Le isole dell’arcipelago maltese custodiscono, su un territorio relativamente ridotto, una straordinaria concentrazione di monumenti megalitici, dotati di forme architettoniche peculiari che si identificano come un unicum nel panorama della preistoria del Mediterraneo e che non trovano confronti nella vicina Sicilia o negli altri territori più prossimi.
Isolotto di Filfla
Senza volersi addentrare nella complessità del discorso relativo alle origini, alla datazione e allo sviluppo delle forme delle architetture megalitiche maltesi, si presentano qui una breve descrizione e una serie di immagini recenti di uno dei monumenti più rappresentativi ed emblematici, che riassume in sé più o meno tutte le caratteristiche che sono proprie del fenomeno architettonico.Il complesso archeologico di Mnajdra è, insieme al vicinissimo sito di Haġar Qim, uno degli esempi meglio conservati del suo genere. Il sito archeologico si trova nei pressi del villaggio di Qrendi, a meno di venti chilometri a sud-ovest de La Valletta, e domina dalla sua spettacolare posizione un ampio tratto della rocciosa costa meridionale dell’isola di Malta, di fronte all’inaccessibile isolotto di Filfla. Inquadrando il fenomeno si può dire che le architetture megalitiche caratteristiche della preistoria maltese sono il risultato di un lungo percorso di gestazione e affinamento delle tecniche costruttive e delle tipologie di pianta, che hanno infine portato ai complessi cultuali sviluppati nelle forme complesse che possiamo vedere oggi, in genere frutto di aggiunte e ampliamenti anche molto distanziati nel tempo ma che mantennero, in linea di massima, le stesse proporzioni e la stessa concezione di sviluppo degli spazi, sia interni che esterni.
Plastico del tempio di Mnajdra
A una prima fase, datata intorno al V millennio, risalgono le prime strutture architettoniche semplici documentate in alcuni siti maltesi (ad esempio il sito archeologico di Skorba a Mġarr); a queste seguono, in una fase successiva, i primi esempi di strutture templari di tipo complesso, che vedranno la massima fioritura e il massimo grado di sviluppo tra il 3600 e il 2500 a. C., datazioni avallate da diversi elementi rilevati durante le fasi di scavo e oggi generalmente accettate dalla maggior parte degli studiosi. Una datazione tra la metà del IV e la metà del III millennio è stata proposta anche per il complesso di Mnajdra. I due siti di Haġar Qim e Mnajdra, distanti tra loro poco più di cinquecento metri oggi percorribili agevolmente a piedi per mezzo di un moderno percorso lastricato che supera il pendio della scogliera, sono probabilmente meno noti al grande pubblico rispetto ai più “turistici” siti di Ġgantija sull’isola di Gozo e di Tarxien a Malta (da quest’ultimo sito proviene la maggior parte degli splendidi rilievi scolpiti conservati nel Museo Archeologico Nazionale de La Valletta), in quanto più distanti dalle principali località balneari e dalla capitale; nonostante questo il loro eccezionale stato di conservazione e l’isolamento nel paesaggio, rimasto sostanzialmente immutato in questa zona nonostante i recentissimi interventi di valorizzazione, ne fanno uno degli esempi più importanti di architettura megalitica nel bacino del Mediterraneo. I templi maltesi, negli esempi più semplici, presentano una particolare pianta a trifoglio, costituita da un vano di fondo centrale a cui si addossano altri due ambienti contrapposti lungo l’asse principale dell’edificio, accessibile da un piccolo corridoio che comunica con l’esterno. Tutti gli ambienti mostrano un profilo curvilineo, in genere a ferro di cavallo, che caratterizza lo sviluppo dello spazio interno e che viene riproposto nel perimetro esterno dell’edificio, con una cortina muraria di notevole spessore. Il muro di prospetto del tempio è in genere formato da una esedra, al centro della quale si apre l’ingresso agli ambienti interni, sempre costituito da una porta architravata dal profilo rettangolare. A volte (ad esempio a Mnajdra) gli ambienti interni erano separati tra loro per mezzo di ortostati di grandi dimensioni, in cui si apriva il varco che permetteva il passaggio. Il vano di fondo centrale spesso si riduce a poco più di una nicchia. A questo sviluppo di base della pianta vennero via via ad aggiungersi altri ambienti che, seguendo lo stesso sviluppo curvilineo delle pareti, formano edifici più complessi, con più ambienti