Mario Sossi nella prigione del popolo
“Lo prendemmo la sera del 18 aprile 1974, verso le otto. Lui non oppose resistenza e i compagni lo caricarono senza troppa fatica dal portellone posteriore. L’unico contrattempo fu la portinaia. Cercò di intervenire correndo in mezzo alla strada davanti al furgone, ma un compagno l’afferrò per un braccio e la fece rientrare con calma in casa, dicendole di stare tranquilla, non sarebbe successo niente di grave. Sossi, appena fu sul furgone, domandò chi eravamo, cosa volevamo, gli fu risposto: “Siamo le Brigate rosse”. Non chiese più nulla, la nostra dichiarazione di identità lo aveva spaventato.” Chi parla è Alberto Franceschini, ideologo e leader delle Brigate Rosse, all’epoca dei fatti ventisettenne, essendo nato il 26 ottobre 1947 a Reggio Emilia. Il rapito è Mario Sossi, 42 anni, di Imperia, sostituto procuratore della Repubblica presso la Corte di Genova, che nel 1973 è stato PM nel processo al Gruppo XXII Ottobre, imputato per il rapimento Gadolla e dell’ omicidio di Alessandro Floris, un commesso ucciso nel corso di una rapina, immortalata da un fotografo dilettante. L’operazione che porterà al sequestro del giudice Sossi prende il nome in codice di Girasole, e scatta nel momento esatto in cui Mario Sossi stà per rientrare a casa, in via Forte dei Giuliani 2, zona Albaro, a Genova.
Le Polaroid diffuse dai brigatisti: si noti il volto tumefatto di Sossi
Il giudice si era attardato con un collega e aveva preso in ritardo l’autobus n.42. Ad attenderlo un nucleo forte di venti brigatisti, equipaggiati e divisi su sette auto e un furgoncino, sul quale il sequestrato salirà bendato. Sossi viene colpito violentemente, caricato a forza sul furgone e ammanettato. Un brigatista gli dice :” Le hai cercate le Brigate Rosse? Adesso le hai trovate”.
Renato Curcio
Le auto ripartono e si dividono. Franceschini carica il giudice su una A112, Margherita Cagol (la compagna Mara), moglie di Renato Curcio lo segue su di una 128. Ma ad un tratto incappano in un posto di blocco: Franceschini lo forza, mentre Mara Cagol che sopraggiunge si ferma all’alt. I carabinieri sparano verso la A112, che miracolosamente sfugge ai proiettili, e si dirige verso le colline. Avviene un episodio tragicomico nella sua drammaticità: Mara Cagol, che è riuscita a ripartire senza problemi dal blocco stradale segue la 112 di Franceschini. Il quale, scambiandola per una pattuglia dei carabinieri, esplode una raffica di Mab contro l’auto. La donna, urlando e bestemmiando, scende dall’auto: una raffica di mitra l’ha sfiorata, due proiettili si sono conficcati nel sedile. La cartella di Sossi, per uno strano scherzo del destino frena la loro corsa.
I componenti della XXII ottobre, dei quali le Brigate Rosse chiesero la liberazione
Sossi è lucido e silenzioso. Viene scaricato dall’auto e rinchiuso in quella che,pomposamente, i brigatisti chiamano “prigione del popolo”. La stanza è di circa 6 metri, insonorizzata con pannelli di polistirolo; ci sono solamente un tavolino, una sedia richiudibile una branda.
