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Il suicidio in adolescenza

Da Psychomer
by Angela Sofo on gennaio 18, 2013

Il suicidio e i tentativi di suicidio sono sempre l’espressione di una grave sofferenza e del disagio psichico che emergono maggiormente in età adolescenziale. Essi necessitano di particolare attenzione a causa dei meccanismi di negazione e banalizzazione ai quali molto spesso il primo a colludere è proprio l’adolescente che ha compiuto l’atto.

Da un punto di vista fenomenologico si possono distinguere diverse condotte suicidarie:

  • - il suicidio riuscito, dove il problema che resta aperto è quello di andare all’origine dei motivi che lo hanno determinato, andando a ritroso nella vita dell’adolescente per ripercorrere gli eventi e i processi che possono aver esacerbato il difficile percorso evolutivo del giovane;
  • - il tentativo suicidario, ovvero il suicidio mancato nonostante fosse presente un’effettiva volontà nel portarlo a termine;
  • - le velleità sucidarie, tentativi anticonservativi appena abbozzati come comportamenti autolesivi sul piano fisico o l’assunzione di farmaci in quantità non mortale;
  • - i tentativi di suicidio reiterati più e più volte finendo con il diventare per certi aspetti “uno stile di vita” che spesso inizia in età adolescenziale o post-adolescenziale;
  • - i cosiddetti equivalenti suicidari che si manifestano in forma di incidenti gravi e ripetuti nei quali è sempre presente una sfida onnipotente;
  • - l’idea di volersi o potersi togliere la vita, idea che solitamente resta confinata nella rappresentazione mentale della persona. Si tratta di un’esperienza emotiva abbastanza frequente, in particolar modo in certe fasi della vita caratterizzate da importanti crisi evolutive ed involutive (Pandolfi, 2002).

Il tentativo di suicidio si configura sempre come l’ultimo stadio o l’atto conclusivo e manifesto di un complesso insieme di processi, fantasie, desideri e vissuti tra loro contradditori ma esistenti già da tempo seppur con differenti livelli di consapevolezza (Pandolfi, 2002). Le condotte suicidarie possono essere determinate sia dalla realtà psichica interna, sia dalle vicende relazionali esterne determinate dall’ambiente sociale in cui l’adolescente vive. Non stupisce che questa fase evolutiva costituisca un periodo di maggiore vulnerabilità dove situazioni sociali e relazionali di per sé non gravi, assumono invece una valenza ed un significato intollerabile e a volte traumatico per il giovane. Certi adolescenti non sono sufficientemente equipaggiati per tollerare i sentimenti di solitudine e di inquietudine caratteristici della seconda fase del processo di separazione-individuazione che si rivela drammaticamente ostico ed impregnato di sentimenti di perdita dell’identità infantile e dell’appoggio sicuro delle figure significative del passato. L’adolescente rischia quindi di sentirsi un abitante sperduto in un mondo vissuto come inospitale. Non deve inoltre essere sottovalutato l’ “acting out”, il passaggio all’azione, tipico della fase adolescenziale che si manifesta con la tendenza ad agire impulsivamente e con il bisogno di sfidare la vita e gli altri senza un’adeguata consapevolezza delle conseguenze delle proprie azioni.

Un altro aspetto rilevante per l’argomento trattato, è il rapporto notoriamente problematico dell’adolescente con il proprio corpo; le sue trasformazioni dimensionali e qualitative sono la prova dell’ineluttabilità del cambiamento a cui egli è soggetto. Il corpo diventa quindi un oggetto estraneo ed incontrollabile nel quale si fatica a riconoscersi e ad identificarsi. Questa scissione tra Sé psichico e Sé corporeo costituisce un meccanismo presente e necessario perché avvenga la realizzazione dell’atto suicidario.

Nonostante le condotte anticonservative abbiano lo scopo di spezzare ogni legame con l’ambiente, esse contengono allo stesso tempo profonde valenze relazionali. Il suicidio, pur essendo un atto solitario per eccellenza, è sempre rivolto a qualcuno in particolare o ad altri in generale; diviene un mezzo illusorio per restare sempre nella mente di qualcuno, spesso come fonte di colpa o di rimpianto (Pandolfi, 2002).

Una fantasia complessa e spesso presente nei tentativi di suicidio è quella di essere infine salvati dalla morte; un paradosso spesso testimoniato dal fatto che l’adolescente lancia segnali premonitori del suo intento, segnali utilizzati come mezzo comunicativo ma distruttivo per manifestare la propria sofferenza e il proprio dolore. Questi comportamenti ambigui e criptici presentano una valenza relazionale da non trascurare; una misura opportuna è quella di non sottovalutare e annullare con il disconoscimento e la negazione il grido d’aiuto sotteso a tali messaggi. Diventa indispensabile rendersi conto di quanto e quando un adolescente cominci a sentirsi sempre più isolato e a rendersi invisibile agli occhi di chi lo circonda, abbandonando gli interessi, i progetti e le speranze.

Prestare seria attenzione a tutti i segnali confusi e contradditori lanciati dall’adolescente non significa drammatizzare ogni suo singolo comportamento ma tentare di instaurare nuove possibilità comunicative e relazionali con se stesso e con l’ambiente, aiutandolo in termini attivi ad esprimere il suo disagio in maniera più sana ed efficace ed evitando comportamenti pietistici o atteggiamenti recriminatori ed accusatori (Pandolfi, 2002).

Fonti:

L’adolescente come paziente. Intervento medico e psicologico. Tommaso Senise, Franco Angeli, Milano, 2002


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