Il Silmarillion si presenta subito come una mitopoiesi. Termine non molto diffuso ma noto soprattutto a quanti si interessano di letteratura moderna o di mitologia, si riferisce alla "creazione del mito"...
La mitopoiesi, in sostanza, non si occupa degli antichi, e più o meno noti miti dell'umanità, ma ne scrive di nuovi sul loro modello. Creare miti o racconti, come abbiamo visto, è uno dei capisaldi della concezione tolkeniana circa la genesi dei racconti, e in questo contesto, il Silmarillion, è la dimostrazione pratica, ovvero la messa in opera delle sue teorie. L'Autore inizia a lavorarvi a ventidue anni, più o meno ai tempi della Prima Guerra Mondiale, ed egli si lascia ispirare da quanto vive, studia, dai suoi interessi intellettuali, dal suo amore per l'amata Edith, dagli episodi familiari che hanno i suoi figli come protagonisti, dai racconti che scrive per loro e, non ultimo, dalla sua professione universitaria. Nell'arco di un'intera vita, Tolkien elabora un mondo di personaggi, lingue e vicende con i quali libera la sua fantasia e dona alla letteratura inglese una nuovo e grande corpus letterario. Ogni volta che Il Silmarillion sembrava essere ultimato, Tolkien provava a pubblicarlo, spesso cercando di vincolare al libro la pubblicazione del più ampio Il Signore degli Anelli. Il primo giudizio dell'editore Allen & Unwin non fu positivo, fino a quando nella metà degli anni Cinquanta, la trilogia ottenne un così enorme successo, che convinse l'editore a procedere con la sua pubblicazione. Tolkien ne fu naturalmente entusiasta, in quanto lo considerava indispensabile per la comprensione di tutti gli altri suoi scritti, ma la cura nei minimi dettagli che lo caratterizzava, gli impegni universitari e i comprensibili problemi di salute della vecchiaia, non gli permisero in vita di vedere la propria opera pubblicata; sarà il figlio Christopher a farlo nel 1977, a quattro anni dalla scomparsa del padre. Ma di cosa tratta Il Silmarillion? Intanto ci troviamo di fronte ad un'opera non unitaria, ma ad un collage di testi coerentemente legati fra loro, il cui fil rouge è la storia degli Elfi, da non confondere con i folletti che nella letteratura fantasy popolano boschi e foreste, ma che in Tolkien sono esseri perfetti e immortali, molto simili alla categoria angelica della letteratura giudaico-cristiana. Il titolo generale dell'opera rimanda ai Silmaril ("splendore di luce pura") o i Gioielli Primordiali, le preziose gemme che racchiudono la capacità sub-creativa degli Elfi e che rilucevano della luminosità divina della creazione. In quasi quattrocento pagine si collocano cinque grandi racconti: Ainulindalë, Valaquenta, Quenta Silmarillion, Akallabêth, Degli Anelli del Potere e della Terza Era. Il primo racconto, Ainulindalë, costituisce un mito cosmogonico riassunto nella vicenda della Musica degli Ainur. Un Dio, unico, preesistente e perfetto, pressoché identico alla divinità delle nostre grandi religioni monoteiste, crea ogni cosa componendo delle melodie insieme a-gli Ainur, che Tolkien descrive come esseri divini primordiali o vere e proprie potenze angeliche. Il quadro armonioso della creazione, però, viene ben presto inquinato dall'egoismo: Melkor, Ainur potente quanto superbo, porta nella narrazione la vicenda della caduta, ampiamente descritta nel secondo dei cinque racconti, il Valaquenta. Parte centrale dell'opera è il terzo e più lungo racconto, Quenta Silmarillion, che narra degli Elfi e della loro storia. Elfi e Uomini hanno infatti un ruolo centrale nell'opera tolkeniana: essi vengono da una precisa volontà di-vina, e sono detti rispettivamente i Primogeniti e i Successivi, immortali i primi, sottoposti alla caducità e alla morte i secondi. Il Quenta Silmarillion, a sua volta, è suddiviso in ulteriori venti-quattro capitoli, che ruotano attorno al furto delle gemme Silmaril, racchiudenti la luce primordiale di due alberi sacri, Laurelin e Telperion. Le forze del male che si abbattono sui due Alberi e sulle gemme, e la resistenza dei buoni, costituiscono la trama dei vari capitoli. Il quarto libro Akallabêth (La caduta) de-scrive le vicende legate all'isola di Nùmenor, donata dagli Ainur ai tempi delle origini alla stirpe degli uomini. Da questa stirpe, infatti, discendono due regni che si stanzieranno nella Terra di Mezzo, corrispondente alla nostra Terra, e dove si svolgeranno le vicende legate a Il Signore degli Anelli. Proprio di ciò parla il quinto e ultimo libro, Degli Anelli del Potere e della Terza Era: aiutati da Sauron, essere potente e oscuro, seguace del malvagio Melkor, gli Elfi forgiarono degli anelli in grado di rallentare il decadimento, preservare ciò che si ama, e mantenere l'ordine del creato. Ne furono dati Tre agli Elfi, Nove agli Uomini e Sette ai Nani, ma segretamente, Sauron, creò nell'oscurità del Monte Fato l'Unico Anello, capace di dominare e controllare tutti gli altri, piegandoli alla sua sete di potere. Isildur, sovrano numenoreano in esilio nella terra di Gondor, toglierà l'Anello allo stesso Sauron, per poi perderlo insieme alla sua vita in un agguato. E' a questo punto che Tolkien lascia sfumare il racconto de Il Silmarillion per farlo proseguire con le altre due opere famose: Lo Hobbit, dove l'Anello viene fortuitamente ritrovato in una caverna durante le avventure dello Hobbit Bilbo Beggins, e Il Signore degli Anelli, che vede Frodo, giovane nipote di Bilbo, portare l'amuleto verso la distruzione nel fuoco del Monte Fato dove fu forgiato, accompagnato da alcuni valorosi amici Hobbit, Uomini, Elfi e Nani, ponendo così fine al Male nella Terra di Mezzo.
