Magazine Cultura
Il Sistema Onnis, per una civiltà in equilibrio cosmico
Creato il 18 febbraio 2013 da Pierluigimontalbanodi Pierluigi Montalbano e Marcello Onnis
La carenza di dati di scavo supportati da contesti omogenei che affligge lo studio della Sardegna del III e II Millennio a.C., non consente di proporre un modello certo di antropizzazione del territorio da parte di quelle genti che applicarono le tecniche agricole e di allevamento acquisiste nel Neolitico. Illustri archeologi e ricercatori hanno offerto schemi ipotetici di distribuzione dei villaggi e delle altre emergenze archeologiche, ma tutti questi sistemi sono influenzati da una visione militarista o imperialista, in voga nello scorso secolo e ancora condizionante, che conduce a perdere di vista i concetti base che motivano l’antropizzazione di un territorio: la presenza d’acqua dolce, la facilità di controllo, la presenza di risorse, la sicurezza, la possibilità di comunicare verso l’esterno, le caratteristiche della flora e della fauna locali. Tutti questi requisiti devono essere presenti sinergicamente in ogni analisi.
I miei studi in Economia suggeriscono la possibilità che la strada da seguire, anticipando la concezione religiosa, si debba ricercare in una visione pragmatica dei problemi che una comunità deve affrontare nel momento in cui giunge in una vallata, o in luogo idoneo alla sopravvivenza. Alla base di questo modello, ho posto l’intelligenza dell’uomo e la sua capacità di manipolare il territorio in cui vive.
Quando un gruppo umano sceglie di spostarsi per insediarsi in un nuovo territorio, osserva il paesaggio che incontra e compie delle elaborazioni mentali e pratiche per verificare se le varie aree possiedono i requisiti ideali per l’antropizzazione.
Le zone ricche di elementi naturali sono le più ambite, e perciò richiedono una difesa maggiore. Ad esempio, spostando l’attenzione nel Vicino Oriente, la Valle del Giordano era ricca di elementi primari, e nel corso dei millenni è contesa da varie fazioni. Gerico, una delle città più antiche del mondo, fu la prima a essere circondata da alte mura difensive.
Torniamo alla nostra isola. Immaginiamo di appartenere a un gruppo umano, che d’ora in poi chiamerò clan, e di vagare nel paesaggio alla ricerca di un buon territorio. Saremo invogliati a posizionare le tende in una bella vallata circondata da montagne, al riparo dai venti dominanti, con disponibilità di legname e un ruscello che scorre al centro, e qualche animale allo stato brado. La nostra ricerca parte da questa ipotetica vallata paradisiaca. Scaricati i bagagli, e preparato un bel fuoco per riscaldare acqua e cibo, alcuni uomini (le donne si dedicano ad altro) iniziano la perlustrazione esplorativa. Dalle cime circostanti osservano dall’alto la vallata e creano una mappa mentale del luogo. Scendono a valle, si rifocillano con il pasto preparato dalle donne, e iniziano a discutere sui modi di antropizzazione.
Si attrezzano per coltivare il grano (melanzane, mais, caffè e pomodori arriveranno molto più tardi da un altro mondo antropizzato), l’orzo e qualche varietà di legumi. Scelgono di sfruttare gli animali allo stato brado per ottenere carne, pelli, latte e formaggio, e notano che alcuni vegetali possono fornire cordame.
