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Il Sole se ne infischia dei pianeti

Creato il 06 settembre 2013 da Media Inaf
Macchie solari riprese dallo Swedish Solar Telescope all'Osservatorio Roque de los Muchachos di La Palma, Spagna.

Macchie solari riprese dallo Swedish Solar Telescope all’Osservatorio Roque de los Muchachos di La Palma, Spagna.

Contrordine compagni, i pianeti non influenzano l’attività solare. Lo aveva suggerito lo scorso anno uno studio su Astronomy and Astrophysics letto con grande attenzione dagli specialisti di fisica solare. Nello studio, Jose Abreu dell’Università di Zurigo e i suoi colleghi effettuavano una analisti statistica delle variazioni periodiche dell’attività solare, basata sulla misurazione degli isotopi radioattivi di berillio e carbonio negli strati di ghiaccio polare, risalendo indietro fino a 9400 anni fa. Infatti, gli eventi solari come i brillamenti o le espulsioni di massa coronale proiettano verso la Terra flussi di materiale che contiene “firme” particolari, e che appunto dà luogo sul nostro pianeta a insolite concentrazioni di particolari isotopi di alcuni elementi. Quegli isotopi rimangono intrappolati nelle calotte polari così come negli anelli degli alberi secolari, e possono essere utilizzati per un’analisi di lungo periodo dell’attività solare, che oltre al ben noto ciclo di 11 anni (periodo in cui il campo magnetico del Sole si inverte) presenta periodi di maggiore e minore attività anche su scale di tempo più lunghe.

La causa di questa periodicità (che mostra alcuni pattern piuttosto regolari) è sempre stata argomento di dibattito per i fisici solari, e una delle ipotesi in campo è che il Sole senta a sua volta l’influenza gravitazionale dei pianeti che gli orbitano attorno. Proprio questa ipotesi veniva sostenuta dallo studio di Abreu: dove si dimostrava che la “storia” dell’attività solare ricostruita grazie all’analisi degli isotopi era compatibile con una simulazione degli effetti che potrebbe avere la gravità esercitata dai pianeti sul Sole (che nel modello al computer rappresentavano di forma elissoidale).

Insomma, i conti sembravano tornare, e le variazioni periodiche nell’attività solare sembravano riconducibili ai periodi delle orbite dei pianeti.

In un nuovo studio pubblicato nuovamente su Astronomy and Astrophysics, tuttavia, Robert Cameron e Martin Schüssler del Max Planck-Institut di Lindau, in Germania, si sono presi la briga di passare al setaccio l’analisi dei loro colleghi, concludendo che contiene errori “concettuali e tecnici” nell’uso della statistica, come spiegano loro stessi. In sostanza, le variazioni nell’attività solare che Abreu ricavava dall’analisi degli isotopi nei ghiacci hanno più probabilità di essere il frutto di fluttuazioni casuali nella dinamica solare di quante ne abbiano di essere causate dal passaggio dei pianeti. Quello studio conterrebbe insomma il più classico degli errori per un fisico: sposare, come spiegazione di un fenomeno, un’ipotesi meno probabile di una semplice coincidenza. E il problema di che cosa causi le variazioni di lungo periodo nell’attività solare rimarrebbe ancora senza risposta.

Per saperne di più 

Fonte: Media INAF | Scritto da Nicola Nosengo


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