Su di una parete campeggia un drappo con la scritta ” Portare l’attacco al cuore dello stato”. Con questo sfondo, i brigatisti scatteranno la famosa foto inviata ai giornali, nella quale il giudice Sossi appare con il volto tumefatto. Iniziano gli interrogatori di Sossi. A condurli è Franceschini, con la collaborazione di Pietro Bertolazzi, definito da Sossi ” un gregario rozzo e limitato, molto differente da Franceschini,più colto”. Nel frattempo le indagini sull’identificazione dei terroristi segnano il passo. Il capo della polizia, Zanda Loy, ammette di non aver nessun indizio né sugli autori né sul luogo dove è rinchiuso il giudice. Nella prigione del popolo inizia un processo sommario a Sossi. Gli si imputa il suo ruolo nel processo celebrato a carico di Mario Rossi, il suo ruolo di servitore dello stato, l’essere parte ” del cuore stesso dello stato”. Il giudice chiede ripetutamente di poter comunicare con la moglie e con le due figlie, mentre intorno al rifugio si sentono i rumori prodotti
Nelle foto: la drammatica sequenza dell’omicidio Floris, per il quale la XXII ottobre venne processata; Mario Sossi era il Pubblico Ministero
da un elicottero, impiegato nelle operazioni di ricerca. Ricorda Franceschini:”Prima del sequestro avevamo discusso con i compagni delle “forze regolari”, un programma di massima che prevedeva la richiesta di scambio tra Sossi e i compagni della XXII ottobre e la eliminazione fisica del prigioniero se l’obiettivo non fosse stato raggiunto.
Il presupposto di questa nostra linea era la certezza che uno come Sossi, che avevamo visto spietato nelle sue vesti di pubblico ministero non avrebbe mai collaborato. Quando chiese di scrivere quel messaggio capii invece che non era un duro e che il sequestro stava prendendo una strada diversa da quella che avevamo previsto. Mara, il Nero e io decidemmo di accogliere la sua richiesta, di fargli scrivere il biglietto. Ma prima di recapitarlo ritenemmo giusto discuterne almeno con Renato e Mario, perché decidere di consegnare quel messaggio significava mutare radicalmente la gestione dell’azione. Toccò a Mara andare alla cascina Spiotta una nostra base dove era stato stabilito che Mario e Renato sarebbero restati durante tutta la durata del sequestro, perché potessero essere facilmente rintracciati in caso ci fossero stati problemi urgenti da discutere”. Si riunisce la direzione strategica delle Brigate Rosse, che deve deliberare sulla contropartita da chiedere allo stato per la liberazione del giudice,oltre che per esaminare la sua richiesta. L’intesa è raggiunta sulla richiesta di liberazione di Mario Rossi e del gruppo XXII ottobre. L’alternativa ad una risposta negativa da parte dello stato è l’eliminazione fisica dell’ostaggio. Ma si verifica una spaccatura all’interno delle BR sul messaggio che Sossi vorrebbe inoltrare all’esterno:Franceschini è d’accordo, Curcio e Moretti no.
Nella tempestosa seduta notturna, Franceschini di fatto esautora tutti e decide di portare avanti il sequestro a modo suo. A Mario Moretti e a Renato Curcio non resta altro da fare che accettare il fatto compiuto. Da questo momento a dirigere il sequestro ci saranno Franceschini,la Cagol e Bertolazzi. L’interrogatorio di Sossi continua, anche se il magistrato terrà a dire, nelle sue memorie, che in pratica fù più una constatazione di fatti avvenuti che una vera e propria acquisizione di notizie. Nella prigione la vita è dura: alla costrizione fisica e psicologica si aggiunge l’impossibilità, da parte di Sossi, di far sapere all’esterno notizie certe sul suo stato di salute.
Nella foto: la patente di Margherita Cagol, moglie di Curcio
Sossi teme anche per la propria vita: sa delle intenzioni dei suoi sequestratori, teme la risposta dello stato. Le Brigate Rosse trasmettono il loro ultimatum:libertà per Rossi e la XXII ottobre o Sossi verrà giustiziato.
Nel frattempo scoppia una rivolta nel carcere di Alessandria, a pochi chilometri dalla prigione,sedata dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa nel sangue.Muoiono sette tra detenuti e ostaggi. Ad agire sono stati i gruppi speciali di recente costituzione. Sembra una prova generale per un intervento armato contro la prigione dove è rinchiuso il giudice.
