Riprendo qui un filo ininterrotto (nella mente e nella scrittura) che parte dalla riflessione intitolata La memoria e il ricordo, risalente al febbraio scorso.
Prendo spunto da una lettura di questi giorni. Nella bellissima Introduzione di Giacomo Jori alle Storie di spettri di Mario Soldati trovo:
“Non sarà un caso che due degli autori della letteratura italiana più competenti e hantès dagli spettri, il Tasso e Mario Soldati, siano entrambi, a secoli di distanza, allievi dei gesuiti, se la spiritualità e la pedagogie ignaziane istruiscono ad abitare la psiche per sostituire gli spettri, l’”idolo” o immagine mentale, che coincidono col nulla, con la realtà viva della Reincarnazione.”
Che sarebbe poi “quel bisogno tragico di liberarsi – che è fatalmente tradire – dai retaggi ancestrali, dalle inerzie dei riti e delle nevrosi sociali, che si trasformano, appunto, in idoli, in destini bloccati, in “spettri” (p. IX).
Ecco. A volte accade che quegli idoli, quelle immagini che ci vengono da lontano, dalle profondità dell’Inconscio e del nostro passato interiore e quindi inconsapevole, ci si presentino nella Realtà. E che si cerchi con tutte le nostre forze di raggiungerle. Cerchiamo di piegarle, di plasmarle forzatamente per farne ciò che vogliamo, per abitarne il nostro labirinto interiore, e loro cedono inizialmente, si trasformano e ci illudono, perché non potrebbero fare altro: esse sono fatte della materia dei sogni, esse sono, appunto, spettri.
Di come però talvolta accada di desiderare queste ombre con un senso ancestrale e violento di nostalgia (lo sapevano bene i Greci, per i quali la parola Nostalgia, nòstos, equivaleva a ‘ritorno’) ci racconta magistralmente Arthur Schnitzler, nella novella Doppio sogno (in tedesco Traumnovelle, ‘racconto di un sogno’).
La novella inizia con un piccolo idillio: è sera in un interno borghese, una bambina sta leggendo la favola consueta prima di andare a letto, davanti agli sguardi sorridenti e soddisfatti dei genitori. Poi, rimasti soli, Fridolin, medico affermato, e sua moglie Albertine, rievocano la festa di Carnevale cui hanno partecipato la sera precedente. Di qui si lasciano andare ad insospettabili confidenze, dalle conseguenze impreviste. Lei gli confessa di aver sognato di tradirlo con un giovane intravisto nella loro vacanza estiva in Danimarca. Lui, colpito da questa rivelazione, sebbene si tratti solo di un sogno, o tutt’al più di un sogno ad occhi aperti, esce per una chiamata notturna e si ritrova, nel corso di quella stessa notte, a vivere un’esperienza che non dimenticherà più.
Fridolin incontra casualmente un vecchio compagno di studi, Nachtigall, il quale, abbandonati gli studi medici per coltivare la passione per la musica, non è riuscito a perseguire neanche quelli e spreca il suo talento suonando il pianoforte alle feste esclusive dell’alta borghesia. Proprio quella notte dovrà suonare, bendato, in una di queste feste, cui si può accedere solo dietro parola d’ordine. Al colmo della curiosità, Fridolin non resiste e, protetto da una maschera noleggiata al momento, si fa introdurre nel misterioso festino. Kubrick ha reso indimenticabile questa scena nel film Eyes wide shut:
La donna che appare nella sua sfolgorante bellezza, nel libro e nel film, celata da una maschera, si immola per salvare la vita del malcapitato Fridolin. Il quale è l’unico a mostrare il proprio viso, come a dire, l’unico disposto a far entrare un principio di realtà in quella dimensione fantasmagorica, seduttiva e terribile, dove tutto si gioca su regole prestabilite e fatali, dove le emozioni sono vincolate al ritmo di una musica trascinante e angosciosa e alle clausole ineluttabili del rito. In quella festa, prendono forma il sogno e il desiderio del protagonista, che si materializzano nell’immagine della bella sconosciuta, amata fin dal primo momento perché già perduta, anche se all’indomani della festa Fridolin farà di tutto per rintracciarla, in una ricerca dall’esito fallimentare.La materia del sogno e dell’evasione dal quotidiano si manifesta quindi come qualcosa di uguale a se stesso, di una bellezza incomparabile e con le caratteristiche dell’Assoluto. La colpa di Fridolin è quella di aver voluto trascinare questa dimensione di Assoluto nel mondo reale, togliendosi la maschera, senza avvertirne l’inevitabile caducità. Del resto, solo questo attraversamento iniziatico, doloroso, gli consentirà di tornare alla suaRealtà, al quotidiano e alla moglie amata. Solo l’attraversamento del sogno, e lo smascheramento dei suoi fantasmi ossessivi, possono ricondurre il protagonista a recuperare il baricentro su se stesso e sui suoi veri desideri.
E se non l’avesse fatto? Se non fosse mai entrato in quella festa, in quel suo sogno seduttivo? Se non avesse avuto il coraggio di sperimentare e vivere il suo sogno fino in fondo?
Forse sarebbe rimasto per sempre come il protagonista di questa canzone.
Un adolescente seduto di fronte ad un cielo eternamente azzurro, suonando la chitarra, perduto dietro un paesaggio di sospiri, pensando di andare lontano (maybe I’ll go far) e contemporaneamente in nessun luogo (going nowhere). Perché in nessun luogo reale lui riesce a far abitare il sogno e, così facendo, rimane immobile in quella luce azzurra, schiavo di quei sogni che non ha avuto il coraggio di far diventare realtà.
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