutte le cose possibili accadano. Ce n’è una tale varietà che molto probabilmente la stragrande maggioranza delle cose che vi vengono in mente come possibili sono fasulle.»
Trovo poi semplicemente geniale (e spassosissimo) il seguente passaggio:
Una volta c’erano gli stregoni. Lo stregone dice di saper curare le malattie: ci sono spiriti dentro al corpo del malato che premono per uscire, bisogna aiutarli soffiandoli via, cose di questo genere. Mettetevi addosso una pelle di serpente e prendete del chinino estratto dalla corteccia di un albero. Il chinino funziona. Non per il motivo che crede lo stregone: la sua teoria non sta in piedi. Però funziona, e se io sono malato, e faccio parte di quella tribù, vado dallo stregone, perché ne sa più di chiunque altro. Però continuerò a dirgli che in fondo lui non sa cosa sta facendo, e che arriverà un giorno in cui l’uomo indagherà liberamente su queste cose e farà piazza pulita di tutta questa messa in scena, e ci cureremo molto meglio.
E chi sono oggi gli stregoni? Psicoanalisti e psichiatri, ovviamente. Se guardate a quante teorie complicate sono riusciti a tirar fuori in un tempo infinitesimo, e fate il confronto con qualunque altra scienza, quanto è lungo il processo che conduce a mettere in fila un’idea nuova dietro l’altra, se considerate tutto questo gran castello, e le pulsioni, le inibizioni, l’Io e l’Es, e le forze, le tensioni, vi renderete conto che non può essere tutto vero. Sarebbe troppo perché una sola mente (o poche menti) ci potesse arrivare in così breve tempo… Tuttavia, vi ricordo che se fate parte della tribù non c’è nessun altro a cui rivolgersi, c’è solo lo stregone.
Ce n’è anche sulla religione, la politica, la filosofia, su cosa motiva uno scienziato, sull’amore per sua moglie, sull’etica e persino sui fautori delle teorie del complotto, ma non voglio togliervi il gusto di leggerlo da soli. Spero di avervi incuriosito: non male il sig. Feynman, vero? Regalatevelo questo libro, ne vale la pena!