Sossi viene informato e ricorda:” I miei carcerieri si preoccuparono di informarmi immediatamente dello spiegamento di forze conseguente al mio sequestro, ma a queste informazioni, che certamente non ero in grado di controllare, in un primo tempo, salvo poi poterle verificare attraverso ritagli di giornale che saltuariamente mi venivano forniti, si aggiungevano considerazioni e battute di Franceschini, soprattutto, ma anche di Bertolazzi, come: “Ma qui facçiamo la fine dei topi”, ” Cercano il morto”, ” C’è la volontà di fare un’irruzione e poi di uccidere te e noi”. Franceschini e Curcio cercano intanto un posto dove far giungere i prigionieri dopo la liberazione: ma Cuba prima,Algeria e Corea poi,negano l’asilo. La corte d’appello di Genova decide il rilascio dei prigionieri:sembra che la strategia delle BR funzioni. Ma il Procuratore generale della Repubblica Francesco Coco,tra l’altro amico personale di Sossi si oppone fermamente, impugna la sentenza e blocca tutto. In poche ore il quadro è cambiato del tutto e le BR sono davanti ad un bivio: o uccidono il prigioniero oppure lo liberano senza un’apprezzabile contropartita.
Sossi è libero
Racconta Franceschini:” Poteva essere l’inizio della fine ma non stemmo al gioco: cercammo di sfruttare al massimo i punti che avevamo segnato a nostro favore liberando ugualmente Sossi, malgrado avessimo minacciato in modo esplicito la sua uccisione se non fossero stati liberati i nostri compagni. Avevamo parlato tra noi della sua eventuale morte, ma senza mai fare un piano preciso, decidere chi e come doveva farlo. La decisione che sarei stato io a sparargli addosso era stata soltanto mia e quando l’avevo comunicata al prigioniero forse l’avevo fatto più per darmi forza che altro. Anche se portavamo sempre la pistola in tasca e avevamo già fatto molte azioni armate non avevamo mai discusso di un’uccisione a freddo, dell’assassinio di un ostaggio.
La conferenza stampa dopo la liberazione
Prima di avere Sossi con noi dicevamo che, se le cose non fossero andate nel modo giusto, lo avremmo “giustiziato”. Ma usavamo questa parola come fosse scritta su un libro, in modo impersonale, riferendo di un atto formale come è, ai fini della storia, una fucilazione. Vivendo con lui, provvedendo ai suoi bisogni elementari, vedendolo piangere, non ci commuovevamo certo, ma la frase “lo giustiziamo” sparì dai nostri discorsi”. Franceschini, in accordo con la Cagol e Bertolazzi, decide di liberarlo, perché così facendo avrebbero “messo in difficoltà lo stato,esasperandone le contraddizioni”. La notizia viene comunicata a Sossi, che viene sbarbato e rifocillato. Gli vengono forniti documenti falsi, applicati due cerotti sugli occhi, per impedirgli di vedere il percorso e caricato in auto. Dopo un lungo giro viene lasciato su una panchina di un parco. Franceschini congeda il giudice con una frase ironica:”vai Mario,metti giudizio,adesso”.
Alberto Franceschini, la mente del sequestro
Il giudice, appena libero, non chiama la polizia, ma si reca in taxi alla stazione. In treno si fa riconoscere da un viaggiatore. Il perché lo racconta lui a Sergio Zavoli,durante la trasmissione La notte della Repubblica: ” Mi rendevo conto,vista la mia decisione di non fermarmi a Milano, che a meno di non venire riconosciuto da qualcuno, ma non era facile riconoscermi con il berretto, gli occhiali scuri, la barba incolta e così via, difficilmente sarei stato creduto e avrei conservato la freddezza di non chiedere soccorso, di non rivelare la mia identità, di non consegnarmi anche al primo viandante, per dire: ecco, sono qua, avvisate mia moglie, avvisate i miei figli, sono stato liberato”.Il sequestro si chiude felicemente con il ritorno del giudice a casa. Sossi dopo la liberazione ebbe un incontro con l’amico Francesco Coco,nel corso del quale vennero chiariti gli equivoci che si erano creati durante la detenzione. Il procuratore capo spiegò al giudice Sossi le ragioni della sua ferma opposizione alla liberazione della XXII ottobre. Franceschini verrà arrestato poco dopo,insieme a Renato Curcio;Margherita Cagol cadrà durante un conflitto a fuoco in seguito ad un’operazione dei carabinieri volta alla liberazione dell’industriale Gancia,sequestrato dalle Br ; Francesco Coco verrà assassinato dalle Brigate Rosse in un agguato con il suo autista.