Prendersi il proprio tempo.
Nella quotidianità così veloce, in un contesto sociale altamente fluido e particolarmente dinamico, devi sempre essere up-to-dated. Devi essere veloce. Devi essere connesso. Devi essere immediato. Devi essere smart. Devi essere short. Non a caso gli sms.
La necessità è quella di comunicare con brevi messaggi, di rapida comprensione ed immediata esecuzione. Il che non sarebbe un male se non portasse anche delle gravissime deviazioni. Perché? Perché sappiamo che c'è un ciclo continuo: quello che fai modifica quello che sei e quello che sei modifica quello che fai. L'uno sull'altro: inevitabile. E quindi ti ritrovi a scrivere messaggi con qualche parola e parimenti ti trovi a sintetizzare tutto quello che hai da dire con qualche parola. Per cui, quando ti troverai in altri contesti, e non avrai uno schermo, sarai ugualmente stringato, inesplicabile, incomprensibile.
Perché? Perché il linguaggio di internet non è il linguaggio degli uomini. Immissione di informazioni massiva ma non comunicazione tra individui. Si è persa la connessione tra interlocutori.
Se hai qualcosa da dire, la devi fare rientrare nei caratteri standard di una barra di comunicazione. Hai dei caratteri a disposizione. Sintetizzi. Tagli. Riassumi. Limiti. Depauperi.
Eh certo, facciamo tutto questo perché v'è dietro l'idea dell'economia del tempo. Se un messaggio è più lungo di due righe, non lo leggo...ci sono troppe parole, è lungo...mi fa perdere tempo. Salvo poi lamentarmi però di non riuscire a comunicare con nessuno. Certo, non accetto, non mi metto in gioco, non prendo parte al confronto, mi allontano sempre più. E vorrei ben vedere quel tempo risparmiato in cosa andrà investito. Quasi sicuramente in noia. In vagabondaggio per le lande di una rete asociale, solitaria, escludente.
Eh però il tempo di leggere, il tempo di scrivere, il tempo di ascoltare lo ricordiamo tutti. Tutti abbiamo, anche una sola volta, scritto una lettera. Ecco, io lo stavo facendo proprio prima di decidere di scrivere sull'argomento.
Scrivere una lettera. Perché dovrebbe essere così importante, così veritiero? Perché scrivere una lettera ti permette di utilizzare il tuo tempo per scrivere ed imprimere nel messaggio, qualcosa di tuo. Il tuo stato d'animo. Il tuo carattere. Il tuo stile. Ancor più importante la tua emozione. Di cosa parlo? Provvedo subito a spiegare meglio...scrivere una classica email è molto immediato. Casella di posto, inserisco dati utente, entro, batto dei caratteri su di una tastiera, pigio dei pulsanti, premo un tasto, comunico con dei chip e zac, email inviata. L'email arriva subito. Non c'è attesa, non c'è trepidazione, non si percepisce la contentezza. Tutto è immediato ma sterile. Non c'è nulla se non l'immediatezza. E l'adesso e il qui non ha più un suo senso perché in internet ogni momento è adesso e qui. Ogni attimo è uguale a quello precedente.
E attenzione che con quell'email si può fare qualsiasi cosa. Si può comunicare qualsiasi messaggio. Stessa cosa al telefono e via sms. È un modo rapido, codardo, deresponsabilizzante. Di chi vuole fare una cosa e disfarsene. Di chi vuole essere fugace. Di chi una notte e via.
La lettera. La lettera invece non è la stessa cosa. Devo decidere la carta da lettera. La busta. Devo scrivere e usare la mia calligrafia che parlerà di me, del mio stato d'animo. Se scrivo "t'amo", l'emozione potrebbe tradirmi e sbavare, lasciare dei segni a margine, marcare le parole...se preso da un pathos particolare, potrei versare qualche lacrima e potrebbe cadere accidentalmente sul foglio e la persona che la leggerà, vedrà una piccola gocciolina sul foglio. Il foglio non è solo un foglio. È un testimone. Gli affidi qualcosa. E l'email? Cosa fai con l'email? Violenti un messaggio. Non puoi stracciarla. Non puoi conservarla. Non c'è l'emozione. Non c'è il carattere. Non mi parla di te, non parla di me.
