Nell’ultima settimana, sia la Nato che la Russia hanno fatto registrare una specie di escalation nel rafforzamento militare ai confini. La Nato ha comunicato la decisione statunitense di inviare armi pesanti (tank e blindati) nelle repubbliche baltiche, la Russia ha risposto dicendo che si sentiva minacciata e così avrebbe predisposto una quarantina di missili balistici nucleari nella basi più vicine all’Europa.
La decisione americana di usare il Baltico come parcheggio per carri armati (semi-cit. delFoglio), nella speranza di creare deterrenza e “non” fare la guerra con Putin ─ e ci mancherebbe altro ─ è arrivata dopo nuove evidenze di movimenti russi al confine ucraino. Settimane fa i reporter della Reuters avevano visto e raccontato i movimenti di mezzi militari verso un poligono di tiro diventato base militare a soli 50 chilometri dentro la frontiera russa: un incremento di oltre due terzi della presenza. Lo scorso anno, proprio in estate i ribelli separatisti filo-russi lanciarono una sanguinosa offensiva contro Kiev.
Il governo russo opera una netta distinzione tra ciò che chiama “volontari” provenienti dalla Russia ─ e cioè combattenti con esperienza militare che non sono attualmente arruolati nelle forze armate russe, ma stanno combattendo in Ucraina per scelta ─ e i militari attivi che potrebbero essere in Ucraina soltanto dietro a un ordine chiaro e diretto dell’esercito russo, e quindi dell’esecutivo stesso. Il presidente Putin ha più volte ribadito che non ci sono combattenti di questo secondo genere.
È una distinzione fondamentale per il governo russo, perché: uno, per essere presenti i soldati russi in Ucraina, dovrebbero aver ricevuto l’approvazione del Parlamento ad una missione militare, ma non essendoci nessun documento ufficiale del genere, vuol dire ─ a detta del Cremlino ─ che non è possibile che ci siano militari russi in suolo ucraino; secondo, se Putin ammettesse l’impegno militare contro Kiev, sarebbe molto più difficile per lui giustificare la crisi economica del Paese con le “ingiuste” (a detta sua) sanzioni occidentali; se ammettesse di portare avanti una guerra di annessione non provocata verso un’altra nazione sovrana, avrebbe un possibile calo di consensi vista la situazione russa ─ da notare che la maggioranza della popolazione era a favore dell’annessione della Crimea (meno ad un’azione militare), perché vedevano quello che stava succedendo nella penisola ucraina come una legittima sollevazione popolare (contro i “nazisti” ucraini, ci si tornerà).
La verità però è che, se si tralasciano le posizioni ufficiali di Mosca (che hanno un chiaro secondo fine propagandistico), le prove della presenza militare russa all’interno dell’Ucraina sono ovunque: in primo luogo sui social network, che in questo momento danno molto spesso una visione più completa di quella che si ottiene dal campo. A fianco a queste evidenze, chi segue il conflitto(i) su Facebook o Twitter, per esempio, si è abituato a convivere con una serie di falsi e bufale: alcune volute, frutto di operazioni mediatiche e di propaganda studiate a tavolino, altre frutto della disattenzione e del cattivo processo di controllo e verifica delle informazioni. È così che “prove schiaccianti” di soldati russi in Ucraina sono rinvenibili in foto che invece sono state scattate sette anni fa in Georgia, e le facce dei “nazisti pro-Kiev” sono quelle di membri di gruppi neonazi russi ─ i “nazisti” sono uno dei grandi temi di questo conflitto: la Russia li usa e li ha usati come spauracchio storico per definire la base pro-Kiev ucraina, quelli che secondo Mosca hanno generato il caos nel Paese per prendersi il governo, e dunque vanno (per ovvie ragioni, tra cui quelle storiche, appunto) combattuti; ovvio dire che non è così, basta vedere i risultati dei partiti di estrema destra alle ultime elezioni, i due partiti più estremisti (Svodoba e Settore Destra) insieme non raggiungono il 3 per cento.
Il fatto che nel “mondo” del conflitto ucraino esistano vari generi di bufale e disinformazioni che si diffondono rapidamente in Internet, si potrebbe definire “l’epidemia del momento”. Altri nodi di quella stessa rete, però sono personaggi come Eliott Higgins, il blogger di “Brown Moses”, che indagano e verificano continuamente con estrema professionalità il materiale che entra nei social network dal campo (sono la cura a quelle malattia). Al punto che Higgins, insieme ad Aric Toler(uno che fa il suo stesso lavoro), è stato assunto dall’Atlantic Council per contribuire al report “Hiding in Plain Sight” (più o meno “nascondersi in piena vista”): foto di uomini al fronte, georeferenziazione delle posizioni, analisi degli armamenti e delle divise, tutto basato su fonti open-source (essenzialmente i principali social network), che dimostrano il coinvolgimento russo.
Il report ha suscitato polemiche in Russia, dove i media pro Cremlino lo hanno definito fazioso e frutto della linea politica dell’Atlantic Council.
Vice News ne ha però consolidato l’attendibilità tracciando il percorso di un soldato russo con cui aveva avuto contatti precedentemente. L’uomo si chiama Bato Dambaev, è un buriato, etnia siberiana al confine con la Mongolia, che è regolarmente arruolato tra i soldati russi. Dambaev aveva postato su VK (una sorta di “Facebook russo”) diverse foto che lo ritraevano in uniforme: il reporter di Vice Simon Ostrovsky ha ripreso le foto e si è recato esattamente nei posti in cui erano state scattate da Dambaev ─ così in alcune immagini si vedono affiancate le foto del soldato e quelle del giornalista. Il percorso seguito dal reporter (qui il video) ha fatto tappa sia lungo le zone di confine dove Mosca ha ammassato migliaia di soldati, sia all’interno del territorio ucraino.
Tra i vari posti, è stato ritrovato il luogo esatto di un’istantanea scattata da Dambaev ad un posto di blocco. Dambaev (con diversi altri compagni) era in mimetica senza insegne e con un bracciale bianco al braccio ─ abbigliamento tipico delle forze ribelli filorusse. «Presa da sola, la fotografia di un soldato con sembianze asiatiche, in piedi su alcuni sacchi di sabbia, in posa con un fucile in mano, non sembrerebbe indicare molto» scrive Vice. Se non che quella foto è stata scattata ad un posto di blocco a pochi chilometri da Debaltseve, una città dell’Ucraina orientale teatro a febbraio (nei giorni in cui si facevano gli accordi Minsk II) di violenti scontri che hanno visto la vittoria dei separatisti e il ritiro delle truppe governative. Una passaggio strategico conquistato dai ribelli, che collega Luhansk con Donetsk, e che senza il coinvolgimento russo, con i soldati come Dambaev, forse ancora sarebbe in mano a Kiev.
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