Il sonno della ragione genera mostri – Goya
Non aveva dovuto aspettare a lungo prima che arrivassero. Era ormai un appuntamento fisso, tutte le sere, estremamente puntuale. Non si curavano di bussare la porta loro, irrompevano nella stanza, noncuranti di tutto e di tutti.
Silenziosi, quatti quatti, inquietanti e spaventosi come gli incubi che portavano con loro, si avvicinavano e scatenavano in lei sensazioni e pensieri che avrebbe voluto scacciare con un solo gesto della mano.
“Andate via! Via!”- dentro di lei gridava, ma a loro che importava…
Nell’oscurità della stanza si trovavano a loro agio, si muovevano disinvolti e sapevano benissimo quali erano le procedure da rispettare.
Cosa avrebbe dato per essere accolta il prima possibile tra le braccia di Morfeo, e poi coccolata e rassicurata dalla visione di un’altra realtà… le piaceva pensare al Paese delle Meraviglie di Alice oppure no, forse sarebbe stato meglio entrare dentro un quadro di Picasso, perdersi nei frammenti, negli oggetti appena accennati, saltare da un riquadro ad un altro e girare intorno alle sezioni di piano, bidimensionali, scevre di qualsiasi profondità o senso della prospettiva.
Oh come sarebbe stato bello! Si immaginava bambina, con degli occhioni grandi, curiosi e uno sguardo furbo, vispo. Si, avrebbe visto tutto con enorme stupore e si sarebbe entusiasmata all’idea di parlare con Ambroise Villard, e di suonare con i tre musici e di posare con le Demoiselles d’Avignon.
Guernica – Picasso
Ma dopo numerosi salti sarebbe arrivata a Guernica e lì lo scenario però lì non sarebbe stato dei migliori: donne urlanti, disperate per la perdita del figlio, gente riversa sul terreno, implorando aiuto, tori e cavalli in fuga mentre fiotti di persone cercano avrebbero cercato rifugio dagli ordigni che cadevano inevitabilmente dal cielo.
Il dolore, la cattiveria, il male… No, nei sogni questo no, vi prego! Potete fare di tutto, fatemi stare male, fatemi piangere per una notte intera, ma non contaminate anche i miei sogni, sono l’unica cosa pura che mi è rimasta!
La sue grida si confondevano con quelle che provenivano dalla piazza della città e il fischio delle bombe era sempre più forte mano a mano che queste si avvicinavano al terreno.
I mostri erano entrati anche là e lei si sentiva ormai persa, disorientata, abbandonata a se stessa. Per inerzia proseguiva la sua corsa disperata, cercava di non voltarsi poiché aveva il timore di ritrovarsi quelle sagome scure a pochi centimetri dal suo viso e sentire il loro alito sulla bocca, sul naso, sugli occhi… “Scappa, scappa” continuava a ripetersi.
L’istinto di sopravvivenza non è qualcosa che scegliamo di attivare noi, a nostro piacimento, in realtà lui è sempre presente, nel nostro inconscio, e nel caso in cui ce ne fosse bisogno mostra la sua vera natura. E proprio in quel momento era affiorato e senza che lei si accorgesse di nulla, stava controllando le sue azioni, i suoi movimenti.
Fermo immagine. Un fiore, proprio lì, accanto alla mano di quell’uomo che impugna ancora una spada, spezzata.
Neanche lei capì quale strana reazione chimica si fosse azionata nel cervello vedendo quel fiore, fatto sta che questo lo riempì di una strana fiducia, in se stessa, nelle sue capacità, sia intellettive che fisiche. Sentiva una strana energia dentro di lei che a parole non avrebbe saputo spiegare, anzi l’avrebbe trovato limitante, cercare di chiudere nei contorni di alcune lettere il senso di una tale sensazione.
Allora prese le spada, fece un lungo respiro, guardò un’ultima volta il fiore e si voltò.
Surreal Drawing by Sebastian Eriksson
Nulla. Tutto era calmo, estremamente tranquillo, un paesaggio ameno si stagliava di fronte ai suoi occhi. Non capiva, un attimo prima era in una piazza piena di persone che correvano come forsennate da una parte all’altra della strada, ricoperte di sangue, con bambini morti tra le braccia e mani rivolte al cielo, chiedendo perdono ad un Padre che non era stato abbastanza attento da sentire quelle suppliche.
Passarono ancora alcuni momenti di perplessità profonda, eppure quello spettacolo non cambiava, la leggera brezza le accarezzava il viso e gli alberi muovevano dolcemente le loro foglie accompagnandole in una danza lenta ed elegante.
Poi si ascoltò e si accorse che dentro di lei non c’era più alcuna voce, tutto era calmo, tutto era quieto. La battaglia era finita. Nessuna dicotomia divideva più la sua testa.
Quel viaggio assurdo non era stato altro che un’assurda creazione della mente, frutto di paure che non aveva imparato ancora a gestire, a controllare.
Le era bastato un input, un semplice fiore, per capire che il coraggio era insito dentro di lei e che i mostri erano solamente proiezioni dei suoi neurodeliri.