[Articolo pubblicato sulla Webzine Sul Romanzo n. 1/2013]
Dio acquista contezza della sua forza. Senza il suono la creazione non si sostanzierebbe.
Nei vari miti e religioni, nell’istante in cui la divinità decide di dare vita a qualcosa o a qualcuno, emette un suono. Scrive Marius Schneider ne La musica primitiva: «L’abisso primordiale, la bocca spalancata, la caverna che canta, il singing o supernatural ground degli Eschimesi, la fessura nella roccia delle Upanisad o il Tao degli antichi Cinesi, da cui il mondo emana come un albero, sono immagini dello spazio vuoto e del non essere da cui spira il soffio appena percepibile del creatore… Un monologo il cui corpo sonoro costituisce la prima
manifestazione percepibile dell’Invisibile».
Il suono riempie ogni vuoto di senso logico e universale. Dalla bocca di Brahma escono dèi che sono canti immortali, magici architetti dell’intero universo. Il soffio dell’Atman è un uccello la cui coda corrisponde al suono di una M, mentre la A è rappresentata dalle due ali. Le membra e il tronco del creatore vedico Prajapati sono inni. Siva danza e suona il tamburo, il flauto, la cetra e la simbolica conchiglia, nella perpetua rigenerazione dei mondi.
In Africa, tuono e pioggia sono la voce di entità buone e cattive. L’armonia appartiene a Dio, la disarmonia al Diavolo. Il male, per assorbire potere, emette suoni riempiendo il mondo di dissonanze. Anche la magia è voce di dèi, arte del risuonatore cosmico, capace di percepire suoni sconosciuti e sotterranei, di controllare la natura con canti e danze rituali o evocatori di entità potenti e sconosciute. Attraverso la voce, il mago imprigiona gli spiriti, cantando i loro nomi, qualità e habitat.
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