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Molti dei funzionari silurati sono considerati vicini alla confraternita islamica del predicatore Fetullah Gulen, che dopo essere stato un suo sostenitore da tempo ha ingaggiato uno scontro con Erdogan. E proprio questo scontro, sempre più aspro, secondo l'opinione di molti analisti turchi, sta dietro l'ondata di arresti di questi giorni. Il tribunale di Ankara a inizio anno ha aperto un'indagine sulle infiltrazioni della confraternita religiosa nella magistratura dopo la denuncia presentata dell'ex-ministro della Giustizia e vice-presidente dell'Akp, Mehmet Ali Sahin. E per complicare le cose, contro Gulen si è schierato anche il leader di un'altra importante confraternita religiosa, il "Movimento Nur", considerata vicina al governo, facendo presagire uno scontro anche tra i gruppi religiosi che hanno sostenuto fino ad ora Erdogan.
Erdogan deve inoltre fronteggiare critiche e defezioni nel suo stesso partito. Il 25 dicembre i tre ministri coinvolti dalle indagini dopo l'arresto dei loro figli si sono dimessi e il premier ha annunciato un rimpasto di governo che ha coinvolto dieci i membri dell'esecutivo che sono stati sostituiti in accordo con il presidente della Repubblica Abdullah Gul: tra di essi c'è l'ex ministro degli Esteri e attuale ministro per gli Affari europei, Egemen Bagis. La decisione, è ovvio, è stata accolta con irritazione dai diretti interessati, tanto che l'ex titolare dell'Ambiente, Erdogan Bayraktar, ha invitato lo stesso premier a lasciare l'incarico "per amore della nazione".
La possibilità che Erdogan decida di dimettersi per andare a elezioni anticipate lo stesso giorno delle elezioni amministrative già fissate per il prossimo 30 marzo non è da escludere, secondo alcuni osservatori. Il premier, pur in calo di consensi, secondo i sondaggi mantiene ancora un consistente sostegno popolare e potrebbe decidere di andare alla conta con i suoi avversari interni ed esterni. Del resto non sarebbe la prima volta, e lo stesso ordinamento giuridico turco in materia stabilisce tempi e modi in maniera precisa. Un accordo in questo senso tra Erdogan e il presidente della repubblica Abdullah Gul renderebbe possibile l'operazione. Dal canto suo il presidente Abdullah Gul ha assicurato che se vi e' stata corruzione, non verra' nascosta, marcando in qualche modo anche in questa occasione una differenza di toni rispetto al premier. Non solo perché è il presidente della repubblica, ma anche perché è il principale avversario di Erdogan nell'Akp e potrebbe essere il suo sfidante alle prossime elezioni presidenziali.
I toni usati dal premier nelle sue uscite pubbliche, sono stati molto netti fin dai primi giorni in cui lo scandalo è esploso. Il 21 dicembre ha parlato di “reti nello Stato che sono state usate come società segrete”, assicurando che saranno smantellate come è stato fatto per le proteste di Gezi Park. Pochi giorni fa ha denunciato il "tentativo di assassinio" volto a colpire “il futuro e la stabilità" della Turchia sostenendo la tesi di un "complotto" per destabilizzarlo. Ieri ha ripetuto che la sovranità non appartiene alla magistratura né al governo ma al popolo e che se i giudici si prendono un potere che non appartiene loro saranno giudicati per questo.
E in tutto questo, che fanno i militari che per decenni sono stati gli intransigenti custodi dell'ortodossia repubblicana kemalista e ai quali proprio Erdogan è riuscito a togliere potere dopo uno scontro durato vari anni? Il potente esercito turco, per ora non si è fatto coinvolgere dal terremoto politico, ma ha sfruttato l'occasione per tornare a far sentire la sua voce e difendere i propri ufficiali condannati a pesanti pene per cospirazione. Il 27 dicembre lo Stato maggiore ha presentato una denuncia penale alla procura di Ankara contro le condanne di centinaia di ufficiali, sostenendo che le prove sono state "manipolate" e "fabbricate" e sono state "ignorate le argomentazioni della difesa" chiedendo nuovi processi. I vertici militari assicurano di non voler essere coinvolti nella “tangentopoli” che sta scuotendo il quadro politico, ma la stampa filogovernativa non si è lasciata scappare l'occasione di indicare la loro iniziativa come un pretesto per aprire la strada ad un intervento militare.
Le misure prese dal governo di Ankara contro poliziotti e prefetti che indagano sulla corruzione in Turchia sono "soggetto di inquietudine per la UE", ha detto qualche giorno fa il portavoce della Commissione, Olivier Bailly, sottolineando che Bruxelles chiede "immediatamente" ad Ankara di "rispettare i criteri sullo stato di diritto" connessi allo status di Paese candidato all'adesione alla UE e di "prendere misure" per "assicurarsi che le accuse e i comportamenti sbagliati di certi dirigenti siano trattati senza discriminazioni". Intanto, però, ieri il governo ha presentato in parlamento un disegno di legge per mettere sotto piu' stretto controllo il Consiglio supremo dei giudici e dei procuratori (il Csm turco) e il sistema giudiziario. L'esame del provvedimento inizierà la settimana prossima. Secondo le indiscrezioni di stampa il disegno di legge trasferirebbe tutti i poteri giudiziari al ministro della giustizia in modo tale che il sistema giudiziario sia direttamente controllato dall'esecutivo. Se la nuova normativa sarà approvata - e sembra scontato, dato che l'Akp ha la maggioranza assoluta nel parlamento turco – l'UE e non solo avranno un motivo di inquietudine in più.
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