La comunità è costituita da gruppi di famiglie che possiedono competenze, peculiarità e recitano un ruolo ben preciso in seno al gruppo. Vecchi e bambini svolgono probabilmente un ruolo secondario. La prima fase della vita si concentra sulla conoscenza delle risorse e sull’approvvigionamento dei materiali indispensabili per la costruzione di una serie di ripari in punti strategici: legname, pietre e fibre per legacci. Durante le esplorazioni sono censiti i punti di raccolta dell’acqua, i nidi degli uccelli, le tracce degli animali e la presenza di sentieri che colleghino la vallata con i territori confinanti. Esempi concreti sono offerti in Sardegna nelle Giare di Siddi e Gesturi. Ambedue basaltiche presentano una caratteristica di vitale importanza per capire l’evoluzione dell’antropizzazione: un altopiano in basalto non assorbe l’acqua piovana e nelle stagioni piovose si formano dei rivoli, a volte non di poco conto, che scaricano a valle il prezioso liquido. Si formano delle piccole cascate, denominate “scalas”, che nel loro tracciato, sempre più profondo, trasportano tutto il materiale che incontrano. Nella stagione asciutta, le scalas assumono l’aspetto di sentieri che conducono a valle e viceversa. Col passare dei secoli, i sentieri e i piccoli ruscelli che li attraversano in inverno, sono adattati dalle comunità per essere sfruttati al meglio. Le zone ripide sono addolcite e in alcuni punti si predispongono piccoli laghi per la raccolta dell’acqua, e ripari di fortuna. Oggi questi sentieri sono diventati le strade di accesso che conducono dai paesini a valle verso gli altopiani. Sui bordi delle giare, in corrispondenza del costone roccioso, si trovano sempre tracce di strutture approntate dai primi frequentatori stabili. E’ rilevante segnalare che oggi in quei punti, nessuno escluso, troviamo dei nuraghi a corridoio realizzati verso la metà del II Millennio a.C.
Anche in precedenza, il territorio dell’altopiano, o della vallata occupata, presentava dei punti di accesso strategicamente utili alla sicurezza della comunità, perché i luoghi ricchi di risorse costituiscono una meta ambita da parte di chi cerca di sopravvivere. I leader dei clan devono decidere come presidiare questi punti di accesso. Controllare un lato del territorio non è sufficiente perché i pericoli possono giungere dalla parte opposta e si deve, pertanto, garantire tutto il coronamento. La soluzione più ovvia è quella di creare dei turni di guardia per sorvegliare i passi. Quando il gruppo è numeroso, è conveniente una collaborazione attiva fra le famiglie che s’insediano negli accessi e i gruppi a valle che, in cambio della sorveglianza, aiutano ad approntare le capanne con tutto ciò che necessita: utensili, animali, pelli, semi, armi. In questo periodo le armi non sono differenti dagli utensili utilizzati per la vita quotidiana: coltelli, percussori, asce e piccoli strumenti in selce e ossidiana fanno parte del bagaglio di ogni capofamiglia. I metalli sono rari e qualche manufatto in rame costituisce un tesoretto che deve essere tutelato con la massima cura. Terminate le operazioni preliminari d’insediamento, il clan può iniziare a gettare le basi per un sistema di vita ragionevolmente agiato. Abbiamo visto che i sentieri che mettono in comunicazione la vallata con il territorio circostante sono presidiati da famiglie che partecipano alle attività della comunità e fruiscono del surplus consentito dalla collaborazione. Le zone nevralgiche del territorio sono adattate per consentire un adeguato controllo. In questa prima fase la comunità è strutturata per svolgere le mansioni decise dai capofamiglia. Si rende necessario individuare un luogo cardine, condiviso da tutti i membri del clan, presso il quale il capo traccerà, simbolicamente o fisicamente, una “linea sacra” che da quel momento identificherà il centro della comunità, un luogo in cui, con riti legati al culto della Madre Terra, dei defunti, del toro, del fuoco e delle acque, si siglava un patto inderogabile di mutua collaborazione nell’interesse della collettività. In tale occasione le famiglie sancivano lo status d’appartenenza al Clan. La scelta del Centro era condizionata da fattori geografici: si sceglieva in prossimità di fonti o corsi d’acqua, in quanto elemento vitale e sacro. Applicando il “Sistema Onnis”, la quasi totalità delle vallate indagate fino a oggi, confermano che il Centro coincide con il punto di congiunzione di due ruscelli, una sorta di Y individuabile sul terreno, forse la rappresentazione femminea di fertilità della grande Dea Madre, la terra. Si tratta del luogo che presenta le caratteristiche propiziatorie migliori per avviare un’attività economica legata all’agricoltura. Verosimilmente il Centro era individuato dal Capo/Sacerdote in sede d’occupazione e antropizzazione del territorio. Come testimoniato per altre civiltà di quell’epoca, in questo punto si svolgeva un rito di fondazione. E’ utile ricordare che il centro è uno dei simboli esoterici fondamentali. Rappresenta l’origine di tutte le cose, il principio primo da cui ha inizio la creazione, dal quale tutto ha origine, il punto indiviso, senza dimensione né forma, immagine perfetta dell’Unità primigenia e finale in cui ogni cosa trova inizio e fine, perché tutte le cose ritornano all’energia principale che le ha create, riunendosi alla perfezione assoluta. Senza tale riferimento naturale, lo spazio-tempo sarebbe privazione, vuoto nel caos. Il Centro è dunque un’area sacra che vincola tutta la comunità e la obbliga a rispettare il legame imposto dall’appartenenza al clan. Ogni individuo, spinto dal senso di protezione ricevuto dalla comunità e dall’obbligo del rispetto politico e religioso, era spronato a lavorare per il bene comune.
