Mia moglie dice che sono un po’ “sopra le righe”.
Può darsi, questo periodo mi ha provato piuttosto duramente e non è facile per uno come me passare dal pianto al riso, o dalla tristezza alla gioia, come schiacciare un interruttore. Non so se è così anche per il resto del mondo; per me il mondo sono i miei figli, la mia famiglia, mia moglie e ora, anche un cane, l’ultima novità di questo periodo così concitato e confuso.
Il contratto con Jean-Cul - l’editore francese - almeno fino a dicembre è stato firmato, il sigaro che tanto ha aspettato nell’humidor, è stato fumato proprio oggi, ma la paura non è ancora svanita.
Non so nemmeno io come mi sento; ogni tanto mi prende ancora il groppo allo stomaco e, specialmente la notte, ho ancora qualche piccolo attacco di panico. Mi sembra ancora incredibile la fortuna che ci è capitata così improvvisamente, non riesco a capacitarmi, non riesco a rilassarmi, non riesco a gioire come dovrei.
Questa mattina, mentre andavo a comprare il giornale, sono passato sotto alla finestra della casa in cui, più di trentacinque anni fa, abitavano due fratelli che conoscevo di vista. Il più piccolo - più o meno mio coetaneo - era strano, manesco, incomprensibile anche per uno come me, cresciuto in quella specie di far west che era la periferia milanese a ridosso di Sesto San Giovanni. Ogni tanto però era d’obbligo parlarci, o almeno scambiarci due parole per non farselo nemico. Passando sotto quelle finestre, che oggi sono occupate da chissà chi, mi è tornato in mente di quando mi fermò proprio mentre passavo lì sotto, chiedendomi, con un fare tra il minaccioso e l’amichevole, se io c’avevo lo spiuting. Che potevo dire se non che non sapessi di cosa stava parlando? Lui rispose con un tono leggermente spazientito: “Lo spiuting! Non sai cos’è lo spiuting? - così, come se fosse la cosa più naturale del mondo, ha sputato sul marciapiede mezzo litro di saliva rossastra e schiumosa. “Vedi? È questo lo spiuting. C’è chi lo sa fare e chi no. Tu lo sai fare?”.
“Beh - ho risposto - lo so fare anch’io, ma il mio non è colorato. Tu come fai?”.
“Eh, bisogna saperlo fare, e poi c’è il segreto. Devi ciucciare un ghiacciolo, così quando sputi, la saliva ha lo stesso colore. Allora, tu ce l’hai lo spiuting?”.
Questa conversazione mi era sembrata così scema e, al contempo, così surreale, che l’unica cosa che mi premeva in quel momento era togliermi di torno nel modo più veloce e dignitoso possibile. Non ricordo esattamente cosa dissi; forse qualcosa come: “Ah sì, ho capito, voglio provarci anch’io”.
Un ricordo stupido, ne convengo, ma non posso farci niente. È un periodo in cui, come con le madeleine per Proust, basta un niente per far riaffiorare alla memoria cose stupide e affogate in qualche angolo del cervello da chissà quanto tempo. Si dice che la nostra mente operi una selezione dei ricordi che vanno conservati rispetto a quelli che invece sono destinati all'oblio, perché, come in un hard disk, lo spazio è quel che è, e non è possibile conservare tutto quanto. Ma allora, cos’ha di così importante un episodio apparentemente futile come questo?
Forse ha ragione mia moglie, sono sopra le righe e il mio cervello avrebbe bisogno di un buon antivirus, o almeno una deframmentazione del disco. In effetti forse non riesce a comprendere come mai, quando ero ancora nel pieno di ciò che definivo inferno, ero padrone del mio tempo, sperimentavo nuove cose, passavo la giornata con la mia famiglia, mentre, ora che dovrei vivere finalmente nel paradiso del lavoro, non ho più tempo per me stesso o chiunque altro. Non è che ho commesso un’inversione dei termini? Non è che, come nel Il Signore del Male di John Carpenter, quello che sembrava il bene, in realtà non era altro che il male travestito da agnello?