Il tempo corre. Il tempo sfugge. Forse a sfuggire è l'idea del tempo che abbiamo. Quello che vorremmo fare con quel poco tempo che abbiamo a disposizione. Molti di noi corrono freneticamente. Lavoro. Studio. Esami. Lezioni. Arrampicarsi non è un malvagio termine. È la condizione in cui veniamo gettati sin da quando veniamo al mondo.
Certo, non ci arrampichiamo all'ultimo respiro. Siamo nati, senza alcun merito, in quella parte del mondo in cui riesci a superare agevolmente e con quasi ogni cura possibile i 5 anni di vita. A dire il vero, stiamo bene. Sarebbe incoerente non ammetterlo. Noi, non rischiamo di terminare la nostra vita in condizioni di povertà assoluta prima di prenderne coscienza. Noi, non moriamo in un pianto provocato dalla fame che divora ci divora dall'interno. No.
Arrampichiamo. Chi arrampichiamo ossessivamente dove? Nella società. Prima la famiglia. Poi gli amici. Poi una compagnia. Poi lo studio. Poi il lavoro. Poi chissà cosa. Tutto quello che facciamo è arrampicarci. Non sappiamo dove. Non sappiamo come. Ancor più grave, non sappiamo perché. E se lo sappiamo, fingiamo di esserlo. Quante volte ci siamo risposti "faccio questa cosa perché mi piace..." ma ti piace, perché? Cosa c'è dietro il piacere?
Come sempre, genero molta confusione. Riprendo dal principio, da un concetto molto semplice. Tutta la nostra vita, si basa sulla fretta. Inseguire qualcosa. Fare qualcos'altro. Impegnarsi forsennatamente in qualcosa. Il che non è un male. Quando è l'ardore della passione a smuovere i corpi. Quando è la vita incarnata e pulsante a spingere verso quella strada. Eppure corriamo. E questo rovina molto di quel che siamo. Si sa, vi sono essenze nella nostra vita che richiedono tempo.
Il tempo di una lettera. L'avevo già scritto. Il tempo di scoprirsi. Il tempo di amarsi. Il tempo di amare. Il tempo di conoscersi. Il tempo di salvarsi. Il tempo di salvare un amico. Il tempo di affrontare il silenzio che dimora dentro ognuno di noi. Quel buoi che ti costringe a cercare riparo. Non importa dove. In un abbraccio. Raccolto, con i tuoi pensieri, contro il muro di una stanza. Rannicchiato. C'è un tempo per tutto. Non si è sempre coraggiosi. Non si è sempre forti. Non si vince sempre. E chi dice di vincere sempre si arrampica, ma si arrampica dove? Cosa vinci? Su chi vinci? Quanto importa vincere? Cosa vuol dire vincere?
Le mie riflessioni partono sempre esperienze vissute. Talvolta sono entusiasmanti, talvolta racchiudono quei fantasmi che nessuno di voi vorrebbe incontrare...ma, nonostante tutto, a volte, ci colgono impreparati tra le coperti di una notte insonne. Solitudine.
La solitudine è un tempo. Non un tempo che scorre e passa, come vorremmo, ma un tempo che non smette di ritornare su sé stesso. La solitudine non ha un peso, finché tu stesso non lo dai. La solitudine che si sceglie di avere, non è solitudine. È introspezione. È ascetismo. È necessità di fare. Quella non è un male. Per nulla, anzi. Quel tipo di solitudine, quella che ci si sceglie, è benevola. Tuttavia, la solitudine è anche una non-scelta. Ci si ritrova soli. Quella solitudine regalata da chi ci sta più accanto. Perché pur essendo vicino ad una persona, si può stare molto lontani. La solitudine è incapacità di comunicare vicendevolmente. Chi è solo, è altrove. Un altrove difficilmente arrivabile se non da chi decide di compiere un viaggio. Di certo, non è la battutina con gli amici al bar a curarti. Di certo, non è la seratina con la ragazza tipo a colmare quel qualcosa che avverti mancante. Ci saziamo già con un idea, con un pensiero, anche la sola considerazione che qualcuno ci voglia bene ci cura dalla solitudine. Eppure non sempre è così.
Perché non è così? Per la stessa motivazione per cui accusiamo i nostri tempi di non essere romantici. Per cui, preferiamo ammettere di esser diventati cinici che delusi. Per la stessa motivazione per cui, con somma presunzione, affermiamo di non credere nell'amore. Perché l'amore è questo. Perché l'amore è quello. Mai nessuno che provi ad amare, tutti invece che si dilettano nel dire cosa questo non sia. Il problema è che nessuno scrive più lettere d'amore o che nessuno più le voglia leggere? Sembra una domanda stupida e banale ma oggigiorno, chi scrive più lettere d'amore e perché dovrebbe farlo? Le lettere d'amore vengono strappate. Sono vecchie. Non servono. Badiamo bene, non servono. Servire. La lettera, quel pezzo di carta scritto con un foglio del nostro quotidiano o con una carte ricercata che dice tanto della cura che abbiamo avuto per scegliere qualcosa in cui imprimere i nostri intimi pensieri, ha esaurito il suo tempo ancor prima d'esser stata scritta.
