È COME AVESSI DIFFICOLTÀ AD ACCORDARE IL MIO STRUMENTO: SE MI TENGO INDIETRO NON NUOCCIO. MA NON VENGO CAGATA. SE MI SPORGO, IRRITO. TIPO ORTICA. STA A VEDERE CHE I (POCHI) CHE MI SOPPORTANO, HANNO CAPITO CHE BASTA CAREZZARMI SOTTO LE FOGLIE.
All’Ikea fanno le polpette vegetariane. Polpette di carne senza carne, insomma. La pubblicità recita circa così. Anch’io so fare la pasta senza pasta: di solito cucino la pasta per gli altri, e a me lascio il piatto vuoto. La preferisco così.
Comunque: pare sia la rivoluzione e l’orgoglio del menu svedese degli ultimi tempi, tanto che il packed lunch per i piccoli contiene, per l’appunto, polpette vegetariane, o pizza. Puoi scegliere.
In ogni caso un bambino che voglia fare il bambino (avere cioè il suo scatolotto delle meraviglie con tanto di prezioso memory degli animali salvati al macello, evidentemente), non ha diritto a carne. Che sia carne.
Io invece, quarantaduenne carnivora convinta, e convinta anche di aver preso il pacchetto baby alle polpette, approccio il ragazzo dei “caldi” – insomma dei piatti cotti – specificando “polpette NON vegetariane.”
E, siccome il maiuscolo non è vocalizzato a sufficienza, ripeto ai suoi occhi persi un paio di volte, scandendo ed enfatizzando il NON a dovere. Ché di gruppo sanguigno faccio zero – quelli generosi che lo danno a tutti e lo prendono solo dai soci di “zero” – e discendo direttamente da antenati cacciatori per cui nel rispetto della mia fisiologia la carne è vivamente consigliata. E, in ogni caso, il vegetariano mi sa di schizzinoso (non ti offendere).
Ricevute le mie precisazioni come un sasso lanciato da una fionda, il ragazzo già scuro di carnagione si fa ancora più cupo e alquanto incazzoso: “Eh! Ma che modi!”
Scandaglia il panorama alle mie spalle in attesa del prossimo. A nulla vale inondare i successivi quaranta secondi di “grazie” (a polpette debitamente posate sul piatto, fumanti e carnose), inanellati da sorrisi e parole perdute nella speranza vana di una riconciliazione. A nulla vale, nemmeno, il suo scan: inutile mandarmi via di fretta, vedi che dietro non c’è nessuno? Tutti fermi a studiare i “freddi” e domandarsi come saranno ste polpette del cartellone. O tutti sbriciolati da quei miei modi un po’ decisi che, non si sa come, colpiscono sempre.
“E anche oggi sono riuscita a far incazzare qualcuno” confesso amara al consorte mentre, con figli e vassoi al seguito, mi sposto qualche polpetta più in là.
È come avessi difficoltà ad accordare il mio strumento: se mi tengo indietro non nuoccio. Ma non vengo cagata. Se mi sporgo, irrito. Tipo ortica. Sta a vedere che i (pochi) che mi sopportano, hanno capito che basta carezzarmi sotto le foglie.
E allora oggi, in piacevole compagnia della petite, mentre alla cava accosto un paio di ragazzetti indubbiamente al bigio, osservo lei schermirsi tra seni troppo abbondanti (tutta invidia) e lui che, pennarello alla mano, insegue un tracciato immaginario sulla povera panchina già martoriata da altri innamorati, per dichiarare un amore apparentemente eterno. E, sentendomi testimone oculare dell’accadimento, soppeso le possibilità di intervento:
-La reazione Rottermaier: “Ehi, ragazzino. Molla subito quel pennarello. Sei un maleducato incivile, stai imbrattando un bene pubblico.”
-La donna eco: “Ciao, scusa, per favore non scrivere sulle panchine. Rispetta l’ambiente.”
-La donna eco-aggressiva: “Senti, già hanno ammazzato un albero per appoggiarci un culo. Almeno non scriverci (sulla panca).”
-L’amica: “Ciao, senti, so che la ami, ma non scriverlo sulle panchine.”
-La vecchia che fa la giovane: “Ciao bello, ascolta: l’ho fatto anch’io, sai? E sono sicura che sei superinnamorato. Hai ragione. Però, dai, scrivilo altrove, che così ci teniamo delle belle panchine, ok?”
-La timida: “Scusa, tu, ragazzo… Ascolta. So che non sono affari miei ma… insomma… scusa, eh… te lo chiedo come favore, se puoi… Potresti non scrivere sulla panchina?”
E poi… e poi, be’, ci sono io: “Scusa, perché devi scrivere sulla panchina? Ti pare che io vengo e scrivo sulla tua faccia? O sulla parete della tua cameretta?”
Invece, can che abbaia non morde, e se lo mordi smette pure di abbaiare.
Onde evitare atteggiamenti potenzialmente rissosi levo lo sguardo, e tiro dritto: il silenzio delle polpette.