Anche quando devi strapparla, la lettera, si fa sentire. Produce un rumore tipico. Si strappa. La carta urla, si lamenta...ti ricorda che quello che stai facendo è accanirti su un testimone incolpevole. E l'email? Cosa fa l'email? Tasto cancella. Ok, fatto.
E quante volte è capitato di seguire la passionalità del momento, strappare una lettera e poi ricostruirla e riattaccarne i pezzi con lo scotch? Si può fare con l'email? Il processo catartico è lo stesso?
Chiaramente no. Altrimenti non saremmo qui a parlarne. Il problema gravissimo è, come già ho ricordato prima, che quel che facciamo modifica quel che siamo e contemporaneamente quel che siamo modifica quel che siamo in un ciclo continuo. Decidiamo di non prenderci il tempo per scrivere una lettera o il tempo per leggere una lettera? Non avremo il tempo di dedicarci all'amore. Perché si sa bene che l'amore prende tutto il tempo che può...che non conosce il tempo degli uomini e delle donne, che s'impone con forza impossessandosi d'ogni cosa.
Il tempo di un "Ti voglio bene" scritto con l'inchiostro di china sulla carta, con la mano ferma ma vibrante, lo schizzo d'inchiostro segno che nell'emozione si è lasciata la carta troppo presto. Questo è il tempo di cui parlo. Il tempo di darsi il tempo per emozionarsi. Perché ancora una volta chi siamo modifica...va beh, ormai la tiritera dovrebbe essere chiara. Insomma, se non ci diamo tempo per scrivere una lettera, come potremo mai darci il tempo di desiderare e di sperare? Il tempo di credere in un amore che non è immediatamente raggiungibile? In un sogno che chiede tempo...e il tempo degli affetti, come ho sempre detto già, non ha nulla a che vedere con il tempo degli uomini.
Certo, mi si dirà chiaramente che la dimensione sociale in cui ci siamo tuffati, noi, generazione "giovane" ( per precisione sul termine vi rimando ad un altro post ), comanda una rapida comunicazione, e però siamo sicuri che la rapida comunicazione vada bene per ogni messaggio? Se dobbiamo comunicare ad un amico dove vedersi, magari potrebbe andare...MA se dobbiamo comunicare ad un nostro affetto qualcosa, siamo sicuri di riuscire ad imbrigliare tutto in qualche parola lasciata striminzita come un paio di vestiti usati nell'angolo della strada? Siamo proprio sicuri che queste decisioni non ci rendano, a nostra volta, poveri? Incapaci ed indisponibili a prenderci il nostro tempo per comunicare?
E basta vedere e vederci. Siamo insicuri. Siamo paurosi. Siamo incoerenti. Tradiamo la fiducia accordataci con la stessa facilità con cui premiamo il pulsante "accetta amicizia". Abbiamo una relazione se aggiorniamo lo stato su facebook. Come se lo stato su facebook servisse da coccarda sulla grande veste dell'intolleranza e della codardia. Non abbiamo bisogno anche di questa coccarda. Ve ne sono già abbastanza.
E basta vedere cosa ne è della lingua. Della nostra lingua. Della lingua parlata. Di quanto poco conosciamo una ricca colta e principe della poesia. Dalle liriche di Leopardi ai canti struggenti di Petrarca, dal crepuscolare Ungaretti al timido Montale.
E oggi si sente dire solo "scrivi poemi, sei troppo lungo"...e la comunicazione si basa solo su qualche lettera sputata così alla meno peggio su di una tela incolpevole, ancor peggio, a volte, la tela non c'è...perché è tutto virtuale. Così le cose andrebbero riviste, perché se è vero che verba volant, scripta manent...virtuale che fa? Perché tutto quello che scriviamo è virtuale. Non esiste concretamente. Non è una lettera che si staglia contro l'invisibile.
Quando scriviamo, immettiamo delle informazioni in un mondo che non è nostro, in un mondo vuoto e freddo. In un mondo che non ha le leggi del tempo e dello spazio. Le cui lettere, nel tempo, non ingialliscono. Rimane tutto perfetto. Completo. E però l'amore non ha a che vedere con la perfezione. Non c'è testimone di una vita che è stata. Ci sono solo caratteri virtuali su tavole virtuali che non possono essere scarabocchiate, che non raccolgono i profumi della persona che scrive, che sono dei bisturi sterili.
Cosa c'è da fare? Darsi il tempo. Il tempo di una lettera? Forse. Di certo, dobbiamo ricordarci di darci il tempo di emozionarci.
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