di Antonio Romagnoli
In un intreccio sterminato di sottotesti e chiavi di lettura, è ovvio che un’opera come “The lord of the rings” presenti difficoltà notevoli nell’ essere decifrata, tanto quanto ne presenti nella fruizione dell’analisi stessa. In questa sede tenteremo di tracciare alcune delle interpretazioni estrapolabili dalla visione del colossal diretto da Peter Jackson.
IL LAVORO FILOLOGICO DA TOLKIEN A PETER JACKSON
Per prepararsi alla decodifica del film è impensabile non far riferimento al passaggio, faticoso e per nulla scontato, fatto dall’opera letteraria a quella cinematografica. In primo luogo, ovviamente, è fondamentale sottolineare la scrematura del romanzo fatta dagli sceneggiatori (pienamente riuscita col montaggio delle “extended version”, meno con le versioni uscite in sala) senza che, tuttavia, faccia perdere sullo schermo la densità simbolica dell’opera a cui si ispira. Altra nota importante è la decisione di dividere tutto in tre film, decisione presa – fortunatamente – dopo l’idea, un po’ campata per aria, di dividere l’originale trilogia in soltanto due lungometraggi. Bisogna altresì notare come il passaggio filologico, in tal caso, vada a combinarsi con un’operazione produttiva tanto rischiosa quanto riuscitissima, che vedeva alla regia tale Peter Jackson- che fino ad allora aveva diretto solo alcuni film splatter low budget (eccezion fatta per “Creature del cielo” ed il mocumentary “Forgotten silver”) -; oltre ad intraprendere la saggia scelta di girare e montare le tre parti contemporaneamente, Jackson dimostrò non solo di essere all’altezza del progetto ma, grazie alle innovazioni tecnologiche portate avanti dalla sua casa di produzione, che i tempi erano maturi per compiere un’operazione così complicata, non solo tecnicamente.
CRITICHE AL MONDO OCCIDENTALE ED AL MONDO ORIENTALE
Bisogna dire – come accennavamo in apertura – che “The lord of the rings” nasconde, dietro l’apparenza di magnificente saga fantasy, dei lucidissimi ragionamenti , in primis su quelli che potremmo definire “i due mondi”. Dapprima alle forze del male (nel caso specifico incarnate dalla figura di Saruman) vengono attribuite due “colpe”: l’invenzione della polvere da sparo (artificio proveniente dalla Cina) in occasione della preparazione, da parte di Isengard, alla battaglia al fosso di Helm; secondariamente, durante la battaglia in questione, l’utilizzo della polvere stessa (utilizzata per aprire una breccia nelle mura) tramite un attacco kamikaze, la cui figura nasce durante la seconda guerra mondiale tra gli aeronauti del “Sol levante”, per poi estendersi come pratica usuale tra i fondamentalisti islamici. Se la critica al mondo orientale è dunque ben evidente in questi due esempi, quella al mondo occidentale è più celata e al contempo più costante. Innanzitutto il parallelo uomo – potere, che è anche il principale movente pre -storico della narrazione (ci riferiamo ovviamente alla figura di Isildur, che non distrugge l’anello quando ne ha occasione). In Tolkien – e irrimediabilmente in Jackson – la figura dell’uomo saggio non può ammettere né può identificarsi nel potere, e ce ne dà prova tramite il “gran rifiuto” a cui è costretto Gandalf nel momento in cui Frodo vorrebbe affidargli “l’unico”. Altra sfumatura è innegabilmente rintracciabile nella critica ai totalitarismi occidentali: portiamo l’esempio di Gandalf che tuona a Saruman le seguenti parole: “Esiste un solo signore dell’anello. Solo uno può piegarlo alla sua volontà. Ed egli non divide il potere”. La medesima critica è riscontrabile nello stesso Saruman, che con focosità retorica spinge alcuni campagnoli a fare il suo gioco; puntando lo stregone sulla rabbia di quest’ultimi, notiamo come sia inevitabile fare un parallelo con le modalità d’azione e di propaganda dei primi fasci di combattimento (e, in un’eccezionale eccesso di bontà, facciamo finta che il paragone con i cosiddetti “grillini” sia forzato e fuori contesto). Ultimo attacco all’occidente – e, non a caso, all’Inghilterra in particolare – viene portato avanti in rifermento alle rivoluzioni industriali e, con lungimiranza al limite della chiaroveggenza, alla rivoluzione tecnocratica tutt’ora in piena evoluzione dinamica; ancora una volta è Saruman ad esserne portavoce: “ Il vecchio mondo brucerà tra le fiamme dell’industria. Le foreste cadranno. Un nuovo ordine sorgerà. Guideremo la macchina della guerra con la spada, la lancia e il pugno di ferro degli orchi. Dobbiamo solo rimuovere coloro che si oppongono a noi”. In pratica ci troviamo di fronte al grande paradosso del ‘900 – che ancora fatichiamo a scrollarci di dosso – dove l’uomo va avanti, inesorabilmente, senza se stesso.
