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IL TESORO PIU' GRANDE di Fabiola D'Amico ( Cap. 1-2 )

Creato il 24 febbraio 2011 da Francy
IL TESORO PIU' GRANDE di Fabiola D'Amico ( Cap. 1-2 )
IL TESORO PIU' GRANDE di Fabiola D'Amico ( Cap. 1-2 )
 Iniziamo oggi la pubblicazione del nostro nuovo romance a puntate, IL TESORO PIU' GRANDE, scritto da Fabiola D'Amico,di cui vi abbiamo parlato qualche giorno fa ( vedi qui la trama) e che ci terrà compagnia per diverse settimane, a cadenza bisettimanale:il giovedì e la domenica. Speriamo che la travagliata storia di Isabella e Juan, ambientata nella Sicilia di metà Cinquecento, vi interessi ed appassioni. BUONA LETTURA!
  1  Giugno, 1645
  Carissima Isabella,  Gravi e tristissimi fatti mi costringono a rivolgermi a voi, mia figlia diletta. Ho bisogno del vostro aiuto: la mia vita è in pericolo. Gente influente e pericolosa getta discredito sul mio onore, mi rivolge infondate accuse; ma non ho paura, non temo i loro soprusi. Le mie azioni saranno giudicate dal Sommo Giudice che è nei cieli. Non cederò alle pressioni e alle torture; so che il mio destino è già compiuto, nessuno potrà salvarmi dall’infame crudeltà di questi uomini che antepongono il loro potere alla verità e alla giustizia. Ho un unico rammarico, aver compreso troppo tardi la crudeltà delle loro azioni.   In questi ultimi giorni soltanto il vostro pensiero di figlia devota mi consola: quando penso allo splendido sorriso, agli occhi ridenti, tutto appare meno buio. Avrei preferito tenervi all’oscuro di tutto, ma le circostanze non me l’hanno permesso, e dunque sono costretto a cercare il vostro aiuto e, ahimè, quello dell’uomo che in questi ultimi anni ho perseguitato con tenacia e accanimento.  Dovete al più presto giungere in Sicilia per prendere qualcosa di molto prezioso che persone fidate custodiscono rischiando la loro vita.     Quando la mia lettera giungerà presso di voi, probabilmente le infamanti accuse che mi rivolgono avranno già causato la mia morte, quindi non voglio che mi cerchiate. Vi chiedo soltanto di prendere il mio tesoro e occuparvene come se per voi fosse la cosa più importante; ma non correte inutili pericoli, nessuno dovrà sapere chi siete né da dove venite. Neanche l’uomo che vi aiuterà nell’impresa, Juan Velazquez.   Mi sembra di vedere la sorpresa dipinta sul vostro bellissimo volto, mentre leggete queste righe. Abbiate fiducia in me, non sono impazzito. Nell’ora della morte, ho compreso che ho sprecato tempo e risorse a cercare di inchiodare un uomo che stava soltanto rimediando agli errori del passato, mentre sono stato cieco nei confronti di persone che dividevano la mia stessa tavola, gente che si è rilevata diabolica e vendicativa.   Se qualcuno mi avesse detto che avrei affidato mia figlia alle mani di quel pirata, gli avrei riso in faccia. Ora, invece, credo che sia l’unica persona in grado di aiutarvi.  Conosce la Sicilia e il suo territorio, viaggia tranquillamente grazie alla sua attività di commerciante; ma soprattutto è un uomo coraggioso. Sì, perché la vostra impresa richiederà un gran coraggio. Dovrà accompagnarvi in questo viaggio, scortarvi a Termini e infine ricondurvi a casa. È un osso duro, non si lascerà convincere facilmente; offrite gli dei soldi, quelli fanno sempre gola, soprattutto per un uomo come lui.   So che quello che sto per chiedervi è  pazzesco, ma la gravità della situazione richiede atti di coraggio; se non dovesse lasciarsi convincere dal denaro, mostrategli le prove che in questi anni ho raccolto contro di lui. Sì, dovrete ricattarlo. È una mossa pericolosa, capirebbe subito la vostra identità, e nessuno di noi è in grado di conoscere la sua reazione. Usate quelle informazioni soltanto se non dovesse esserci altra soluzione.   