Gli stereotipi e il ruolo della fiducia
GLI hanno insegnato a tenersi tutto dentro. Non si fa. Non si mostra. Soprattutto non si dice. Gli hanno spiegato che per essere un “vero uomo” deve sempre mostrarsi sicuro di sé e forte. E che le proprie debolezze e le proprie fragilità non le deve confidare proprio a nessuno. Certo, quando le cose vanno veramente male, si può scherzare con gli amici. Al limite, si può anche domandare un consiglio. Tanto tra uomini ci si capisce…
Ma andarne a parlare con una donna, è tutta un’altra cosa! Come si fa a dirle che ci si sveglia la notte strangolati dall’angoscia, che la mattina si fa fatica ad alzarsi per andare al lavoro, che il senso della vita sfugge, che quello che si è vissuto da bambini continua a tormentarci? Eppure gli uomini che stanno male sono tanti. E sono sempre più numerose le donne che decidono di diventare terapeute. Che fare allora? Abbandonare gli atavici pregiudizi sulla virilità e sull’inferiorità delle donne e cercare un aiuto femminile, o rinunciare ancora prima di aver provato, perché di una donna non ci si può fidare?
È difficile cominciare una psicoterapia. Per chiunque. Anche quando si sta veramente male. Perché, nonostante tutto, c’è sempre la tentazione di credere che ce la si può fare da soli. Che non serve a nulla andare a raccontare i fatti propri a qualcun altro e che, con uno sforzo di volontà, ci si deve poter rimettere in piedi.
Non è facile ammettere che qualcosa possa un giorno sfuggire al proprio controllo e che, talvolta, ci sia bisogno di rimettersi completamente in discussione. Tanto più che, durante una psicoterapia, tutto può accadere. Soprattutto rendersi conto che si è imboccata una strada cieca e che ci si è incastrati, fin da piccoli, in dinamiche familiari complesse e tortuose. È allora che interviene la figura dell’analista, angelo tutelare dei propri segreti più reconditi, che dovrebbe poterci aiutare a ricominciare tutto da capo. Ma come fare se non ci si fida?
Quando si comincia una psicoterapia, spesso si arriva con una serie infinita di “perché” cui si vorrebbe avere una risposta il più velocemente possibile. Solo che, strada facendo, ci si rende conto che alcune risposte non arriveranno mai. E che il ruolo del terapeuta è soprattutto quello di prenderci per la mano e accompagnarci in un lungo viaggio all’interno di noi stessi.
È per questo che ci si deve poter fidare della persona cui si affidano le proprie angosce, i propri dubbi, i propri tormenti. Ed è per questo che è tanto difficile “guarire”. Perché quella che quasi tutti chiamano guarigione, in realtà, è un cambiamento talvolta impercettibile del proprio modo di osservare il mondo. Anche se è proprio questo cambiamento che può poi aiutarci a non riprodurre sempre gli stessi errori.
Allora è inutile dire che il sesso del terapeuta o dell’analista non conta. Non perché le competenze o le capacità abbiano un sesso, ma perché quando si comincia una psicoterapia si proiettano sull’analista tutta una serie di fantasmi e di aspettative che dipendono necessariamente anche dal sesso di colui o di colei con cui si parla. È il famoso gioco del transfert e del contro-transfert.
Quando nella relazione analitica “accade” qualcosa che va oltre la semplice comunicazione razionale. Quando ci si rende conto che è proprio perché si ha fiducia nella persona che ci sta di fronte che ci lascia andare, si capiscono le dinamiche ingarbugliate da cui non si riesce ad uscire da soli e si cerca di cambiare.
Non esistono regole universalmente valide. Non è vero che per una donna sia sempre meglio una terapeuta e che per uomo, invece, sarebbe meglio un altro uomo. Tutto dipende da quello che si vuole “riparare” o anche semplicemente “capire”. Certo, bisognerebbe poter avere la scelta. Ed è un peccato che siamo sempre meno gli uomini che decidano di fare i terapeuti.
Ma è assurdo credere che una terapeuta non vada bene per uomo, solo perché si tratta di una donna. Pensarlo, significa solo essere prigionieri degli stereotipi. Quegli stessi stereotipi che talvolta sono all’origine del malessere che si cerca di sormontare. Quegli stessi stereotipi che troppo a lungo hanno impedito agli uomini di riconoscere le proprie debolezze, di domandare un aiuto, e eventualmente di imparare a stare meglio con se stessi. Come chiunque. Visto che ognuno di noi, nella vita, deve prima o poi fare i conti con la propria interiorità, ammettere di non essere onnipotente e accettare di convivere con le proprie fragilità.
di Michela Marzano
da: http://www.lavocedifiore.org
Commento del Dott. Zambello
Scrive Fachinelli: «Al momento di diventare sciamani, si dice, gli uomini cambiano sesso. È così posta in rilievo la profondità del mutamento necessario. Il femminile come atteggiamento recettivo non abolisce però il maschile, gli propone un mutamento parallelo» (E. Fachinelli, La mente estatica, 1989).
Nella mia esperienza, la vera variabile ai fini di una buona pasicoanalisi è la formazione del terapeuta, la sua capacità di utilizzare le due parti maschili e femminili per capire il transfert e gestire il proprio contro-transfert. Il resto è l’ Effetto Alone di Thorndike, cioè la tendenza preconscia ad associare ad una qualità che noi riteniamo positiva, altri aspetti positivi privi di reali correlazioni con quella qualità, come la simpatia, l’intelligenza, la competenza o l’affidabilità.