Ogni colloquio mantiene inoltre la sua durata,
dimensione fisica non trascurabile, assai spesso gestita nel
frettoloso susseguirsi delle domande e delle richieste, quasi mai
pensata come spazio autonomo, all’interno del quale il fenomeno
della comunicazione si esprime in tutta la sua completezza.
La comunicazione ha bisogno infatti del suo tempo,
scandito da ritmi particolari ed autonomi, tagliati per ogni
colloquio, fatti dell’alternanza dei comportamenti verbali e non
verbali, di silenzi, di movimenti del corpo, di eloquio spesso
indecifrabile.
La fretta dominante dentro l’ufficio degli
educatori, riflessa nella durata dei colloqui con i detenuti,
condiziona il manifestarsi dei contenuti dialogici e relazionali,
bloccando il rapporto educativo al livello superficiale delle
richieste immediate, adagiate per lo più al livello della
soddisfazione dei bisogni immediati.
Non sembra lontano dal vero la considerazione di
come la strategia della fretta nei colloqui con l’educatore sia
imposta dalla struttura del carcere.
Infatti, lentezza dello scorrere del tempo dentro la
sezione e le celle e, all’opposto, velocità e fretta durante i
colloqui con gli educatori costituiscono i due aspetti della vita
della stessa struttura totale, volta a creare e mantenere, nella
gestione delle persone e dei gruppi, condizioni di staticità ed
immobilismo.