Piuttosto che l’ennesimo decreto, sarebbe sufficiente un disegno di legge che delega il Governo con un solo articolo a raggiungere definitivamente l’obiettivo di fare dell’Italia un Paese normale. Quell’articolo dovrebbe più o meno dichiarare: “Da domani – visto che su questo ci sono stati tanti dubbi nel passato – il rapporto tra Stato e cittadini è su basi eque, efficienti e ragionevoli. Ciò si applica anche ai debiti che lo Stato e i cittadini vantano reciprocamente e, dunque, a sanzioni, indennizzi, agi, interessi e meccanismi per la riscossione. Entro sessanta giorni Il Governo è delegato a presentare al Parlamento la legge quadro che assicuri l’attuazione di questo principio, provvedendo, ovviamente, a cancellare qualsiasi disposizione precedente che lo contraddica”.
Va bene il decreto del fare presentato dal Governo durante il fine settimana. Enrico Letta ha capito che queste “riforme a costo zero” valgono di più di grandi investimenti pubblici che sono, peraltro, impossibili.
Ristabilire un principio di legalità minima tra Stato e cittadini è quello che dai tempi di Adamo Smith è considerato prerequisito minimo per poter ospitare – attrarre o trattenere – imprese e produrre lavoro. E del resto era questo principio di equità, uno di quelli fondamentali sulla base dei quali fu costruita sessantacinque anni fa la Costituzione che rese gli italiani cittadini.
Ma i passi sono piccoli; gli articoli del decreto, nonché il numero delle leggi che si sono proposte di rendere l’Italia un Paese più semplice sono troppo numerosi; e, soprattutto, non si fissa un orizzonte temporale oltre il quale l’Italia potrà finalmente ritenere il percorso delle riforme finalmente compiuto, in maniera che possa toccare – da quel momento – a imprenditori e cittadini fare il resto.
Va bene proteggere le prime case e le imprese dai debiti con il Fisco, così come fu giusto cominciare il pagamento dei debiti della PA ai propri fornitori, perché continuare a far morire di fisco gli stessi soggetti che dovrebbero produrre e pagare le tasse è una specie di suicidio collettivo; introdurre gli indennizzi per ogni giorno di ritardo di un’amministrazione nel concludere un procedimento amministrativo perché è sacrosanto mandare il segnale che i funzionari pubblici cominciano concretamente a rispondere della qualità del servizio reso; promuovere il domicilio digitale visto che una quota parte impressionante della durata dei processi civili è speso nello stabilire se un determinato atto è stato notificato correttamente.
La questione non è quella di aggiustare le storture più evidenti e neppure di creare uno Stato dal “volto umano” : non è di questioni sentimentali che stiamo parlando ma di pretendere che Stato ,cittadini e imprese siano tutti ugualmente responsabili reciprocamente e che i rapporti siano basati sulla maturità e non sul paternalismo o sulla furbizia. Se un cittadino paga con ritardo deve essere sanzionato e nella stessa maniera, esattamente negli stessi termini , deve esserlo lo Stato se succede il contrario. E se lo Stato chiede e ottiene senza negoziarli degli agi per il lavoro che ci mette nel riscuotere, nella stessa identica misura va risarcito il cittadino o l’impresa che è costretta a difendersi da una richiesta nel caso in cui avesse ragione.
Sono principi che un Governo dovrebbe enunciare nei suoi obiettivi finali piuttosto che perseguire provvedimento per provvedimento, rischiando costantemente di dimenticarsi pezzi di regolamentazioni che si sono stratificate nel tempo e di creare, eventualmente, ulteriori confusioni.
L’Italia continua – ed è questa la nostra vera malattia – ad oscillare tra gli estremi del “troppo Stato” e quelli della totale assenza di regole. Lo confermano i dati essenziali del rapporto con il Fisco: siamo ai primissimi posti per evasione, ma anche agli ultimissimi nel mondo – posizione 131 dopo l’Iran e prima dell’Indonesia secondo la classifica della Banca Mondiale – per efficienza del sistema di accertamento e pagamento. Laddove il paradosso è solo apparente, perché è evidente che alla maggiore complessità si associano maggiori spazi per sottrarsi al proprio dovere con il risultato paradossale di rendere conveniente scomparire nell’economia sommersa.
Va bene dare, e subito, respiro ad un’economia che sta soffocando. Prima o poi, molto meglio prima, è, però, indispensabile che qualcuno dica quando questo interminabile processo di normalizzazione sarà concluso. Ciò sarebbe utilissimo per generare l’aspettativa più importante: che l’Italia sta per ridiventare un Paese nel quale è possibile fidarsi reciprocamente e lavorare, innovare senza avere la paura di un’amministrazione pubblica che oscilla perennemente tra troppa invasività e totale assenza. Il Governo che nasce dal superamento della guerra di trincea tra l’esercito dello Stato etico e quello del “libera tutti”, proprio su questo traguardo misurerà il proprio successo.