Il frutto del suo lavoro contribuirà al benessere collettivo e sarà restituito sotto diversa forma dagli altri membri della comunità, ognuno secondo gli incarichi assegnati dal clan. Considerata la valenza del Centro, ogni famiglia era obbligata a costruire il proprio rifugio in un punto del territorio ben determinato, senza violare il patto stipulato con gli altri membri del clan. In questo modo la vallata era antropizzata in maniera organica, come se un piano urbanistico preistorico dettasse le regole a ogni individuo. Era una società organizzata che poneva la collaborazione reciproca alla base del buon funzionamento sociale. La distinzione principale che segnava una gerarchia era quella relativa alla tipologia di attività che il clan sceglieva come indirizzo economico: pastorizia o agricoltura. L’estrazione dei minerali per la fusione dei metalli sbilancerà l’equilibrio qualche secolo dopo, ma il modello di antropizzazione del territorio seguirà sempre le stesse linee guida.
Distribuzione dei nuraghi
Per capire quali criteri determinarono la scelta del luogo dove edificare un nuraghe ci si deve basare sull’osservazione e sull’analisi dei dati rilevabili in aree circoscritte come le vallate e alcune giare, con l’intento di individuare correlazioni comuni e ripetibili in analoghi habitat distribuiti in ambito regionale.
Conseguentemente, il perno dell’indagine è lo studio geografico dei luoghi.
Nell’indagine sono stati considerati i parametri fondamentali del territorio come l’orografia, la qualità del fondo e l’idrografia, in quanto elementi naturali di questo habitat, vincolanti per i primi agricoltori e per l’antropizzazione. I residenti realizzarono campi coltivabili, capanne, reti stradali e le infrastrutture necessarie per permettere lo sviluppo sociale delle comunità.
Si ritiene che, originariamente, la scelta dei luoghi strategici su cui edificare i nuraghi, fu frutto di decisioni delle popolazioni del III Millennio a.C. che iniziarono ad addomesticare i cereali ed edificare capanne e/o villaggi intorno alle aree agricole.
Solo il 18% della superficie della Sardegna possiede i requisiti ideali per la coltivazione dei cereali, perciò, fin dalle prime attività agricole, emerse la necessità di occupare permanentemente le poche aree disponibili. Le aree d’edificazione dei nuraghi in Sardegna non sono omogenee, tuttavia spesso ricadono nelle vallate ricche d’acqua che consentono lo sfruttamento dei terreni pianeggianti adiacenti.
Poiché una vallata presenta sempre più punti d’accesso, per poter presidiare il territorio occorreva predisporre una serie di guardiole per evitare intromissioni di greggi e/o saccheggi attraverso le vie di penetrazione. Conseguentemente si verificò la nascita delle prime aggregazioni sociali, i cosiddetti Clan, con più famiglie che partecipano unite al bene comune.
Le vallate, per la loro conformazione, possiedono diversi pregi. Grazie alla loro concavità, nel periodo delle piogge, raccolgono l’acqua e la incanalano in rivoli, rendendo il fondo della valle fertile per più mesi all’anno. Inoltre, l’azione impetuosa del vento, deleteria per l’agricoltura, è limitata nell’area interna della vallata, grazie ai bordi rialzati dell’anello perimetrale.
