“Il tempo materiale” – Giorgio Vasta

Creato il 27 novembre 2013 da Temperamente

Siamo nel 1978, anno in cui la violenza brigatista raggiunge in Italia il suo acme con l’uccisione di Moro. Siamo in un’Italia molto provinciale, in una Palermo dove si parla ancora tanto dialetto e l’italiano lo si scopre soltanto guardando la tv. C’è un ragazzino che vive la preadolescenza sospeso fra la ferocia degli ultimi fatti di sangue e la frivolezza dei programmi popolari che la televisione manda in onda, e che in questo clima d’incertezza matura il suo spirito critico nei confronti della realtà. Spirito critico che, assieme a quello di due compagni di scuola, genererà ben presto una sorta di micro-nucleo brigatista palermitano – “micro” tanto per l’esiguità del numero dei partecipanti, quanto per il dato anagrafico che li accomuna.

Nimbo, Volo e Raggio hanno undici anni, ma pesa su di loro una consapevolezza ottuagenaria. A ben vedere, in effetti, non conservano nulla della loro età: la lingua è matura, colta, articolata; la spensieratezza manca, ed è addirittura rifiutata; la percezione del mondo è adulta. I ragionamenti che fanno spaventano per il calcolo e la freddezza con cui sono espressi.
Feticisti della lingua italiana, la manipolano a tal punto da creare un “iper-linguaggio” fatto di gesti e pose in cui si riconoscono solo loro, prendendo in prestito, però, le posture dei volti noti della tv, cosicché chi li osserva vi riconosce un passo di Celentano o un’espressione di Mike Buongiorno senza comprendere il perché tre ragazzini dai volti seri si muovano a quel modo. Si inscrivono, così, in una bolla invisibile: ci sono loro e, a un gradino più basso, tutti gli altri.
Senza girarci troppo intorno, questi preadolescenti “mitopoietici” – come una maestra definisce con sua somma gioia il protagonista, Nimbo – parlano, si muovono e agiscono come fossero dei membri delle BR.

Ben presto, infatti, quest’ansia di isolamento si trasforma in una sorta di odio verso il resto del mondo, che si traduce in una lotta ideologica e concreta al provincialismo dell’Italietta del tempo: il loro disprezzo si alimenta a tal punto da sfociare esso stesso in violenza, la stessa che, a livello nazionale, semina il terrore da anni. Il vantaggio della loro età, lo sanno bene, è che nessuno sospetterà di loro, sebbene portino volutamente i capelli rasati a zero (con la scusa dei pidocchi) e i primi vandalismi abbiano luogo nella loro scuola media. Proprio il dato anagrafico, in contrasto con la “mente strutturata” dei tre, suscita nel lettore una sorta di straniamento, d’incredulità: si riconosce che la storia è inverosimile, ma si fa metafora delle incongruenze di quegli anni. A un livello più profondo, è anche una lettura dei controsensi dell’Italia odierna, che dimostra d’essere rimasta fondamentalmente la stessa.

Il romanzo d’esordio di Giorgio Vasta colpisce per due motivi: la lingua appuntita con cui è scritto e la sua tendenza a sottrarsi al reale per raccontarlo. C’è tanta sostanza in questo libro che va scoperta, se non lo si è ancora fatto.

Angela Liuzzi

Giorgio Vasta, Il tempo materiale, minimum fax, 2008, 275 pp., 8 euro


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