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Lunedì 02 Dicembre 2013 09:03 Scritto da Massimo Ferrario
Grande Vecchio, più in disparte, espirava ogni tanto larghe volute di fumo: piccole nuvole che si allargavano lente quasi a nascondere la lunga pipa. Ogni tanto si faceva questo regalo, dopo mangiato e prima del sonno: una fumata di buon tabacco forte, aspro e duro come lo spuntone di una roccia.
Ad un certo punto, Piccolo Uomo ruppe la sua ipnosi.
«E' male sognare, Grande Vecchio?».
Grande Vecchio manifestò stupore: «Che domanda strana, Piccolo Uomo: forse qualcuno te l'ha fatto credere? ».
«In città. Dicono che ho sempre la testa tra le nuvole e che sogno a occhi aperti. Che questo è il mio tempo, ma poi, quando crescerò, avrò da fare i conti con la realtà».
«E tu cosa ne pensi, Piccolo Uomo?».
Grande Vecchio gli si era avvicinato e lo guardava con comprensione.
«Che anch'io faccio i conti con la realtà. Già adesso. Infatti, quando non è estate e non sono qui con te, vado a scuola, devo fare i compiti, obbedisco ai grandi... Però non credo sia sbagliato sognare. A me piace, ogni tanto, pensare, immaginare, fantasticare... Credere che sia possibile... non so, fare qualcosa che ancora non c'è. Oppure credere in qualcosa che succederà...E poi, lasciarsi andare all'estro del momento, viaggiare con il pensiero, con quello che ti viene in mente lì per lì...».
«Gli adulti, Piccolo Uomo, vanno compresi: il tempo che passa ci matura e ci appanna insieme. Facendoci dimenticare i bambini che siamo stati. Il sogno è vita. Diceva uno dei tanti maestri di umanità, un signore chiamato Jung, un grande amico dell'anima umana: "chi guarda dentro sé, veglia; chi guarda fuori di sé, sogna".
«Loro però dicono che non hanno tempo di sognare, perchè debbono fare le cose. E se non ci fossero loro a decidere, produrre, costruire...».
«Hanno ragione: bisogna anche fare le cose. Ma senza sogni, non ci sarebbero idee. E sono le idee che guidano e partoriscono i fatti. Anni fa un vecchio mi fece dono di un antico proverbio spagnolo: "chi non sa fare castelli in aria, non li sa costruire neppure in terra". No, non ti preoccupare, Piccolo Uomo: sognare fa bene. E in fondo, questo, lo sanno anche gli adulti. Ciò che temono è altro».
«Cosa, Grande Vecchio?».
«Se vuoi, ti racconto una breve storia».
Piccolo Uomo staccò gli occhi dal fuoco, incuriosito.
«Certo che lo desidero. Siamo anche accanto al fuoco...!».
«Allora ascolta. C'era una volta una bambina. Una bambina uguale a tante di cui si racconta nelle favole. Aveva la tua età ed era la maggiore di sette fratelli. La mamma era morta da tempo e lei doveva provvedere a tutto. Accudiva le sorelle più piccole, rassettava la casa, cucinava, lavava. Ogni giorno le stesse cose: rifare i letti, spazzare, pulire, cucire... Mai una distrazione, mai un divertimento: il padre aveva un lavoro precario e guadagnava pochissimi soldi, che non bastavano mai per la famiglia numerosa. La bambina, che chiameremo Occhidicielo per il colore di azzurro intenso dei suoi occhi e perchè amava perdersi a guardare il cielo che sconfinava dalla finestrina di casa sua, era bellissima. Quando andava in paese per fare la spesa, tutti si fermavano ad ammirarla: per il suo sorriso innocente, per il suo passo simile a una danza e per i suoi movimenti aggraziati come quelli di un angelo. E molti ragazzi facevano intuire il loro desiderio di poterla un giorno avere come sposa. Occhidicielo ringraziava tutti dei complimenti, ma custodiva un segreto. Da quando la mamma, prima di morire, una notte in cui lei era piccola e stava male per la febbre alta, le aveva raccontato la favola di Cenerentola, lei coltivava un sogno: di venire un giorno rapita da un principe. Sì, il solito principe azzurro delle fiabe. Era un sogno: lei lo sapeva. E sapeva che i principi azzurri esistono solo nelle favole. Però lei continuava a sognare il suo sogno e – non lo avrebbe mai confidato a nessuno - in fondo lei ci credeva. E aspettava che si avverasse».
