IL SU-POST. Assalto mediatico a Pisapia: ein Volk, ein Reich, ein Fuhrer
Creato il 21 maggio 2011 da Massimoconsorti
@massimoconsorti
PillolaSiccome a Milano non lo vogliono per il comizio finale (“è controproducente”), Silvio ha pensato di dare una mano a Laetitia nell’unico modo che conosce e che gli è concesso: occupare militarmente i media, tivvù in primis. Tale e quale a Gheddafi, Ceausescu, Fidel Castro, Lukashenko (che Gnazio continua a scambiare per una marca di vodka), Mussolini dell’Istituto Luce e della cinematografia hitleriana dell’ein Volk, ein Reich, ein Fuhrer, Berlusconi, nella giornata di ieri, ha spadroneggiato su tutte le reti televisive usando il suo solito format: il videomessaggio senza contraddittorio (e la presenza in studio con le risposte alle domande di Bonaiuti) che, nel linguaggio dei servi stipendiati vengono erroneamente definite interviste. Calcolando i tempi della messa in onda dei vari Tg, Silvio è apparso su Italia1, Rete4, TgUno, Tg5, TgDue (in voce al Gr1 e Gr2) infestandoli con le solite cialtronerie a basso costo e con l’inesauribile verve comica che lo ha reso famoso nel mondo. Un misto fra Arlecchino e Pulcinella (con la sublimazione dell’unico aspetto che unisce le due maschere, e cioè l’incontenibile voglia di mentire), Silvio nostro che (speriamo) andrà nei cieli, ha premuto il pulsante play e dato l’avvio al solito ritornello, confermando la teoria di Toto Cutugno che prevede, per vincere Sanremo, di riutilizzare sempre la stessa canzone con qualche piccola variazione. Capo dei revisionisti e negazionisti della Storia patria, Silvio ha toccato l’apice del suo show quando ha descritto lo sventolio delle bandiere rosse (“con la falce e il martello” – ha tenuto a precisare), che hanno ricominciato a sventolare nella sua città “Communist Free”. Il 25 aprile del 1945, Silvio era nato e dovrebbe ricordarselo, le bandiere rosse sventolarono a Milano e a Torino dove, insieme ai cattolici e ai liberali, avevano contribuito a liberare le città dal nazifascismo. Sventolavano con il sottofondo dei cingolati dei tank americani e fu festa grande perché non era solo finito un incubo ma di lì a poco sarebbe arrivato il sogno della democrazia. Ieri abbiamo scritto che Milano ha in sé gli anticorpi per combattere ogni malattia, che è una città in grado di dar vita a sommovimenti epocali ma anche di farli terminare nel modo più democratico possibile: andando a votare. La speranza dei milanesi non rintronati dalle promesse (dopo l’abolizione dell’ecopass e i 4 milioni di euro per i disabili sono stati gettati sul tavolo verde da gioco anche gli incentivi per le imprese), è che lunedì sera tornino a sventolare in Piazza Duomo le bandiere rosse. Vorrebbe dire che un’altra Resistenza è stata vinta e che la città è stata nuovamente liberata. 56 anni dopo.Pillolina Giuliano Pisapia non ha modificato in nulla la sua campagna elettorale. Pacato, cordiale, pronto alla risposta e perfino alla battuta, è possibile incontrarlo lontano dalla folla hi-tech di via Montenapoleone e di Piazza San Babila alla quale preferisce quella più sanguigna dell’immediata periferia. È vero che da quelle parti nessuno del centrodestra proverebbe mai ad avvicinarsi, ma Pisapia invece si sente a casa sua perché lì, nei quartieri periferici, i problemi non sono solo denunciati con le parole ma anche deducibili dai fatti. Un po’ quello che accade a Napoli dove Luigi De Magistris sta conducendo la sua battaglia personale contro l’uomo di Cosentino, dai bassi a Piazza del Plebiscito, senza perdersi neppure un passante. Quando ci ha provato Lettieri per poco non lo hanno menato, segno che il centrodestra può fare la sua campagna elettorale solo nei bunker degli hotel di lusso o nei palazzetti dello sport presidiati da centinaia di agenti delle forze dell’ordine. E se Bossi da del matto a Pisapia, Lettieri da dello “sciupone” di denaro pubblico a De Magistris glissando l’uno sulla forza economica del suo concubino, l’altro sull’appartenere alla nobile congrega della camorra. Ma alla fine la gente capirà. Forse.SuppostaNe sentivamo la mancanza. Mai come in questo momento chi da vita a un organo di informazione merita tutta la nostra stima e la nostra simpatia, anche se l’editore di cui stiamo parlando si chiama Domenico Scilipoti. Cercando di rinverdire i fasti mediatici del padrone, Scily si è confezionato la sua personale “gazzetta” che, a prima vista, è il perfetto contrario dell’informazione giornalistica, anzi, con il giornalismo c’entra come Veltroni con la politica. La testata (non poteva essere diversamente) si chiama “la Responsabilità”, con l’articolo minuscolo come quello di "la Repubblica". Il fatto però è che, al contrario di Repubblica, la Responsabilità tratta argomenti seri, serissimi e che, prendendo spunto dal vecchio Corriere della Sera, dedica la terza pagina alla cultura. L’argomento del primo numero è: “Realtà al microscopio. Giro d’orizzonte su ciò che non ci fanno sapere”. L’incipit dell’articolista è “Il nostro Pianeta, esiste da all’incirca 4,57 miliardi di anni”. Ma te ne vai affanculo!
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