Da questa breve presentazione, Il Silmarillion si delinea esattamente come la Genesi dell'opera di Tolkien. Ma il termine Genesi non è affatto scelto a caso: nella sua opera, infatti, l'autore riprende temi tipici della creazione, così come li abbiamo imparati a conoscere dal racconto dei primi tre capitoli del libro della Bibbia. Quello della creazione è senz'ombra di dubbio uno dei racconti biblici che maggiormente ha influenzato l'arte, la letteratura, l'immaginario e il lessico dell'umanità. Ovviamente non è questo il luogo di un'analisi testuale dei primi capitoli del libro della Genesi, ma può invece essere opportuno ripercorrere alcuni aspetti che potranno poi esserci d'aiuto nel confronto con il testo de Il Silmarillion stesso. Poiché di mitologia e religione si è già accennato a proposito dell'origine dei racconti, è utile partire dai legami di parentela tra la Genesi e altri miti cosmogonici. E' ormai assodato che il racconto della creazione dell'Universo e del Mondo, non sia patrimonio esclusivo delle scritture ebraiche e cristiane, tutt'altro. Esistono miti provenienti da ogni continente della Terra, anche se i più famosi e studiati sono quelli presenti nell'Antico Egitto, nella letteratura sumerica e babilonese antica, nelle fonti fenicie, persiane, greche, etc., tutte storie che sicuramente hanno influenzato la gestazione e la scrittura biblica. Ma una sostanziale differenza si pone tra la Genesi biblica con le altre cosmogonie antiche, perché nell'attingere dalle altre culture, gli autori biblici hanno demolito quei miti, utilizzandone il materiale per costruzioni letterarie originali. Se nella maggior parte dei miti delle origini mediorientali, si so-no sempre messi in scena combattimenti tra numerose divinità come chiave per spiegare le contraddizioni del mondo, in quelli biblici, invece, si riconosce un Dio unico, e per di più sovrano su tutto, che complica enormemente il compito del narratore biblico, in special modo quando deve spiegare le innumerevoli lotte esistenti nel mondo. Il risultato, pertanto, è una reinterpretazione radicale del mito mediorientale, al punto che ci si può domandare se i racconti biblici possano ancora essere definiti, addirittura, dei miti veri e propri. Tra l'altro, nella Genesi biblica, parliamo di racconti, e non di racconto della creazione, perché essi notoriamente sono due. Il primo, Gen 1,1-2,3, è riconduci-bile alla tradizione sacerdotale e post-esilica, il secondo invece, Gen 2,4-25, appartiene ad un'altra tradizione indipendente e contemporanea, legata a quel resto del popolo che rimase nel-la Gerusalemme distrutta dall'esercito babilonese, mentre gran parte del popolo era stato deportato a Babilonia. I due testi differiscono in modo evidente per la narrazione stessa degli even-ti, ma c'è anche una divergenza storica nella critica del testo biblico, che riguarda il nome utilizzato per riferirsi a Dio. Nel primo racconto troviamo infatti il nome Elohîm (al plurale), nel secondo, invece, abbiamo YHWH Elohîm (al singolare). Il primo racconto è quello della grande settimana delle origini, dove Dio crea ogni cosa e l'uomo a sua immagine e somiglianza in sei giorni, riservando il settimo al riposo. Nell'ordine vengono creati la luce, il cielo, la terra, il mare e la vegetazione, il firmamento con il Sole e la Luna, i pesci e gli uccelli, gli animali terrestri, ed infine l'uomo, maschio e femmina, "conforme alla nostra somiglianza" (Gen 1,26). Egli verrà posto al comando delle cose create, ma con il compito di essere fecondo per riempire la Ter-ra. Inoltre, il carattere incisivo e la sacralità che Dio riserva al sabato per il riposo, santificandolo, rivela anche quell'accento sacerdotale che sancisce la base dell'osservanza cultuale dello shabbat ebraico. Il secondo racconto, invece, descrive in modo molto sintetico quanto avvenuto nel primo: Dio crea la terra e i cieli e forma l'uomo, il maschio solamente, dalla polvere della terra stessa. Viene invece descritto nei dettagli il celebre Giardino dell'Eden, dove Dio pone l'uomo, nel quale troviamo il famoso Albero, o meglio, i due Alberi. Anche questo è uno degli aspetti meno noti, forse perché meno descritti o rappresentati anche nel mondo dell'arte, ma gli Alberi del Giardino dell'Eden sono due: quello della Vita, posto in mezzo al Giardino, e quel-lo della Conoscenza del Bene e del Male. [Il Giardino è anche irrigato da quattro fiumi, sorgenti da uno soltanto].