Piccolo Uomo non perdeva una battuta: era entrato nella favola, aveva Occhidicielo seduta accanto e faceva il tifo con lei per il suo segreto. Anche lui attendeva il Principe.
«Una mattina, mentre Occhidicielo stava rifacendo i letti dei fratelli, nella stanza situata nella parte alta della piccola casa in cui abitavano, si sentì lo scalpitìo di un cavallo. Occhidicielo non ci badò: era giornata di mercato e passavano in tanti, con i loro carri e le loro mercanzie, per raggiungere la piazza del paese. Poi, però, si udì una voce, chiara e forte: "Occhidicielo!". La bambina si bloccò, con lo spazzolone in mano: nessuno l'aveva mai chiamata, in quel modo, dalla strada. Pensò di aver sentito male. Ma la voce ripetè: "Occhidicielo!". Non c'erano dubbi: volevano lei. Si affacciò. E...».
«... era il Principe azzurro, naturalmente!», anticipò Piccolo Uomo, come per rompere la tensione e pregustarsi la felicità di Occhidicielo.
«Infatti, il Principe in persona. Giovane, bello, forte e vestito di azzurro come si conviene alle favole che appunto parlano di lui. Occhidicielo pensò ad una allucinazione, ma il Principe la risvegliò: "Che fai adesso, Occhidicielo, fingi di non riconoscermi? Non sei stata tu a sognarmi? Avanti, esci sul balcone e scavalcalo: io sono qui sotto e ti prenderò: sali con me sul cavallo bianco". Occhidicielo non poteva crederci. Il suo sogno si era avverato: lei aveva sognato il suo principe azzurro e lui era arrivato. Si tolse il grembiule, posò lo spazzolone e si lasciò andare dal balcone nelle braccia del Principe: che dolcemente, dandole un bacio leggero sulle guance, la sistemò sulla sella alle sue spalle. Lei lo abbracciò e il cavallo si mosse. "E adesso, mio Principe, dove mi porti?", chiese felice Occhidicielo. Il Principe si voltò, sorridente: "Eh no, Occhidicielo. Tu mi hai sognato e io sono venuto. Ma il sogno è tuo: adesso sei tu che mi devi dire dove vuoi andare!».
Piccolo Uomo fece fatica a riportarsi lì dov'era: accanto al fuoco, con Grande Vecchio, e non a cavallo, con Occhidicielo e il Principe azzurro.
«Credo di aver capito, Grande Vecchio, ciò che temono i grandi: i sogni si possono avverare e quando si avverano ci possono 'portar via'. E questo a loro non piace».
«Già. Il sogno può avverarsi. Ma se lo sappiamo sognare, come ha fatto Occhidicielo. Con determinazione e insistenza. Certo, quando poi si avvera, il sogno ci può 'portar via'. Ma dove può portarci - ci ricorda il Principe -, lo decidiamo noi. Ecco, forse è questo il nostro vero timore: quello che ci fa preferire di non sognare. Il timore che, quando il sogno si realizza, dobbiamo abbandonare la realtà in cui viviamo per scegliere verso quale altra realtà andare. Forse, inconsapevolmente, ci spaventa poter essere finalmente protagonisti, non più passivi. Poter agire. Senza più lamentarci.»
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Massimo Ferrario, 1999 - In 'Mixtura 2000', Dia-Logos, Milano, dicembre 1999. - Testo riivsto nel 2013