Se è vero, come pare appunto, che Gela rende meno di altri petrolchimici e di conseguenza costa di più, ci sono 970 persone che rischiano il posto di lavoro. In una terra in cui le relazioni industriali, sindacali e politiche sono state improntate all'assistenzialismo e allo sfruttamento (con responsabilità da entrambe le parti, chiaro), so che mi si potrebbe rispondere "è il mercato, bellezza". Capisco anche certi delicati equilibri politici, ma non mi spiego la scarsa presenza di Saro Crocetta, ex sindaco di Gela, (ex) comunista, presidente della Regione e perito chimico già impiegato dell'Eni della sua città.
In ogni caso, la tutela di quei lavoratori è fondamentale. Ecco perché.
Pozzi di petrolio a Gela. Foto del 1995, ma sembra
di trent'anni prima, quando Enrico Mattei aprì il petrolchimico...
"All'interno del gruppo". Ma non c'è solo quello, in Sicilia. Gela è in crisi, eppure ha una capacità di raffinazione di 5,9 tonnellate annue, non altissima ma neanche bassissima. Piuttosto, le altre raffinerie siciliane, che appunto non sono del "gruppo", sono tra le poche italiane di taglia internazionale, mentre molte altre sono diventate depositi di prodotti raffinati altrove (era questo che volevano per Gela, proprio mentre si autorizzano trivellazioni e si danno licenze per prospezioni offshore?). Milazzo, la garibaldina Milazzo, la porta sulle Eolie, luogo omerico, è partecipata a metà da Eni e Q8, con le sue 10,3 tonnellate. A Priolo (Siracusa) la Erg ha ceduto il passo ai russi di Lukoil e la vecchia Isab raffina 18,4 tonnellate. Augusta, sempre nel siracusano, raffina 9,9 tonnellate: è della ExxonMobil (Esso).
Totale Sicilia: 43,9 tonnellate annue di capacità di raffinazione del greggio. Totale Italia: 95,5 tonnellate. Il 46%. Mi rendo conto, sono numeri grezzi, non raffinati.