PAGANESIMO E CRISTIANESIMO
L'indiscutibilmente preziosa conoscenza, da parte dello scrittore, del mondo celtico/pagano – su cui Tolkien ha inventato e costruito l’intero immaginario che gravita dentro ed attorno a “The lord of the rings” – nella costruzione filmica va a modellare l’intera messa in scena, contrastando – ancor più che nel romanzo – con l’intero sottotesto cristiano che l’autore aveva abilmente e fittamente intessuto all’interno della propria opera. Andando per ordine, gli esempi che avallano questa considerazione sono innumerevoli; il primo -escludendo la simbologia numerica degli anelli donati ad elfi, nani ed uomini – è il dialogo che avviene tra Gandalf e Frodo all’interno delle miniere di Moria:
“F: ..C’è qualcosa laggiù!
G: E’ Gollum.
F: Gollum?
G: Sono tre giorni che ci segue.
F: E’ fuggito dai sotterranei di Barad-dur?
G: Fuggito, o lasciato andare. Lui odia e ama l’anello, proprio come odia e ama se stesso, non si libererà mai del bisogno di averlo.
F: Che peccato che Bilbo non l’abbia ucciso quando poteva.
G: Peccato? È stata la pena che gli ha fermato la mano. Molti di quelli che vivono meritano la morte e molti di quelli che muoiono meritano la vita. Tu sei in grado di valutare Frodo? Non essere troppo ansioso di elargire morte e giudizi. Anche i più saggi non conoscono tutti gli esiti. Il mio cuore mi dice che Gollum ha ancora una parte da recitare nel bene o nel male, prima che la storia finisca. La pietà di Bilbo può decidere il destino di molti.
F: Vorrei che l’anello non fosse mai venuto da me. Vorrei che non fosse accaduto nulla.
G: Vale per tutti quelli che vivono in tempi come questi ma non spetta a loro decidere. Possiamo soltanto decidere cosa fare con il tempo che ci viene concesso. Ci sono altre forze che agiscono in questo mondo Frodo apparte la volontà del male. Bilbo era destinato a trovare l’anello. Nel qual caso anche tu eri destinato ad averlo, e questo è un pensiero Incoraggiante..”.
Va notato, in questo dialogo, come il sentimento di “pietas” cristiana vada ad integrarsi perfettamente col pensiero, in letteratura tipicamente manzoniano, della Provvidenza, che pervade dunque l’intera opera. Successivamente Gandalf incarnerà il sacrificio e quindi la resurrezione, tornando sotto le vesti di Gandalf il bianco. Altro scambio di battute, anch’esso d’ispirazione cristiana, avviene tra Gandalf e Pipino, durante la battaglia di Minas Tirith:
“PIPINO: Non credevo sarebbe finita così.
GANDALF: Finita? No, il viaggio non finisce qui. La morte é soltanto un’altra via. Dovremo prenderla tutti. La grande cortina di pioggia di questo mondo si apre e tutto si trasforma in vetro argentato. E poi lo vedi.
PIPINO: Cosa, Gandalf? Vedi cosa?
GANDALF: Bianche sponde, e al di là di queste, un verde paesaggio sotto una lesta aurora.
PIPINO: Beh, non é così male.
GANDALF: No. No, non lo è”.
Ovviamente in tal caso si allude all’al di là, ed alla vita terrena come fase di passaggio. Ma lo stampo cristiano dell’opera prende un risvolto interessante anche nelle forze del male che, in quanto dotate di parola e quindi di coscienza – ed il concetto è definitivamente esplicato nella scena della bocca di Sauron, inspiegabilmente presente soltanto nella versione estesa de “The return of the king” – sono intese non come male assoluto ed inestinguibile, ma male fondato su una scelta morale, proprio in quanto dotato della facoltà di parola. A rifinire, deliziosamente, l’interpretazione cristiana di “The lord of the ring”, c’è un certo citazionismo dantesco, a partire dalla struttura in tre film (come quella del romanzo), per poi arrivare ad Arwen, la donna (in realtà appartenente alla razza degli elfi) angelicata – nel film interpretata dalla splendida Liv Tyler – che rinuncia all’immortalità del corpo per avere la possibilità di amare, unica via, quindi, per l’immortalità dell’anima-.
Abbiamo visto come in “The lord of the rings” le interpretazioni siano molteplici e mutevoli, e come lo scontro tra bene e male si vada arzigogolando in analisi storiche, sociali e filosofiche, per terminare con una sintesi – d’ottimismo poetico leopardiano – in cui il bene, in maniera squisitamente platonica, si fonde e si confonde nella bellezza.
Antonio Romagnoli
Magazine Cinema
Il Signore degli Anelli - sottostesti e chiavi di lettura
Creato il 05 settembre 2014 da VeripaccheriPossono interessarti anche questi articoli :
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