E se non abbiamo tempo di una lettera, avremo mai il tempo di meravigliarci della visione di una ragazza? Avremo mai il tempo? Lo concederemo a noi stessi? Lo ruberemo, quasi fossimo dei ladri nella notte, ad una vita frenetica che ci spinge, obbliga e insegna ad andare avanti comunque vada? Cosa ne sappiamo noi? E se non abbiamo tempo di una lettera, avremo mai il tempo di baciare? Il tempo di carezzarci? Il tempo di un abbraccio? Il tempo di fare l'amore davvero. Il tempo di scoprire l'intimità dell'altro o dell'altra nei nostri respiri. Il tempo di fare l'Amore. Di adagiare l'uno accanto all'altra stremati non per una notte di sesso ma per una notte di amore. E ancora il tempo di capirsi. Il tempo di percepire qualcosa che non va. Il tempo di leggere angosce, turbamenti, felicità e dolori negli occhi delle persone che ci vivono accanto?
Perché l'amore, il prendersi cura non è una sola questione di coppia. L'amore è ovunque. E noi ne siamo ciechi e siamo ciechi rispetto a tutto il resto. Vediamo ma non guardiamo. Sentiamo ma non ascoltiamo. Poi avvengono disgrazie e drammi ceh sconvolgono intere famiglie e ci chiediamo perché mai. Perché esiste il suicidio? In quale stato di sofferenza dev'essersi trovata una persona per decidere di darsi la morte? Quale grande patimento e turbamento interiore avrà dovuto patire tale persona? E se noi non ce ne fossimo accorti? E cosa avremmo potuto fare se...? Nulla.
Perché? Perché abbiamo perso la capacità di guardare. Perché vediamo ma non guardiamo. E oggi, guardare è un'abilità che solo in pochi hanno. Scrutare una persona. Invadere i suoi pensieri. Con discrezione. Entrare in punta di piedi nelle sue giornate e comprenderne l'ordito. Potrebbe salvare molti di noi. Molti di noi che vengono segregati da una vita dinamica in abiti stretti, in parole violente e false, dense di ipocrisie. Molti di noi che vengono violentati ogni giorno. Gli occhi, rivelano molto più di quanto vorremmo far credere e molto meno di quanto siamo abituati a pensare. Non si tratta di anima. Si tratta di animo. Quanti di noi, hanno l'abitudine di sedersi davanti ad un amico e trovarsi con lui? Trovarsi. Quanti possono dire di conoscere intimamente una persona? La maggior parte di quello che diamo a vedere non è che una parte ben più piccola di un un'unghia. Ne potremmo mai fare una colpa all'amico che non riesce a guardare? Possiamo essere così presuntuosi ed egocentrici? Giammai. Perché come l'amico o il compagno o la compagna non scruta i nostri turbamenti, così, anche noi preferiamo scivolare l'uno accanto all'esistenza dell'altro. Come navigli che s'incontrano nella nebbia. Ci sfioriamo.
E così passa una vita. Tra amicizie che altro non sono che continui sfiorarsi. E poi si attende l'estremo gesto, per dire "non me lo sarei mai aspettato", "non c'era alcun segnale", "una cosa di questa non l'avrei mai immaginata". E invece no. Anche in quel momento, mentiamo a noi stessi. L'avremmo immaginato. Il patimento si riconosce subito.
Il problema rimane sempre quello. Leggersi. E se non abbiamo il tempo di leggere una lettera, una semplice lettera fatta di parole d'inchiostro e di caratteri gettati lì alla buona, su un foglio di carta che potremmo anche riconoscere familiare...come potremmo mai cimentarci nella lettura di un altro essere che pur vivendo accanto a noi non ci è familiare?
Il tempo di salvarci. Si. Perché ognuno di noi corre freneticamente nelle proprie vite e non si accorge di quanti silenzi non ascolta. Non ci si accorge di quante vite potrebbe salvare se solo si fermasse di tanto in tanto ad ascoltare. Non ci si accorge dei naufraghi abbandonati negli angoli delle strade o negli aeroporti o di chi vagabonda tra una stazione e l'altra della propria vita cercando ancora il biglietto. Prendiamo sempre la via più veloce, che non è quasi mai quella migliore. E invece di capire i silenzi di qualcuno lo etichettiamo come cupo, come problematico, timido, introverso, introspettivo, asociale. E invece di capirne la fragilità, non perdiamo tempo a far schioccare la lingua e introdurlo al mondo come debole. Il cristallo è fragile ma nessuno oserebbe dire che sia anche debole.
Preferiamo lasciare che combattere. Preferiamo inventare piuttosto che capire. Preferiamo urlare invece di avvicinarci. Preferiamo tutto quello che ci consente di arrampicarci più velocemente. Più soldi. Più reputazione sociale. Perché io vivo in quanto riconosciuto da altri. Non esisto da me. Senza l'altrui riconoscimento non sono nessuno. E tale considero l'altrui. Se non ti riconosco qualcosa di fittiziamente concordato, non sei nessuno. E così l'ipocrisia del nostro tempo cresce. E più affermiamo con somma contentezza, quasi a prendere le distanze da un appestato, che non crediamo nell'amore, che l'amore è roba per sognatori e bambini, più perdiamo noi stessi e ci abbrutiamo, impoveriamo quel briciolo di umanità che ancora ci rimane. E più ripetiamo a noi stessi che non crediamo nell'amore, più impediamo al nostro essere di vivere e colorarsi dell'altro, e neghiamo la felicità qualunque forma essa abbia.
E intanto le nostre vite scorrono. Vuote di abbracci. Vuote di amore. Piene di parole. Piene di tempo. E cosa ce ne faremo mai alla fine del tempo, di più tempo, se non sapremo come usarlo? Se non avremo a chi donarlo? Perché, forse, il regalo più personale che possiamo donare a qualcuno è il nostro tempo. Il tempo di amare, il tempo di un abbraccio, il tempo di giocare con nostro figlio, il tempo di leggere una lettera, il tempo di salvare qualcuno dal suicidio, il tempo di salvarci da noi stessi.