Quando si parla di pasta la prima allusione va a quella originaria miscela di farine di cereali e acqua che tutti conosciamo e che vanta origini antichissime. Sebbene oggi sia a buon diritto uno degli emblemi della gastronomia italiana nel mondo, è opinione consolidata degli studiosi che essa, nelle sue forme più semplici, sia stata presente in diverse parti del continente eurasiatico fin da tempi remoti, affermandosi – in maniera parallela ed indipendente, e senza reciproche influenze – dall’estremo oriente cinese fino alla penisola italica.
Fu però in Italia che la pasta ebbe un importante sviluppo destinato a durare intatto fino all’attualità.Già conosciuta ampiamente nel Sud Italia ai tempi della Magna Grecia e in Etruria, veniva chiamata in vari modi: ad esempio con il termine greco làganon (passato poi nel termine latinolaganum usato per indicare un impasto di acqua e farina, tirato e tagliato a strisce e sopravvissuto in diversi dialetti del sud con lo stesso significato) e quello magnogreco, etrusco ed italico di makàriail quale, una volta entrato nel vocabolario latino, è giunto fino ai giorni nostri sotto forma del verbo siciliano e di altre zone dell’Italia meridionale ”maccari” (ossia schiacciare , con riferimento all’azione di lavorare vigorosamente la pasta di semola di grano duro) che a sua volta è all’origine dei termini dialettali maccaruni-maccaroni e del corrispettivo italiano maccheroni.
Facendo ora un salto temporale nell’Italia medievale, troviamo proprio nel nostro Paese – e in Sicilia per la precisione – i prototipi di certe forme di pasta oggi a noi note, come gli spaghetti e i vermicelli, oltre all’introduzione della essiccazione quale metodo per la loro conservazione. Questo dato va dunque a sfatare la leggenda secondo cui gli spaghetti sarebbero una rivisitazione italiana di quelli cinesi visti da Marco Polo durante il suo celebre viaggio. In realtà già oltre un secolo prima della nascita del grande veneziano, la Sicilia faceva scuola in questo specifico campo gastronomico. Un tipo di pasta lunga a strisce (simile alle tagliatelle, ma più corta), solitamente abbinata a legumi e condita con olio d’oliva e spezie, proprio come si preparava nell’antichità. Il vocabolo latino pasta, più generico, viene invece dal sinonimo greco πάστα con significato di “farina con salsa o condimento”, termine derivante dal verbo pássein cioè ‘impastare’. Quest’ultimo termine cominciò a diffondersi in Italia soprattutto a partire dall’anno 1051 circa anche se, volendo indagare origini più remote della pasta, si può risalire fin quasi all’età neolitica (circa 8000 a.C.) quando l’uomo cominciò a coltivare i cereali imparando poi a macinarli, impastarli con acqua, cuocerli e, finalmente – nell’alto Medioevo – a essiccarli al sole allo scopo di garantirne una lunga conservazione.
Con la semola di grano duro (già citato dagli antichi greci come base della vita sana insieme a olio d’oliva e vino) nella Sicilia musulmana vennero dunque elaborati gli itrìya per ottenere i quali si stendeva la sfoglia e la si tagliava in nastri sottili,modellandola poi con le mani per ottenere un lungo cordoncino (nell’oriente islamico sono infatti detti anche Rishta, termine persiano che significa appunto ‘cordoncini’). Gli spostamenti invece dovuti alla loro ampia commercializzazione furono possibili grazie all’importante invenzione della pasta secca a lunga conservazione,storicamente ricondotta proprio agli abitanti della Sicilia musulmana, e a quelli di Trabia in particolare. Essi si basarono su efficaci metodi di essiccazione all’aria aperta già utilizzati in precedenza dalle popolazioni islamiche del Medio Oriente per alimenti simili alla pasta, ma perfezionati dai siciliani ai tempi dell’Emirato di Sicilia ed impiegati fino all’epoca moderna. Insomma una vera rivoluzione che influì non poco sulle abitudini alimentari anche nel resto d’Italia.
fonte: http://www.famedisud.it