Sono stato invitato a una sessione del seminario. Con donne e uomini, dirigenti e delegati sindacali di settori diversificati: impiegati comunali, addetti alle agenzie delle entrate, vigili del fuoco, infermieri, guardie carcerarie e via elencando. Un pezzo del lavoro pubblico contemporaneo che spesso è raccontato, su suggerimento dei vari Brunetta, come un tutto unico, magari composto da identici «fannulloni», senza saper guardare alle specifiche problematiche, comparto per comparto.
I contributi a questo incontro sono di esperti della materia. Così è il presidente del Forum della Pubblica amministrazione Carlo Mochi Sismondi che dipinge un quadro con i suoi chiaroscuri. La sua denuncia affronta, tra l’altro, una specie di pericoloso blocco, ovverosia un «congelamento» dell’amministrazione dello Stato. Esso è dovuto, ad esempio, alle discussioni infinite circa la decisione di sciogliere o non sciogliere le Province. Oppure quando si propongono concorsi dove dominano i quiz e non i curriculum. Mentre si assiste al ritardo nell’uso di tecnologie che avrebbero bisogno di forze giovani, considerate le uniche capaci d’impadronirsene. Un insieme di fattori da cambiare anche con l’apporto dei sindacati che invece, sottolinea Carlo Mochi Sismondi, introducendo un altro esempio di «blocco», non favoriscono la necessaria mobilità. Un’osservazione che induce Rossana Dettori a spiegare come la mobilità debba essere accompagnata dalla formazione e sia resa difficile anche per le differenze retributive tra un settore e l’altro. Senza dimenticare che la riqualificazione, l’aggiornamento deve coinvolgere anche i cinquantenni che con la riforma Fornero devono lavorare altri 15-17 anni.
Le testimonianze s’infittiscono. Cosi Stefano Epifani spiega come non basti conoscere le nuove tecnologie, fare quello che ormai sanno fare anche i bambini. Occorre saper gestire, interpretare le tecnologie. Un discorso complesso, approfondito da Diego Ciulli, giovanissimo ma senior analyst, nonché responsabile delle politiche pubbliche e delle relazioni governative di Google Italia. Un ruolo che gli permette di illustrare l’uso del «cloud», ovvero delle memorie-nuvole collocate nell’etere e che costituiscono un modo, uno strumento per rendere un servizio al Paese, facendo risparmiare gli apparati pubblici e incentivando la connessione vitale con i cittadini.
Già, i cittadini. È la «controparte» di quelli che un tempo si chiamavano i «servitori pubblici». I cittadini più che lo Stato-padrone. Come, però, stabilire un solido rapporto con loro? Non bastano certo i semafori più o meno verdi lanciati dal centrodestra. Sarebbe necessaria una rivoluzione culturale, partendo dalla possibilità per tutti di usare internet (con banda larga senza limiti). Superando annose incongruenze come il fatto che la carta d’identità elettronica è al centro di un’eterna disputa su chi deve gestirla, così come l’inesistenza di un archivio email dei cittadini. Proprio su come far partecipare gli utenti, i cittadini, indugia Rossana Dettori.
Non basta chiedere loro giudizi sull’efficienza o meno di un servizio, bisognerebbe farli partecipare all’organizzazione dei servizi stessi, ad esempio nella scelta di orari più comodi. Qui però sopravviene un altro problema: a quali cittadini rivolgersi e attraverso quali associazioni? O procedere a casaccio? E, in fondo, il problema di Internet, il rischio di un mare ricco di possibilità, ma anche di anarchiche confusioni e nel quale bisogna saper navigare con attenzione. Il sindacato ci prova. Il suo decisivo rinnovamento passa anche da qui.