Il tempo è un bastardo è il titolo dell'edizione italiana (Minimum Fax, traduzione di Matteo Colombo) di A visit from the Goon Squad, romanzo della scrittrice americana Jennifer Egan, vincitore del premio Pulitzer 2011. Sulla copertina verde acido del volume Minimum Fax c'è un microfono su un palco scrostato, rotolato piano piano, oppure semplicemente abbandonato lì, al centro della scena. Rappresenta insieme il tempo che passa e abbandona le cose e la musica; i due fili conduttori del romanzo.
Il tempo è un bastardo è un romanzo composto da tredici racconti, intrecciati tra loro, per formare una trama fittissima. È la storia di Sasha, Bennie, Scotty, Jocelyne, Lulu, Drew, che si snoda tra passato e futuro, da una San Francisco underground di fine anni Settanta a una New York futuristica e dissennata, passando per il centro barocco, desolato e desolante, di Napoli, dove il passato è rimasto incastrato sotto le facciate scrostate dei palazzi e rifulge a piccoli sprazzi.
Lo stile dei racconti è sempre diverso, eppure sempre carico, lucido, brillantissimo. Jennifer Egan alterna nei vari racconti la terza persona classica, qualche prima persona intensissima e una seconda persona disarmante, vicina al genio del Jay McInerney di Le mille luci di New York. E poi un immaginario articolo, scritto da uno dei personaggi per una rivista cinematografica patinata e un originalissimo racconto, tutto in Power Point, che è forse una delle cose più fresche e particolari degli ultimi anni.
Nel risvolto di copertina è riportato un commento di Cathleen Schine per il New York Review of Books, «una commovente saga umanistica, un'enorme epopea ottocentesca magistralmente travestita da ironico pastiche postmoderno». Il tempo è un bastardo è in effetti un'epopea, scritta però in una società che alle epopee non crede più. Il risultato è un insieme di frammenti, di sensazioni, di vicende diverse, tenute insieme da fili sottilissimi. È uno di quei romanzi, sopravvissuti alla tanto maldestramente preannunciata fine del romanzo. Dentro questo affresco può entrare tutto, ma in punta di piedi, come un arpeggio di sottofondo, una modulazione sottesa; c'è la voglia di successo, l'amicizia, il disagio esistenziale, c'è il fallimento, il tradimento, la frustrazione, la paura, la morte. E poi c'è l'amore, a tonnellate. Ma un amore bisbigliato, colto di sbieco, che sembra strappato al testo di una canzone di Lou Reed, o urlato dalla splendida voce graffiata di Iggy Pop. C'è tutto, ma solo a pezzi, solo a piccole porzioni e a dettagli; alle grandi storie e alle meta-narrazioni, disfatte dal filosofo francese Lyotard, ormai sembra non crederci davvero più nessuno.
La due sezioni che dividono il romanzo si intitolano A e B, sono il prima e il dopo, perché il tempo bastardo ha sempre un prima e un dopo.
«Sono venuto per la seguente ragione: voglio sapere cos'è successo tra A e B».
«A è quando eravamo tutti e due nello stesso gruppo e andavamo dietro alla stessa ragazza. B è adesso». Questo chiede Scotty a Bennie alla fine della prima sezione.
La seconda sezione si apre allora con un racconto intitolato Da A a B, che sembra voler rispondere alla domanda; quello che succede tra A e B è semplicemente il tempo, quello che succede è la vita, che ti piomba addosso e cambia scenario. Inarrestabile e spietata. Bastarda.
Il racconto in PowerPoint si intitola invece Le grandi pause del rock. A parte l'inusuale genialità della scelta stilistica esso contiene un ultimo elemento; l'amore per la pausa nella musica, dettato proprio dalla voglia di arrestare lo scorrere delle cose, dal desiderio di vivere nello stacco intercorso tra un qualsiasi A e il suo probabile B, nel silenzio che diventa eternità, godersi quello che è stato, illudersi di poterlo fermare, prolungare l'attesa del futuro. Eppure sappiamo che la pausa è costretta a finire. Essa esiste solo per creare la separazione, esiste per un momento, esiste solo nell'attimo tra A e B.
«Il tempo è un bastardo giusto? E tu vuoi farti mettere i piedi in faccia da un bastardo?»
Scotty scosse la testa. «Il bastardo ha vinto».
Alla fine, nell'ultimo racconto, Scotty e Bennie si ricongiungono. L'ex agente discografico Bennie Salazar organizza un concerto per il vecchio amico musicista Scotty, in una New York in cui le persone comunicano nello stringatissimo linguaggio degli sms, attraverso dei «Micro» che sono a metà tra notebook e telefoni cellulari. Qui la musica di Scotty e della sua desueta chitarra slide diventa il linguaggio puro, un linguaggio che nasce eterno, perfetto, che comunica l'incomunicabile. A quel punto qualcosa è rimasto. È rimasta la musica a collegare le persone.
Capiamo che il tempo è passato, passa per tutti, ma è solo quando la risacca si ritrae che possiamo vedere casa resta sulla battigia; quello che valeva la pena restasse.
Il tempo è un bastardo. Il tempo ha vinto. Ma non ha lasciato perdenti.
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