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Il tempo e il troppo che ci sta dentro

Creato il 16 ottobre 2012 da Odio_via_col_vento

 

Il tempo e il troppo che ci sta dentro

Edgard Degas, Little Dancer

 

Ma quanta tecnologia, nella nostra vita, che enorme rivoluzione si è consumata in poco più di un decennio.
Ricordo ancora i primi passi in questo mondo virtuale che un figlio quasi fuggiasco mi consegnò per tenermi in contatto con lui, lontano. Una chat, non molto primordiale a dire il vero, non molto diversa dalle messaggerie di oggi, ICQ (che, volendo suonava come la frase inglese "I seek you", io ti cerco).

Il fatto è che io non cerco proprio NESSUNO: ma vallo a dire a quelli che si appostano lungo i canali del virtuale. Una marea di moscerini e zanzare stupidamente e demenzialmente messaggiatori, in cui ti imbatti, nolente nolentissima, nonostante tutti gli sbarramenti.

Le mail avevano intitolazioni fantasiose, nickname che DOVEVANO essere quanto di più lontano dal tuo nome vero, un dispiego di fantasia, una dichiarazione di intenti, la dichiarazione di una passione letteraria o cinematografica.

Peccato che quasi nessuna la usasse e anche in ufficio ricorrere al fax era già di una tecnologia inaudita. Ho ancora un portapenne che mi regalarono, comprato in America, con su una frase relativa al mio essere modernissima, donna dei fax.

(sembra di parlare della preistoria)

Poi è venuta l'epoca di Facebook, una Facebook antelucana, in cui non trova i un italiano nemmeno a pagarli oro. Ma mi andava bene così, mi serviva per tenere contatti con amici di oltre Oceano. Era una cosa da guardare di tanto in tanto, per essere aggiornata su matrimoni, nascite, feste di laurea. Lo trovavo comodo e mi faceva risparmiare il tempo delle singole mail.

Anche nel suo diffondersi, Facebook, nonostante le seccature di troppa gente ritrovata e del trovarti a definire "amici" dei lontanissimi conoscenti o persone che per caso e per scelta non comparivano più nella mia vita da decenni, sembrava ancora di grande aiuto, via via che i figli si facevano grandi (o credevano di esserlo) e che, credevo, avevano bisogno di una qualche sorveglianza.

Forse direi meglio che la mamma aveva bisogno di sentirsi tranquilla e sperava che questa tranqullità gliela desse il controllo remoto......madri scioccherelle....

Poi è venuto il momento in cui sono stata costretta a cancellarmi da questa piovra tentacolare, da questa melma di sovraesposizione che è diventata, nel tempo, Facebook. Proprio per via della sovraesposizione (anche se a me non pareva poi tale) in un momento in cui davo noia ad un potente di turno che adesso, dal livello locale, sta dirigendo le sue mire al nazionale, con quale mia gioia non sto a dirlo.

Ma di questo gli sono grata. Mi sono accorta di aver recuperato un tempo per me che inevitabilmente finiva inghiottito dai meandri della rete ed era solo tempo perso: battute, giochetti, musichette, rimpalli di articoli di giornale, di catene di solidarietà che lasciano il tempo che trovano. Anzi, no: ne lasciano (a te) molto poco.

Eppure la virtualita manca. È come una droga, inutile nascondersi dietro un dito. Manca il contatto con gli altri, altri ignoti, altri sconosciuti, altri con cui scoprire che si condivide qualcosa, un'idea, una posizione, una risata.

ho incrementato usi molto personali, privati, del vivere questa dimensione: Skype, Viber, messaggerie attraverso le quali talvolta parlo anche solo da un ufficio all'altro o al di la di un oceano. Gia, la comoditá, sempre invocata, vera, innegabile. Ma poi, di anno in anno, ti accorgi che invece si trasforma in una schiavitú con un altro nome, se non la tieni sotto stretto controllo.

E non é facile.

Oggi mi sono indirizzata verso Twitter, che cercò però rigorosamente di tenere definito all'ambito professionale, per avere anteprime e notizie, recensioni, anche commenti salaci, ma su un unico piano. Meglio se legati solo a grandi networks, grandi firme che mai risponderanno alle mie interazioni e che quindi scoraggiano un uso compulsivo del mezzo.

Poi c'é il tempo del blog, ma quello è un tempo che gira per conto suo, con altre caratteristiche, il mio tempo del diario e della memoria, del pensiero e della polemica. Uno spazio privato, comunque, che non richiede e non chiede. Che tengo e cui tengo.

 


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