Dopo avere parlato del coraggio e della resistenza, non si può non parlare, di questi tempi, di quello che sta accadendo in medio oriente, e della minaccia incombente rappresentata dal terrorismo islamico.
In questo articolo il deputato Giovanni Di Battista ha lanciato l’ipotesi di un bisogno di dialogo con i movimenti ( oggi questo, ieri un altro…) estremi che per farsi giustizia o per realizzare un loro progetto di vita e di sistema paese, ricorrono alla logica spietata e disumana della prevaricazione sociale, militare e politica.
Questo, si sa, ha sollevato una marea di contestazioni, per lo più comprensibili ma anche altrettanto superficiali, in quanto sappiamo che non si risolve un pericolo oscuro e incompreso lasciandolo tale.
Di Battista ha detto una cosa molto assennata e lungimirante, senz’altro degna di rispetto e di considerazione, almeno a mio avviso.
Quello che mi fa sconcerto non è questa elementare verità, ma l’estrema difficile realizzazione di questa necessità.
Non è certo pensabile che un sistema così complesso e lontano dal nostro (ma non per questo non simile) si voglia mettere a dialogare con il proprio presunto nemico, senza avere per questo adeguati interlocutori capaci di rappresentare, agli occhi di questa frangia che rischia sempre più di diventare sovrastante, un punto di confronto e di riferimento.
Innanzitutto bisogna guadagnarsi “l’attenzione” delle persone con cui si intende andare a negoziare. E poi prima della negoziazione occorre tutto quel cammino di vita comune, di problematiche sociali, di occasioni di confronto, che sono di per sè ardue all’interno di uno stesso sistema di vita, figuriamoci dentro due realtà così divergenti e percepite come antagoniste.
Forse è questo il problema numero uno; l’opinione comune percepisce che il mondo islamico non sarà mai abbastanza evoluto da comprendere le logiche del mondo occidentale, nè il mondo occidentale ammette che il suo stesso sistema abbia dimostrato d’avere fallito e d’essere dunque passibile di critiche severe e necessarie.
E poi dove sono i leader che potrebbero programmare e perseguire questa necessità di sapersi sedere ad un tavolo comune, come si dovrebbe fare in ogni comunità funzionante?
Non sto dicendo che la cosa è impossibile; sto solo dicendo che questo conflitto dovrà durare ancora moltissimo moltissimo tempo, prima di potere intravedere una via d’uscita.
In verità già molto si potrebbe e si può fare a partire dall’educazione che si impartisce ai propri figli. Se si insegna che il popolo arabo (preso a simbolo di diverso dal proprio) è un qualcosa che va solo controllato utilizzato e tenuto in disparte, è chiaro che mai e poi mai questa gente ci potrà vedere come qualcosa che rimane degno di rispetto, nè i nostri figli potranno crescere in uno spirito interculturale.
Lo stesso dicasi per la cultura del Medio oriente; se si insegna ai bambini a scuola che l’occidente è per antonomasia il nemico storico, è l’usurpatore, è quello che vive senza Dio, è quello che vuole solo distruggere le civiltà diverse e non controllabili, è chiaro che mai e poi mai noi occidentali potremmo abbandonare l’idea di volerci proteggere a qualunque costo, con qualunque mezzo da questa specie di cancro che ci divora le membra, nè i giovani musulmani potranno imparare a vederci, dalle loro terre, come possibili fratelli.
Dov’è il mio nemico? Il mio nemico è il terrorista, non un sistema di vita semplicemente diverso dal mio. E perchè nasce il terrorismo? Per tanti ragioni. Alcune imputabili a torti subiti e quindi a offese perpetrate; altre imputabili a ideologie ben manovrate e mosse a regia da chi ci vuole guadagnare in potere e a volte ricchezza.
Il terrorista vince perchè costruisce intorno a sè un terreno di omertà, come la mafia, dove le persone vengono appunto terrorizzate, indotte al silenzio e all’accettazione.
Il terrorista vince perchè si trasforma in un meccanismo disumano imbottito di odio e di desiderio di rivalsa.
E questo terrorista a volte veste i panni di un occidentale che si converte a questo fanatismo. Detto così, sembrerebbe che questo modo di agire assai criminale, non possa che avere i giorni contati, ed invece sappiamo che non si vede via d’uscita, che se non si riesce ad umanizzare il problema, coinvolgendo le volontà della stessa popolazione locale, non si troverà nessuna guarigione alla malattia.
Ma perchè un occidentale, cresciuto nel nostro mondo, imbottito di libertà e concessioni, oltre che di violenza sottile e velata, perpetrata con eleganza ed ipocrisia, dovrebbe un giorno decidere di passare sul fronte opposto?
E’ ovvio, la risposta sta già nella domanda.
La nostra violenza sarà meno apparente e visibile di quella araba (uso questa parola per indicare una entità generica di riferimento), ma di sicuro non è meno feroce.
Noi uccidiamo sistematicamente i nostri cittadini migliori che hanno solo il difetto di essere deboli, con la leggerezza delle leggi, degli ostruzionismi, delle caste, dei privilegi e dei ladrocinii.
E nessuno ci chiama per questo terroristi.
E’ orribile la morte dell’inviato americano in Iraq; è orribile vederlo inginocchiato, vestito di arancione, abito che in quella circostanza rappresenta il colpevole di un crimine o di una serie di crimini, rappresenta lo sconfitto, l’umiliato, l’animale non più umano che deve andare alla morte, lo stesso colore che gli stessi americani fanno indossare ai loro carcerati.
E’ orribile che i suoi familiari debbano piangerlo, trovando consolazione nella misericordia.
E’ orribile che ci si possa sentire inermi e indifesi.
Ma è proprio quello che loro ( il nemico) vogliono ottenere.
Ed è ancora più orribile pensare che i torti starebbero tutti da una parte soltanto, è orribile pensare che le guerre passate non ci abbiano ancora insegnato nulla sul bisogno di fare strategie di integrazione e non di invasione o conquista.
Certo, l’integrazione occidentale in terra d’oriente in questo momento sta toccando i minimi storici; sembra di essere riprecipitati in quei secoli dove la mezzaluna faceva scempio dei cristiani che non accettavano di convertirsi all’islam.
Certo, la nostra capacità di integrazione dello straniero è senz’altro superiore e favorita da una cultura libertaria che forse il mondo musulmano non possiederà mai.
Ma se stesse proprio in questa palese realtà la nostra speranza?
Come mondo occidentale dobbiamo riconoscere che il nostro liberismo ci ha portato contestualmente anche la perdita di valori importanti, che dobbiamo assolutamente recuperare; lo stesso mondo arabo deve riconoscere di avere ancora un sistema sociale troppo rigido e ancora precluso alle loro donne che vengono private vergognosamente dei diritti più elementari.
Ripartiamo da qui. Dal farsi reciprocamente coming out.
Si facciano sentire e vedere le persone che contano.
Comincino loro a dare coraggio, a fare chiarezza, a uscire allo scoperto.