Nonostante siano trascorsi vari millenni, che dal punto di vista geologico corrispondono a un battito di ciglia, i luoghi non hanno subito variazioni geomorfologiche rilevanti, e il fatto che a tutt’oggi la maggior parte degli ovili e delle aziende agricole sussistono su emergenze archeologiche nuragiche e/o resti di capanne e recinti a loro coevi, dimostra che i parametri agro-pastorali considerati a suo tempo, sono ritenuti validi ancora oggi. La contemporanea presenza e partecipazione nelle vallate, e in alcune giare, di circoli megalitici, capanne, nuraghi, pozzi, necropoli con domus de janas e tombe dei giganti…, seppure costruite in tempi diversi e da comunità differenti, disegnano una linea temporale la cui origine culturale e religiosa è certamente millenaria, e la cui continuità è frutto di sovrapposizioni di genti che vissero nello stesso luogo, con le stesse difficoltà ed esigenze, esternate con manifestazioni artistiche e culturali differenti.
Tale prassi fu rispettata certamente anche dai nuragici, come oggi dai nostri pastori con gli stazzi.
Il primo sito indagato è la vallata di Seruci, nel comune di Gonnesa (Carbonia-Iglesias), scelta perché rispecchia le condizioni di nicchia ecologica. Si può ragionevolmente supporre che i nuraghi presenti partecipano al medesimo sistema geografico. Inoltre è distante da altre realtà archeologiche che potrebbero inficiare l’analisi. Si è utilizzata una carta IGM con scala 1:25.000 in cui sono stati evidenziati i nuraghi, le tombe, i pozzi, i menhir e le altre emergenze archeologiche indicate. Poi, la carta è stata integrata con i dati rilevati con una ricerca sul campo. Si è ottenuto un profilo a forma ellittica che segue il perimetro della vallata. Verificato che, due o più nuraghi costruiti lungo i bordi della vallata sono visibili tra loro, si sono tracciate delle direttrici per unirli in coppia. Il risultato finale è simile a una vecchia ruota di bicicletta (Figura 1).
Dall’analisi dei nuraghi, sia sul luogo sia sulle carte, emerge che alcuni sussistono in corrispondenza dei passi e dei sentieri che mettono la vallata in comunicazione con quelle adiacenti.
Metodologia di studio
Dai luoghi imposti casualmente dall’orogenesi, ossia passi e corsi d’acqua, l’uomo ha manipolato la terra secondo le necessità del momento. Ogni comunità adattò l’area scelta per perfezionare l’insediamento. A tal fine fece passare le direttrici in un Centro, scelto a priori con finalità propiziatorie, dal quale tutto ha origine perché offre uno stato d’equilibrio cosmico che si contrappone al caos cosmico.
Per gli allineamenti, una volta stabilito il Centro, si accendeva un fuoco alimentato con degli arbusti freschi per sviluppare un’alta colonna di fumo che consentiva l’individuazione del Centro anche da grandi distanze, superando l’eventuale scarsa visibilità dovuta alla folta vegetazione e/o a eventuali dislivelli presenti nella vallata. Allo stesso tempo si accendeva un altro fuoco in prossimità del passo più importante del Clan/vallata, sul quale si sistemava una struttura che successivamente fu monumentalizzata realizzando un nuraghe. Ottenuti due punti in linea tra loro, per individuare il terzo ci si allontanava dal Centro, seguendo l’allineamento dato dalle due colonne di fumo, fino al raggiungimento del confine posto ai bordi opposti della vallata. In caso di lunghe distanze si accendevano diversi falò lungo l’allineamento dato dai primi due. Il Centro è generalmente posto nelle immediate vicinanze di fonti o corsi d’acqua, in quanto elemento vitale e sacro. Ogni individuo, spinto dal senso di protezione ricevuto dalla comunità e dall’obbligo del rispetto religioso, era spronato a lavorare per il bene comune, certo che il frutto del suo lavoro sarebbe stato poi restituito sotto forma di alimenti e difesa da pericoli esterni. Per mantenere il possesso di quel territorio era necessario presiedere gli accessi in maniera permanente, bloccando le vie d’accesso che mettevano la valle in comunicazione con le vallate adiacenti. In tal modo si marcava il territorio erigendo un segno inequivocabile di possesso (nel Bronzo si utilizzava un nuraghe) che delimitava un passo invalicabile senza esplicita autorizzazione. Tale prassi era consolidata e rispettata dai Clan e risultò superfluo erigere delle poderose mura tutto intorno alle aree abitate e coltivate. I nuragici rispettarono la tradizione delle popolazioni precedenti, poiché tale sistema soddisfaceva le medesime esigenze, seppure in tempi diversi.
