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Il Sociale: qui una volta era tutta Tortona

Creato il 18 aprile 2013 da Silvietta @Silvietta
Cinema Teatro Sociale Tortona

Come molti miei concittadini, leggere ieri l’ennesimo grido di allarme sulle sorti dell’ex Cinema Sociale di Tortona mi ha risvegliato un’enorme tristezza, così come sempre più triste e desolata sta diventando la nostra città: andando a scavare leggermente sotto la superficie, dovremmo probabilmente sentirci tutti responsabili.

I fatti: l’ex Cinema Teatro Sociale di Tortona, abbandonato a se stesso, si avvicina a grandi passi ad una probabile una vendita che, vista la posizione centralissima, porterebbe alla sua demolizione, per lasciare il posto a (carissime) strutture abitative.

Calando un velo pietoso sulla discussione a proposito dell’opportunità di costruire nuovi condomini a Tortona (mi basti dire che abito nel mai completato “nuovo” quartiere di Via Guala), vorrei concentrarmi sulla vicenda specifica del Sociale, come lo abbiamo sempre chiamato tutti, e di Tortona nel suo complesso: una città che, dall’abbandono delle vie del centro, fino alla riduzione dell’Ospedale con la chiusura del punto nascite, non sa più come dirci che sta morendo.

Il Sociale, dicevamo; IL cinema di Tortona, per me e per quelli della mia generazione che se lo ricordano quando aveva un’unica sala, anche se sono cresciuta con i mitici racconti “cinefili” di mio padre, quelli di una Tortona con quattro sale cinematografiche (chiedete ai vostri genitori: il Sociale, appunto, ma anche il Verdi, il Moderno e il “Pidocchietto”).
Il cinema Sociale è rimasto IL cinema anche quando chiuse, nel 1995, e noi andavamo ad Alessandria per vedere Independence Day o Titanic. Quando riaprì dotato di ben due sale, nel 1998, era bellissimo, quasi avveniristico per l’epoca, e con quelle poltrone di velluto verde acqua, enormi, di cui riesco ancora a sentire l’odore se mi concentro.
Anche quando ha aperto la multisala vicino al centro commerciale, sono rimasta fedele al cinema “storico”, ma la situazione, ce lo ricordiamo tutti, è velocemente precipitata: non sono state poche le volte in cui, entrando in sala, ho scoperto che il numero degli spettatori presenti si contava sulle dita di una mano.

La sua probabile definitiva fine mi intristisce, anche se non sono una vera appassionata di cinema, come lo era mio padre alla mia età e, mi preme dirlo, anche se sono, come la maggior parte dei miei concittadini, una tortonese distratta, cresciuta con il mito di una terra promessa “oltre” Tortona, che rendeva ogni cosa al di qua del ponte sulla Scrivia o della Capitania più triste e “sfigato”.

È questo che sta uccidendo Tortona?

Qualcuno dice che è colpa delle scelte dei nostri amministratori, molti altri del periodo di crisi economica, che falcidia i posti di lavoro nella nostra zona e ci obbliga a cercare fortuna altrove, lavorando fuori città e, nella migliore delle ipotesi, a tornare a Tortona solo per dormire. Tortona, e la sua “fuga di cervelli” in scala ridotta. Chi rimane a lavorare in città è spesso chi è più fortunato, chi ha meno coraggio o chi non può fare altrimenti.

Non si può negare che Tortona, di opportunità, non ne offra più da tempo, in quella che ha tutta l’aria di essere una parabola discendente. Ma davvero parte tutto dalla crisi? Il declino di Tortona non è iniziato ormai da decenni?

Noi tortonesi non amiamo Tortona. Vorremmo che fosse più “milanese”, vorremmo che fosse più vicina al mare, vorremmo che almeno avesse un parco come quello di Salice o qualche negozio, per non andare all’Outlet o a Montebello. Probabilmente basterebbe che Tortona avesse meno tortonesi (situazione che, senza fare troppa fantascienza, si sta lentamente realizzando), che imparassimo ad andare a votare con un minimo di buon senso, e che provassimo a crederci, in Tortona; trentamila abitanti che, appena possono, vanno altrove, ma che allo stesso tempo, indipendentemente dalla qualità (di solito infima) dell’offerta, tornano a popolare i portici quando c’è qualche evento.

Basterebbe avere il coraggio, mal che vada, di “diventare grandi” altrove, fare carriera dove è ancora (più o meno) possibile crescere e imparare, ma poi ritornare a casa, ogni sera o dopo qualche anno “fuori”, e arricchire la città delle nostre esperienze, credere in Tortona e, se non altro, dare almeno il beneficio del dubbio ai tortonesi.

 

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