simmetrici giustapposti, la cui precisa funzione non è chiara ed è ancora oggi oggetto del dibattito storiografico. La tecnica costruttiva di queste strutture è data da megaliti di dimensioni variabili, spesso accuratamente tagliati e messi in opera con estrema perizia tecnica. Resta tuttora acceso il dibattito relativo al tipo di copertura che doveva caratterizzare i vani interni dei templi, e le ipotesi sono diverse: per le strutture più semplici e arcaiche si è pensato a una copertura litica a piattabanda, con lastroni orizzontali; per i templi più complessi si è ipotizzata una soluzione di tipo diverso: l’aggetto delle pietre ancora visibile in alcuni vani di Mnajdra e di altri siti, farebbe pensare a una copertura litica realizzata per mezzo del progressivo aggetto dei corsi di pietre, che andavano a chiudersi alla sommità; questa soluzione, verosimile per ambienti di piccole dimensioni, sarebbe stata diversa nei vani maggiori, dove i primi corsi di pietre aggettanti costituirebbero la base d’appoggio di travi a sostegno di una copertura lignea. Le ipotesi restano comunque tali, data anche la difficoltà dell’analisi delle strutture residue in ambienti che hanno subito interventi di restauro e ricostruzioni recenti anche di ampia portata. Il complesso cultuale di Mnajdra è in realtà costituito non da un solo tempio, ma da tre edifici affiancati e raccolti attorno ad un’ampia area d’ingresso a forma di esedra. A causa del dislivello del terreno, in decisa pendenza verso il mare, le tre parti del complesso hanno i piani di calpestio a livelli differenti. Il più semplice dei tre ambienti, che è anche il più danneggiato e meno leggibile, è formato da una semplicissima pianta a trifoglio secondo lo schema suddetto; gli altri due vani sono invece caratterizzati da una maggiore complessità: al vano di fondo dalla canonica pianta trifogliata si aggiunge un secondo ambiente, caratterizzato anch’esso da due vani dal profilo a ferro di cavallo contrapposti, collocati in posizione simmetrica davanti al primo ambiente e comunicanti con esso tramite un piccolo corridoio architravato; un altro brevissimo corridoio permette l’accesso dall’esterno. Tutti i vani si dispongono accuratamente secondo uno schema comune anche ad altri siti, allineandosi lungo un asse di simmetria che parte dall’ingresso e passa per la nicchia di fondo. L’esedra all’ingresso dei templi mostra, alla base del tempio principale, un ampio bancone litico, funzionale al culto e destinato, probabilmente, ai fedeli. Tutti e tre i templi che formano il complesso sono caratterizzati da un perimetro esterno a ferro di cavallo, che circonda gli ambienti interni con una cortina muraria imponente spessa diversi metri, oggi purtroppo in gran parte crollata. Il rinvenimento di diversi elementi di arredo, ricollocati in fase di restauro, testimonia la presenza di altari all’interno dei vani del tempio. Alcuni siti (ad esempio Haġar Qim e Tarxien) hanno inoltre restituito numerosi frammenti di statue di culto ed elementi architettonici con decorazioni scolpite a bassorilievo, di eccezionale interesse archeologico e artistico. Notevole attenzione è stata dedicata, da parte di diversi studiosi e appassionati, all’indagine dei particolari orientamenti astronomici dei templi maltesi, che ha dato risultati molto interessanti. Per quanto concerne il sito di Mnajdra è stato rilevato un orientamento particolare che consente ai raggi del sole, durante gli equinozi, di penetrare all’interno degli ambienti principali del complesso secondo un percorso ben preciso. I due complessi megalitici di Haġar Qim e Mnajdra iniziarono ad attirare l’attenzione degli studiosi verso la metà dell’Ottocento, cui seguirono i primi interventi di scavo sistematico tra la fine del secolo e i primi decenni del Novecento. Interventi di scavo e restauro si sono susseguiti per tutto il XX secolo, fino al radicale intervento conservativo conclusosi nel 2009, che ha visto la predisposizione di due enormi tensostrutture a protezione dei templi. Questo intervento, sebbene invasivo poiché inficia la percezione dei monumenti a distanza e impatta sul paesaggio in modo negativo, è tuttavia giustificata dal processo di estremo degrado a cui gli edifici stavano andando incontro negli ultimi anni, sopra tutto a causa dell’effetto delle piogge, che avevano causato lo smottamento e il crollo di intere parti dei templi. Nicola S.