Superstite e “mazziato”
Pellicola disturbante e spettrale, Il superstite (For Those in Peril, 2013) è l’esordio alla regia di Paul Wright. Una rielaborazione del lutto inconsueta che fa leva sul simbolismo, sull’ossessione e su uno stile registico oppressivo.
In un piccolo paese di pescatori della Scozia avviene un terribile incidente, nel quale muoiono cinque persone e sopravvive il giovane Aaron. Ristabilitosi completamente, Aaron prova a tornare alla normalità. Tuttavia è impossibile perché la comunità lo incolpa (più o meno apertamente) della tragedia, nella quale Aaron ha perso anche il suo amatissimo fratello Michael.
Superstite dalla psiche sdoppiata, Aaron è lo strumento che Wright usa per mettere in scena l’elaborazione del lutto, traslato su di una favola per adulti (una maledizione popolare) e contrappuntato da una regia nervosa e allegorica. Ed è proprio così che Il superstite si presenta: una pellicola che spinge sull’acceleratore di un meccanismo narrativo che rifugge la linearità, in favore di un percorso alternativo, ovvero la mente di Aaron. Tuttavia l’estremismo di Wright aleggia pericolosamente tra l’incomprensibilità dei più e la provocazione. Difatti, analizzando il difficile terreno della psiche (soprattutto tutto ciò che riguarda la rimozione di un trauma), il rischio è quello di infilarsi in un lungo cunicolo senza via d’uscita. Il superstite (a tratti volutamente indecifrabile) giustappone sequenze compiute con la macchina a mano e filmini amatoriali, il tutto inserito in un contesto che cattura il cielo plumbeo scozzese, che si specchia su un mare sempre più oscuro.
E, disorientando lo spettatore, Il superstite si fregia di svariati punti di vista differenti (tutti debitamente “pesati”) ed è un prodotto che si compone di vivide percezioni e comportamenti schizofrenici di Aaron (un bravissimo George McKay), che si dimostra sofferente ed enigmatico al tempo stesso. Ma il virtuosismo stilistico del regista si perde nel proprio autocompiacimento disturbante e consegna al pubblico una pellicola che provoca perplessità. Difatti il ritmo impresso alla pellicola non aiuta e si dimostra incapace di mantenere alta la tensione di un film dalle tinte forti, ma dal “cuore” debole. Wright si concentra su Aaron, sulle sue emozioni e sulla sua pazzia, sull’isolamento a cui è costretto e sulle malelingue di paese, ma dimentica di costruire un contesto attorno a lui,che viene solamente abbozzato.
Il superstite è un film interessante e accettabile a causa del campo minato nel quale il regista si è cimentato. Tuttavia la (instancabile) ricerca di autorialità da parte di Wright rasenta il limite della sopportazione. Di conseguenza si ha l’impressione che la pellicola possieda numerosi aspetti tecnici da ammirare e apprezzare, ma che pecchi in modo evidente in diversi concetti basilari. Difatti la noia e l’abuso di registri narrativi diversi (ma sempre estremamente tragici) fanno de Il superstite un prodotto difficilmente accessibili a tutti e che si scontra (inevitabilmente) contro il muro di disperazione di Aaron, che tra un’invocazione urlata per il fratello (morto in mare) e la scoperta della sua vera natura, fatica a emozionare a sufficienza per permettere allo spettatore di calarsi adeguatamente nella sua disturbante mente.
Uscita al cinema: 6 marzo 2014
Voto: **1/2