“Il sole si spegne” (斜陽 Shayo), titolo poetico quanto drammatico, che descrive l’ineluttabilità di un destino, che è contemporaneamente quello personale, dell’autore e dei suoi personaggi, e quello di un’intera generazione giapponese, che ha vissuto sulla propria pelle il travagliato periodo postbellico, con tutto il portato sociale, culturale e politico che questo comporta.
Sconfitta di un progetto di nazione e sconfitta di un progetto di uomo, questo si legge, fra le righe disperate di Osamu Dazai (太宰 治, pseudonimo di Shuji Tsushima; 1909 –1948), autore suicida che ha vissuto interamente sulla propria pelle lo scacco esistenziale che affligge, a vario titolo, tutti suoi personaggi.
Il nucleo narrativo di questo romanzo rispecchia infatti in larga parte le vicende personali dell’autore, figlio di una famiglia aristocratica in rapido declino, che non riesce, non vuole riciclarsi in una società nella quali i valori di riferimento sono profondamente mutati, e vive quindi un depauperamento che è in prima istanza morale, ma anche inequivocabilmente economico.
La risposta di Osamu Dazai a questo tramonto di un’epoca, è, a differenza di un Mishima, ad esempio, profondamente pervasa da una sensibilità disperata e sofferta, che ha nel sentimento di perdita e dissoluzione la sua matrice più vera.
Ne “Il sole si spegne” la giovane Kazuko, rimasta ad accudire la madre, vedova malata, e il fratello Naoji (alter-ego dell’autore), reduce di guerra con problemi che oggi potremmo ricondurre al PTSD; tentano una disperata quanto dolorosa fuga dalla loro disperata condizione, senza orientamento e senza direzione, l’una cercando risposte in un amore impossibile con un attempato scrittore bohemienne, l’altro rifugiandosi nella distruttiva dipendenza da droga e alcool.
Narrativamente piuttosto semplice e lineare, come storia, ma che trova la sua ragione d’essere, e il suo grande valore letterario, nel profondo significato autobiorgrafico, ma anche nella penetrante e toccante analisi psicologica e culturale, di certo non banale e scontata.Un’opera che con poco riesce a dire molto, descrivendo paesaggi emotivi drammatici e desolati, parlando direttamente all’anima, scavalcando i rigidi formalismi di una società cristallizzata attorno a convenzioni spesso inadatte a gestire il cambiamento.
Un silenzioso grido di dolore, che spegne il sole, in un eclissi di valori che è il disfacimento dell’unità di un popolo, disgregato, atomizzato nell’individuale angoscia, nella personale inadeguatezza, nell’oblio di un passato che è come un ponte spezzato a metà dall’uragano della storia.