E' nevicato di nuovo. Ormai sta cominciando a diventare un'abitudine. Un ritorno al passato, una ripresa dei normali cicli stagionali, almeno quelli a cui ero abituato quando ero bambino, in cui gli inverni caldi e senza neve, quelli sì che erano l'eccezione. Questa regressione ai ritmi naturali ti porta alla ripresa di abitudini che sono in palese contrasto con il movimento e la velocità efficiente a cui l'ultimo secolo ci ha abituati spacciandolo come il meglio per l'uomo. Alle nostre latitudini questa dovrebbe essere la stagione dell'ottundimento dei sensi, della predisposizione al letargo, il momento in cui anche il lavoro, così osannato ed innalzato sull'altare degli obblighi benefici, deve forzosamente rallentare, le attività si riducono al minimo vitale e l'uomo si ritira nella sua caverna in attesa dei tepori primaverili; al massimo crea, pensa, si dedica all'arte e al bello, riscaldando al meglio il suo corpo o cercando qualcuno che glielo riscaldi nel frattempo. Come è dolce è piacevole il rallentamento dell'attività delle sinapsi, lo sprofondare, ma con lentezza, nel pozzo dell'ozio privo di bisogni, protetto dal proprio nido, mentre fuori il bianco cancella colori e pulsioni, frena, calma, rallenta il battito.
Così il Buddha meditava all'alba. Sopra di lui una grande roccia lo riparava da tutto quanto potesse scendere dal cielo. La sua sensorialità era completamente distaccata da quanto lo circondava. Certo poteva sentire, attraverso gli occhi ridotti a fessure sottili poteva vedere, mentre la sua pelle nuda era esposta alle variazioni della temperatura ed alla carezza del vento. Ma tutto questo non arrivava quasi neppure alla sua mente che galleggiava lontana dal mondo della sensorialità. Solo le labbra erano piegate in un leggero sorriso di consapevolezza. L'alba appena sorta prometteva una lunga giornata. Davanti a lui un discepolo, ancora molto indietro nel cammino della conoscenza, volgeva lo sguardo inquieto qua e là, come per cercare aiuto, consiglio, approvazione. Non riusciva a trovare la corretta immobilità che lo aiutasse nella concentrazione meditativa, anzi tutto quella assenza di stimoli sensoriali, lo disturbavano non poco provocandogli una continua distrazione.
Così il tempo, concetto astratto privo di rilevanza, condizionava continuamente il suo debole pensiero. Dunque si rivolse al Buddha per cercare di carpire il segreto della sua imperturbabilità. - Maestro, - gli disse senza sapere se lui lo avrebbe ascoltato o se, addirittura, avvertisse la sua presenza materiale - ti prego dimmi, cosa intendi fare oggi, per tutto il resto di questa fredda giornata?- Per un poco il Buddha sembrò non avere inteso la domanda, la sua figura rimaneva immobile, la schiena diritta, il capo leggermente reclinato in avanti, le spalle morbide e prive di tensione, la muscolatura distesa. Poi, dopo un tempo indistinto, rivolse lo sguardo verso il discepolo impaziente e gli rispose: - Respirare. -
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