Nell’esempio presentato in questa ricerca, si definiscono punti “A“ delle direttrici (Seruci, Sa Turrita, Ghillotta, Nuraxi Figus, Su Arci), i nuraghi posti nelle adiacenze dei passi dove transitavano i carri, giacché strategici e obbligati dalla naturale conformazione del fondo, mentre si chiamano punti “B“, quelli contrapposti. Questa convenzione sarà utile in fase di rilevamento e successiva informatizzazione dei dati. L’ordine delle direttrici si è attribuito partendo dal nuraghe più importante per dimensione e/o per annesso villaggio. Nel nostro caso il punto “A” è costituito dal nuraghe Seruci. Con questa procedura, le direttrici s’intersecano in un punto che convenzionalmente chiamiamo Centro, non coincidente con il centro geometrico dell’area perché, trattandosi di una superficie ondulata con perimetro irregolare, gli estremi delle direttrici non possono distare equamente dal centro stesso. Durante la definizione delle direttrici, si sono tralasciati temporaneamente i nuraghi apparentemente isolati. Partendo da questi ultimi, si è tracciata una direttrice passante per il centro, sulla quale si è concentrata la ricerca d’eventuali altre emergenze archeologiche. Grazie all’ausilio del programma Wikimapia (www.wikimapia.org), si è verificato che lungo quelle direttrici erano stati già censiti altri nuraghi. Come contro prova, dopo aver tracciato le direttrici, si è provato a spostare virtualmente diversi nuraghi di soli 20/30 metri lungo il bordo della vallata. E’ risultato evidente che le direttrici, non passavano più per il Centro. Con l’uso della funzione 3D di Google Earth, si apprezzano meglio i risultati ottenuti e si dimostra come tale disposizione collima con l’orografia dei luoghi.
Partendo dai nuraghi edificati nei punti “A”, si sono evidenziati i sentieri adiacenti con una matita rossa, ottenendo un tracciato utile alla determinazione dell’ipotetica rete stradale esistente nel territorio nuragico.
Occorre precisare che a volte la parte “B” della direttrice non si trova alla stessa quota altimetrica del punto “A”, e quest’ultimo può coincidere anche con la quota più bassa della stessa vallata.
Nel caso in cui il punto “B” sia un nuraghe, il rispetto di tale regola vanifica l’ipotesi d’esclusiva funzione strategica di vedetta militare e giustifica il motivo per cui molti nuraghi non sorgono all’altezza massima del rilievo su cui sono stati edificati.
Un altro aspetto rilevante del Sistema Onnis è che si riesce a comprendere il posizionamento di quei nuraghi costruiti molto vicino ad altri nuraghi ma non si è riusciti a tutt’oggi a fornire una motivazione.
Dall’analisi dei 57 Clan finora accertati, si è riscontrato che nel Centro si rileva prevalentemente la presenza d’acqua sotto forma di fiumi, sorgenti o pozzi d’acqua artificiali. In una buona percentuale dei Clan del bacino del Sulcis-Iglesiente il centro coincide, non casualmente, con il punto di congiunzione di due affluenti che generano una “Y”. Una possibile spiegazione della scelta del Centro è che per fini propiziatori si volesse determinare un punto in equilibrio cosmico del Clan, il Centro appunto, ottenuto dalla neutralizzazione di forze (prima da circoli megalitici, poi da capanne e infine da nuraghi) con direzioni opposte, tra loro convergenti in quel punto, e nel quale si celebravano le cerimonie e i riti dedicati al culto dell’acqua.
In altri casi, come già detto, in prossimità del centro sono state individuate emergenze archeologiche interessanti, non riportate sulle carte dell’IGM ne divulgate da pubblicazioni scientifiche, come una Tomba di Giganti individuata durante la ricerca sul campo a Sant’Antioco nella valle di Cannai. Applicando lo stesso sistema anche sull’altopiano della Giara di Gesturi, si è individuata, a tavolino e poi sul luogo, una necropoli composta da alcune decine di tumuli a tholos, alcuni realizzati con lastre in pietra squadrate e posizionate in modo ortostatico. A queste si aggiungono resti di capanne a base ellittica a più ambienti e un complesso litico a forma di altare lungo circa 2,5 metri.
Come è noto, all’interno della Giara di Gesturi e in quella di Siddi, non sono censiti nuraghi. Ciò stride con l’alta densità di nuraghi edificati tutto attorno e sui bordi delle stesse Giare. Si presume che il motivo sia da attribuire al fatto che le Giare, per la loro conformazione, fossero considerate Zone Sacre, e che la funzione dei nuraghi (o ciò che rappresentavano per le comunità che li edificarono), non fossero compatibili con gli usi praticati all’interno dell’Area Sacra.
Grazie all’applicazione del sistema a direttrici anche sulla Giara di Gesturi, si è verificato il rispetto dell’ubicazione dei nuraghi negli accessi e, allo stesso tempo, sono state individuate decine di emergenze archeologiche non riportate sulle carte IGM, ne citate su riviste e/o pubblicazioni scientifiche di archeologia, nonostante siano state effettuate diverse campagne archeologiche già dagli anni ‘60.
L’ipotesi teorica elaborata sulla carta, trova oggettivamente riscontro grazie ai sistemi informatizzati disponibili come Google Earth e Wickimapia che, con le loro opzioni 3D, consentono di verificare la coerente e perfetta applicazione di tale modello di indagine archeologica sull’orografia dei luoghi.
Verosimilmente, il Capo Tribù o il Sacerdote, postosi al Centro del Clan, riscontrò che col trascorrere delle stagioni, precisi punti all’orizzonte coincidevano con i solstizi e gli equinozi, estivi e invernali. Questi momenti erano importanti per le comunità agricole, perché legati ai periodi di semina e raccolta, e costituivano elementi fondamentali per la corretta gestione dell’attività agraria, pastorale e religiosa dell’intera collettività.
Proseguendo la ricerca, è emerso che nelle grandi vallate del Sulcis sono individuabili dei Clan i cui nuraghi periferici partecipano alla contemporanea delimitazione di tre Clan confinanti e complementari tra loro, e le rispettive vallate, viste sotto tale punto di vista, assumono l’aspetto di un enorme puzzle composto da aree perfettamente adiacenti tra loro, senza “spazi morti”. Ciò suggerisce una società gerarchica ma collaborativa, organizzata in diverse classi sociali specializzate che partecipavano al bene del Clan, con persone preposte all’agricoltura, alla pastorizia, alla caccia, alla pesca e a tutte quelle attività legate alla buona gestione del territorio antropizzato, dalla difesa all’accumulo delle risorse e ai conseguenti scambi commerciali.
Tutti i membri del Clan partecipavano all’edificazione e alla manutenzione dei nuraghi, delle tombe e dei pozzi nel territorio di loro pertinenza, e contribuivano al bene comune del medesimo. Dalle stratigrafie degli scavi intorno ai nuraghi si è potuto verificare che molti furono edificati su insediamenti preesistenti. Allo stato attuale delle ricerche non sappiamo se queste genti occupavano territori in precedenza antropizzati dai loro antenati, oppure se una nuova civiltà occupò le stesse aree, ma la carenza di elementi legati a guerre o invasioni farebbe supporre che le trasformazioni della società avvennero in modo naturale, senza traumi o cesure evidenti.
Le realtà archeologiche finora scoperte a tavolino e verificate sul campo, quelle determinate dai centri e quelle individuate dal tracciato delle direttrici, non possono essere considerate frutto di pura casualità, e gli studi preliminari di questa ricerca fanno supporre sviluppi in ambito regionale, con la conseguente imposizione d’interventi politici mirati. La sperimentazione di tale metodologia, applicata a macchia di leopardo in campo regionale, ha consentito l’individuazione di altri 35 potenziali Clan. Ciò testimonia che il metodo di antropizzazione fu applicato in tutta la Sardegna, isole comprese, come testimoniato a Sant’Antioco.
Nelle immagini, dall'alto: Il sistema Onnis applicato a Seruci, Sant'Antioco e nel Sulcis, con i clan confinanti.
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