Basta che l’immagine dell’Italia – a causa della vita dissoluta del suo premier oppure per qualche altro motivo poco edificante – subisca un danno più visibile di quelli che ormai ci siamo abituati da tempo a sopportare, e subito qualcuno è lesto a ritirare fuori il tema dell’autodeterminazione. L’ha fatto adesso l’onorevole Karl Zeller, contraddicendo peraltro le recentissime affermazioni del Landeshauptmann, il quale aveva affermato che parlare di secessione o di stato indipendente avrebbe evocato lo spettro della guerra civile.
Riscontrare questa difformità di vedute (anzi, di “visioni”) tra i vertici della Svp non è una grande novità. Proprio nella capacità di unire o mediare posizioni contrastanti è sempre consistita la gommosa tenacità del partito di raccolta. Forse però non è il caso di accostarci alle dichiarazioni di Zeller con un atteggiamento distaccato o, peggio, indifferente. Occorre fornire una replica puntuale, discutendo nel merito le questioni e le prospettive che da qui in avanti potrebbero emergere con più insistenza all’interno del discorso pubblico sudtirolese (a cominciare da quella della sua futura leadership).
Diciamo subito che il respiro pare corto (anche se non così corto come quello che conosciamo in base ai proclami dei soliti patrioti). Come accennavo all’inizio, Zeller muove dallo stato d’imbarazzante difficoltà nel quale versa l’Italia. Si tratta di una motivazione comprensibile, ma debole. Il progetto dell’indipendenza sudtirolese – indicandolo anche soltanto come un’ipotesi – non può nutrirsi delle disgrazie altrui, secondo il modello di una scialuppa che abbandona la nave in fiamme. Sarebbe piuttosto necessario sviluppare una maggiore solidarietà tra le componenti linguistiche, una forza cioè che fosse in grado di mobilitare energie positive e animare una trascinante volontà di coesione interna. Prerequisito finora mancante.
Zeller, bontà sua, non dimentica comunque gli italiani. È ormai per fortuna un’ovvietà ritenere che senza la loro approvazione sarebbe del tutto velleitario proporre un cambiamento di tale portata. Ma com’è possibile anche solo sperare di coinvolgere gli italiani senza almeno accennare a un processo di profonda revisione (e non ribaltamento) dei presupposti “etnici” che hanno sin qui alimentato e regolato lo sviluppo dell’autonomia? La sensazione è che il “Libero Stato del Sudtirolo” sognato da Zeller assomigli moltissimo a quello che abbiamo già. Almeno dai sogni pretendiamo qualcosa di meglio.