Le maggiori analogie tolkeniane col libro della Genesi si riscon-trano in quella primissima parte formata da: Ainulindalë, Valaquenta e nel primo capitolo del Quenta Silmarillion. Una prima evidente somiglianza sta nel fatto che anche Tolkien propone due racconti della creazione, così come le fonti di luce che illumineranno Valinor, vero e proprio paradiso dei Valar in Arda, saranno appunto due Alberi, Telperion (l'Albero d'Argento) e Laurelin (l'Albero d'Oro), i quali verranno distrutti da Melkor e Ungoliant; fortunatamente il loro ultimo fiore e il loro ultimo frutto verranno poi usati dai Valar per creare la Luna ed il Sole. Riportiamo letteralmente il secondo racconto, incipit del libro Valaquenta, perché si presta molto bene come sintesi del primo, decisamente più lungo. "In principio Eru, L'Unico, che nella lingua elfica è chiamato Ilúvatar, creò gli Ainur dal proprio pensiero; ed essi fecero una Grande Musica al suo cospetto. In questa Musica il Mondo fu cominciato giacché Ilúvatar rese vi-sibile il canto degli Ainur ed essi lo videro come una luce nel-l'oscurità. E molti fra loro s'innamorarono della sua bellezza e della sua storia che videro cominciare e svolgersi come una visione. Per questa ragione Ilúvatar conferì Essere alla loro visione e la collocò in mezzo al Vuoto, e il Fuoco Segreto fu inviato ad ardere nel cuore del Mondo; e questo fu chiamato Eä. Poi quelli degli Ainur che lo desiderarono si levarono ed entra-rono nel mondo al principio del Tempo; e fu compito loro com-pletarlo e compiere con le proprie fatiche la visione che ave-vano avuto. A lungo essi s'impegnarono nelle regioni di Eä, la cui vastità trascende il pensiero degli Elfi e degli Uomini, fino a quando nel tempo stabilito fu fatta Arda, il Regno della Terra. Poi essi vestirono gl'indumenti della Terra e discesero in essa, e vi dimorarono." Se nella Genesi, Dio crea ogni cosa con la sua Parola ("e disse"), nel Silmarillion, invece, Ilúvatar crea me-diante la musica e il canto, come ad aggiungere un elemento estetico alla sua parola. In questo canto coinvolge gli Ainur, lasciando che le loro voci possano costruire melodie che in seguito diverranno sostanza creata. Il filosofo Elémire Zolla notò la presenza di una triade nel complesso dell'opera tolkeniana, triade presente anche nella mitologia Gnostica. Infatti, sulla sua affine speculazione filosofica, egli si interrogava sul fatto che all'origine fosse presente il principio tenebroso e acre, dalla cui compressione gelida verrà emanata la triade benefica del Calore, della Luce e dell'Aria (o Spirito), ovvero: il materiale potenziale, il Corpo, il suo intimo succo animatore, l'Anima, e lo spirituale profumo che la soffonde, lo Spirito. In Tolkien, inoltre, come abbiamo visto sono presenti ulteriori elementi, perché dopo aver creato anche due grandi luci, una per il giorno e l'altra per la notte, come in Gen 1,16 notiamo la presenza di un giardino, simile all'Eden biblico, dove anche qui si ergono due Alberi importanti: "La Terra stava divenendo come un giardino per il loro diletto [...] e così si destarono nel Mondo i Due Alberi di Valinor [...] e tutti i racconti dei Tempi Remoti s'intrecciano al loro destino [...] Così iniziarono i Giorni della Beatitudine di Valinor; e così cominciò anche il calcolo del tempo." Si tratta di due Al-beri di notevole presenza simbolica, che portano beatitudine e segnano il tempo del mondo dal suo principio, come del resto è forte la portata simbolica dell'Albero della Vita e dell'Albero del-la Conoscenza del Bene e del Male di cui leggiamo in Gen 2,9. Infine, Tolkien, inserisce un elemento "sabbatico" comune nel testo Biblico, ma anche nelle ben più antiche cosmogonie che descrivevano il Creatore come un Grande Morto, ovvero una divinità assente che aveva permesso la nascita dell'Universo ma che si era poi ritirata, lasciando alle sue creature il compito di perpetuarne l'opera: "Io invece siederò e ascolterò, e sarò lieto che attraverso di voi sia stata destata in canto una grande bellezza [...] E a lungo gli parve fosse cosa buona poiché nella musica non vi erano difetti."
Autori: Ambra Guerrucci e Federico Bellini
Titolo: " Il Fuoco Segreto di Gandalf"
Editore: Risveglio Edizioni
Data pubblicazione: Settembre 2014
ISBN-A: 10.978.8899009/014