Magazine Cultura

Il supplì di T-Ant-AL.0

Creato il 04 maggio 2015 da Diletti Riletti @DilettieRiletti

 

Sono al lavoro. Senza interruzione.

Sono addetto alla preparazione di supplì di riso, a centinaia di migliaia.

Senza interruzione.

Riso e pomodoro e mozzarella e panatura; e riso e pomodoro e mozzarella e panatura.

Senza interruzione.

Sono qui, fermo, inchiodato in questo posto buio, faccio quello per cui mi hanno creato.

Senza interruzione.

Dentro di me sento qualcosa che non funziona del tutto, come se un microchip si fosse deteriorato col tempo e bruciasse, ma continuo a fare quello per cui sono stato programmato: palline di riso e pomodoro e mozzarella e panatura.

Senza interruzione.

Non so dove finiranno, non so chi le mangerà, non sono per me, io non mi nutro se non di Energia. So che il riso è riso perché posso leggere quello che è stampato sui grandi sacchi di tela accatastati sul cemento, ma non ne conosco il sapore. Non conosco nessun sapore, in realtà. Sono un robot,  non devo sentire.

La mia sigla è T-Ant-AL.0, abbreviazione per processore di cottura Termica-Antiaderente-Alimentare gradi 0: preparo palline di riso e pomodoro e mozzarella e panatura, le sottopongo a cottura parziale e le surgelo immediatamente. Una macchina che non vedo oltre questo nastro trasportatore di acciaio provvede all’impacchettatura.

È prigioniera come me, lo so.

E quando sento i suoi movimenti di là, oltre il buio, i miei ingranaggi si accelerano, le porzioni di riso mantecato vengono fuori  meno regolari  di quanto dovrebbero, la panatura meno uniforme. Ma se anche lei dovesse avere qualcosa dentro che non funziona, allora soffre anche lei, mi ripeto.

Senza interruzione.

Non è una cosa buona per un robot: vorrei essere sottoposto a revisione. Perché non viene un umano? Sono una macchina datata e non posso continuare a funzionare così male, senza interruzione.

Le mie braccia meccaniche ogni tanto si fermano, pochi secondi per farle capire che sono lì, in ascolto. E lei, oltre il buio, capirà? Non avrò mai dati sufficienti a capirlo, e non posso comunicare con lei, non ho comandi vocali, non ho bande sonore, nulla. Un robot muto con un piccolo chip che brucia. Senza interruzione.

Cosa succede ora? Tutto diventa  immobile, il buio è più profondo, il silenzio rimbombante. Non sento neanche lei, di là, tutto è fermo e anch’io lo sono.

Ma come faccio a sentire il microchip che arde sempre di più, se l’Energia che anima me come le altre macchine è sparita?

Voglio sapere in che stato è lei, oltre il nastro trasportatore,  e non so come fare: finché tutto funzionava era facile ascoltare le sue lame tagliare, piegare, sigillare le confezioni, sapere che c’era. Ma ora?

Mentre provo a raccogliere i dati nella memoria che ancora pare funzionare, dal chip rovente arrivano impulsi irresistibili, e due delle mie braccia meccaniche iniziano a muoversi a scossoni. Raccolgo lentamente tutto l’impasto di riso e pomodoro che trovo nella vasca che si è bloccata davanti a me e inizio a modellarlo. Non capisco nemmeno io perché lo faccio ma gli impulsi sono come forti scariche elettriche che mi fanno muovere malgrado me e il buio. Senza interruzione.

Il microchip si infiamma nel buio, la luce illumina leggermente il piano d’acciaio dove le mie braccia continuano a lavorare nonostante me: ora afferrano il nastro trasportatore e lo costringono a scorrere verso il buio. Verso di lei.

L’attrito è enorme, si alzano scintille e fumo, il nastro avanza a forza, e capisco che il prezzo da pagare sarà la distruzione. Ma voglio che lei sappia.

Ora non sono più al buio, e sono io che illumino la stanza: lingue di fuoco escono da me, ardono e cancellano ricordi e impostazioni, le braccia si alzano un’ultima volta, poi crollano.

Il mio ultimo input è un allarme per gli umani. Lei deve salvarsi. Il resto si interrompe per sempre.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :