Qualche sera fa bighellonavo col telecomando della Tv in una boscaglia di canali dall’aspetto tetro, quei canali che non guarda mai nessuno, e ho provato a sentirmi importante per il semplice fatto che magari in quel momento ero l’unico a guardare quel determinato canale dall’aspetto tetro (ho provato – dico – ma senza riuscirci più di tanto). Fatto sta che su uno di questi canali c’era un telegiornale dell’86, c’era Giancarlo Santalmassi che parlava di un attentato a Berlino Ovest. Era l’attentato alla discoteca, un fatto che veniva su come un fumo dalla brace dei miei ricordi. Su wikipedia lo raccontano così:
L’attentato alla discoteca di Berlino del 5 aprile 1986 è stato un attacco terroristico alla discoteca La Belle, a Berlino Ovest, in Germania, che era frequentata da molti soldati americani. Una bomba posta sotto un tavolo vicino allo stand del Disc jockey esplose nel club, uccidendo una donna turca e due militari statunitensi, e ferendo 230 persone, tra cui più di 50 militari americani. La ragazza turca Nermin Hannay e il sergente americano Kenneth T. Ford rimasero uccisi sul colpo, mentre il sergente americano James E. Goins morì due mesi dopo. Alcuni tra i feriti restarono permanentemente disabili.
Le immagini facevano abbastanza schifo. Parlo della tecnica, non dei contenuti. I contenuti per fortuna si limitavano alle macerie della discoteca, ai muri sventrati, alle voragini aperte nei tramezzi, un voyeurismo edile tutto sommato abbastanza inoffensivo. Io nell’86 avevo solo tredici paurosi anni e non mi sembrava possibile che si potesse invecchiare, come non mi sembra possibile oggi. Perciò, mentre riguardavo il telegiornale dell’86, avevo di nuovo i miei tredici paurosi anni, e poco importa che lo guardavo su un televisore comprato cinque anni fa, seduto su un divano comprato cinque anni fa (quante cose ho comprato cinque anni fa?). Il servizio in diretta da Berlino Ovest era la modernità di allora, e la modernità è qualcosa che si incastona nel presente. La modernità non ammette il tempo. La modernità è hic et nunc. E noi siamo moderni, condannati a esserlo con sentenza definitiva dal tribunale degli storici.