Nel buio eterno dell'aldilà i morti siedono a milioni nel silenzio desolato del nulla senza fine. Uno dopo l'altro prendono la parola per raccontare chi furono in vita ma nessuno degli altri ascolta, ognuno perso nella propria infelicità, ancora a domandarsi il senso della vita quanto della morte. Un "c'era una volta" per quella che non è una favola ma un triste rosario: "Noi non possiamo dimenticare niente". Un morto ricorda di aver vissuto vicino al mare e che ascoltava "la tempesta e il silenzio"; uno fu un uomo importante, l'altro un noto commerciante; uno aveva pensato solo a lavorare per poi morire nell'unica occasione in cui si interessò ad un altro essere umano; uno fu un assassino, uno rubò la gioia agli altri perché voleva "diventare l'uomo più felice del mondo". Un morto resta in silenzio perché "per parte sua, non aveva sperimentato nulla di grande [...]; aveva vissuto soltanto con una quieta gioia", lavorando come guardiano di un gabinetto pubblico. Tanti si sentono terribilmente soli:" Ognuno ben sentiva la propria sofferenza, ma non concepiva quella dell'altro, soltanto la intuiva vagamente così come s'intravede un debole chiarore nella lontananza della morte". Un innamorato parla dell'amata che dopo cent'anni, a suo dire, lo aspetta ancora sulla riva di un fiume, testardo e ossessionato solo dal suo sentimento a dispetto del tempo e della morte, nonostante un vecchio gli ripeta come un mantra: "Che cos'è l'amore, che cos'è la vita, quando siamo tutti morti?". C'è poi un essere antico, privo di ricordi, che non ha nemmeno il dono della parola: solo un odore lo lega alla sua vita terrena. Uno che era sempre felice volle uccidere un uomo "perché la luce era troppa" e anelava ad un po' di buio. Anche Gesù, che fu "il salvatore dell'umanità" dice:" Quando venni qui, non ebbi padre. Fui un uomo come voi". Allora la moltitudine infinita prende una decisone:" Non posso sopportare la mia solitudine in uno spazio che non ha fine. Voglio cercare dio, ciò che è sempre vero". Così, con la forza della disperazione, si mettono in marcia per cercarlo, "per renderlo responsabile della povertà della vita". Ma dio è solo un vecchio falegname senza risposte e sa solo ripetere:"Io non ho inteso la vita come qualcosa di notevole. Ho fatto il meglio che ho potuto". Come troveranno, allora, pace?
Suggestivo e complesso, questo piccolo libro non è di facile lettura. Come osserva Italo Alighiero Chiusano, il curatore dell'introduzione, da sempre i poeti hanno fatto parlare i morti ma Pär Lagerkvist lo fa con la sofferenza di un cuore straziato dal dubbio e dalla segreta e, forse, inconfessata speranza che quel Dio negato giunga all'improvviso a confortarlo in una luminosa epifania. Dopo aver perso la fede da giovane, infatti, Lagerkvist cercò per sempre risposte, anche attraverso la sua arte, e fu infatti poeta, drammaturgo, autore di racconti e romanzi, sì da essere annoverato tra i classici svedesi. Nel 1951 meritò anche il Nobel per la letteratura. Tuttavia, mai colmò questo vuoto interiore e mai trovò le risposte al perché della vita e della morte che cercava, fino alla morte nel 1974. E le sue domande trovano eco qui, nelle voci senza volto dei protagonisti di questo libretto, alla ricerca di certezze negate all'Uomo. Un libro dunque per chi si fa quelle stesse domande, ma anche per chi crede di aver già trovato le sue risposte, perché è la condizione stessa dell'Uomo, e di quello moderno in particolare, ad esigere momenti importanti di riflessione come quelli offerti da Il sorriso eterno.
(di Alessandra Farinola)
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