Figlia adorata, so che quello che vi chiedo è un grande sacrificio, vorrei tornare indietro nel tempo per cambiare il presente, ma non posso farlo. Perdonate i miei errori e non giudicatemi quando scoprirete la verità. Non vi svelerò il nome dei miei nemici, né le prove che ho ottenuto contro di loro. Meno sapete, più sarete al sicuro. Non confidate a nessuno il luogo in cui siete diretta, svelatelo soltanto quando sarete giunta in Sicilia.   Le altre buste contengono tutte le indicazioni per trovare la casa dei miei amici e le prove che ho raccolto contro Juan Velazquez. Per la giustizia non bastano, ma lui questo non può saperlo. Ricordate di usarle soltanto come ultima risorsa.  Pregherò  per voi e per il vostro compagno affinché  vi conduca a casa sana e salva il più in fretta possibile.  Perdonatemi per avervi chiesto di rischiare la vostra vita.   Il vostro devotissimo padre,  Carlos Torrelles
     Una lacrima cadde sulla firma del Conte. La giovane donna strinse con forza la lettera tra le dita; ciò che aveva letto l’aveva sconvolta, cosa poteva essere accaduto di così terribile da far credere al padre che presto sarebbe morto? Che cosa aveva scoperto di così spaventoso, chi erano i suoi nemici, perché era così importante quel tesoro di cui parlava nella lettera? Quale significato aveva nella vita del genitore da costringerlo a richiedere il suo aiuto, ma soprattutto quello di Juan Velazquez? La sua situazione doveva essere tragica se l’uomo aveva messo da parte l’orgoglio e le aveva chiesto di rivolgersi al suo più grande nemico.      Da quasi dieci anni l’unico obiettivo del padre era stato dimostrare che il giovane ricco commerciante era soltanto un comune pirata: di quelli che assalgono le navi cristiane, rubando oro, argento, armi. Quello stesso pirata che nel 1635 aveva assalito la nave che lo avrebbe dovuto portare nelle Americhe, e che aveva richiesto un riscatto per liberarlo.  In realtà, più volte aveva confessato a Isabella che aveva molto gradito la compagnia del carceriere, anche se mai una volta gli aveva mostrato il viso, nascosto da una fascia di seta nera; era stato trattato con molto rispetto e con gli onori che si confacevano a uomo della sua posizione; così quando era stato rilasciato, non aveva fatto denuncia.   Ritornato alla vita normale, il padre aveva dimenticato in fretta la sua avventura, ma non del tutto. Sebbene non avesse mai visto il suo carceriere in viso, in nessun caso avrebbe dimenticato la voce, così calda e sommessa. Pertanto, quando a una cena l’aveva visto tranquillamente seduto alla tavola di uno dei più ricchi baroni Spagnoli, con un sorriso di scherno sul bel viso, non l’aveva riconosciuto, ma appena ne aveva udito la voce, il ricordo della cattura del vascello, l’umiliazione di esser stato rapito lo avevano assalito. Aveva gridato a gran voce chi fosse quel fantomatico commerciante, ma pochi gli avevano dato ascolto. Purtroppo non aveva altre prove e non potendo mandarlo in prigione, gli aveva reso la vita difficile gettando discredito sui suoi affari, impedendogli di entrare a far parte del bel mondo. Almeno fino a due anni prima, quando il Conte aveva deciso di gettare la spugna e di recarsi in Sicilia per una vacanza, ma ormai l’ombra del dubbio aveva cominciato a gravare sul giovane commerciante.    Più  Isabella rifletteva sulle parole del padre, più la sua fronte si accigliava. In che modo convincere Velasquez a seguirla in quell’impresa? D’altra parte era inutile angustiarsi su un problema che si sarebbe presentato soltanto in un secondo momento. La cosa più importante era trovarlo. Doveva partire al più presto per Barcellona, dove l’uomo viveva durante il suo soggiorno in Spagna.   «Carmelita!». La lettera era stata spedita quasi un mese prima, da allora poteva essere accaduto di tutto; bisognava preparare i bagagli il più in fretta possibile. «Dov’è finita quella donna, possibile che quando ho bisogno di lei, non c’è mai?», pensò Isabella.    «Eccomi, cos’è tutta questa fretta?». Carmelita entrò nella camera tutta trafelata, aveva percorso tutta la casa fino alla stanza della padrona quasi correndo. Era mai possibile che in quella casa dovesse fare tutto lei?   «Madre de Dios! Che succede, cos’è tutta questa confusione?». Le ante del grande armadio erano spalancate e i vestiti erano gettati alla rinfusa sul letto, sulla poltrona, sul divano… cappelli, scarpe e altri accessori erano sparpagliati ovunque.  «Ho bisogno di un baule; dì al cocchiere di tenersi pronto e chiama Francisco, devo parlargli con urgenza». Doveva riflettere, la partenza era immediata, d’altra parte non poteva lasciare la casa incustodita. «Beh! Cosa aspetti, non abbiamo tempo da perdere».  «Che accade?». Carmelita era attonita, non riusciva a muoversi. «Cosa vi state mettendo? Quell’abito non si addice al lutto!».  «Non posso presentarmi al capitano Velazquez vestita a lutto. Né dovrà sapere che sono vedova. Credi che questo andrà bene?». Aveva indossato un abito rosso scuro, dalla scollatura ovale che lasciava scoperto il collo e parte delle spalle; aveva legato un nastro di seta nera attorno al collo. Il busto era ricamato con filigrana dorata, mentre dalle maniche a tre quarti usciva la camicia bianca, ornata con nastri e galani. Il rosso del vestito, così diverso dagli abiti neri che da quasi un anno Isabella indossava, la rendeva splendente, ma quello che colpì Carmelita fu lo sguardo della sua padrona: la tristezza se n’era andata, lasciando il posto a un’espressione determinata, sebbene preoccupata. Che cosa stava accadendo? Carmelita si sedette sul letto.  «Volete dirmi cosa avete in mente?».  Isabella si guardò allo specchio, non sopportava quei vestiti, le sembrava di soffocare, tanto erano stretti al busto. E i capelli? Alzarli o lasciarli sciolti sulle spalle?  Poi si voltò a guardare la donna che l’aveva cresciuta, la sua balia, l’unica madre che avesse avuto. Povera donna, nella fretta del viaggio l’aveva quasi dimenticata. Non poteva affrontare ciò che il futuro le riservava senza di lei. Si avvicinò e la abbracciò, dicendole in tono dolce: «Carmelita, devo partire. La lettera di stamattina recava cattive notizie: mio padre ha bisogno del mio aiuto. Andrò in Sicilia a soccorrerlo. Vuoi venire con me? Ascolta, prima di darmi la tua risposta devi sapere che non sarà un viaggio di piacere, affronteremo numerosi pericoli e viaggeremo in incognito. Nessuno deve sapere di chi sono figlia, né che sono stata sposata. D’ora in avanti sarò Isabella Gonzaga, nubile e senza famiglia».  La sua bambina doveva andare in Sicilia e affrontare chissà quali pericoli, no non l’avrebbe lasciata da sola. L’aveva confortata durante l’infanzia, quando la notte sognava draghi e uccelli feroci, frutto della fantasia e dei racconti che il padre le narrava. Le era stata vicina in ogni momento della sua vita, lieto e funesto come il giorno in cui il marito era morto; non l’avrebbe abbandonata neanche adesso. «Certo che vengo con voi; non vi lascio sola, figlia adorata!». Dicendole queste parole la strinse al petto e la cullò come quando era piccola.  Isabella si strinse al petto di Carmelita, ispirò il lieve profumo di lavanda. Quelle forti braccia erano tanto rassicuranti! Il pensiero del padre la rattristò profondamente, dov’era adesso? Cosa gli stavano facendo? Sarebbe stata capace di affrontare l’ignoto? «Ho paura, tanta paura!».  Carmelita la scostò per guardarla in viso: «Ma cosa dite! Siete forte e coraggiosa. Grazie alla vostra caparbietà, siete riuscita a far di questo luogo una vera casa. Con i vostri sforzi, i campi aridi che circondavano il palazzo sono tornati a vivere e i villani sono tornati nelle loro case. Dovete credere in voi stessa, così come ha fatto vostro padre. Su! Asciugate quelle lacrime. Non è il momento di piangere. Non avevate detto che bisognava fare in fretta?».  Per incoraggiarla la abbracciò fortemente.  Erano trascorse alcune ore da quando aveva ricevuto la lettera del padre; ore frenetiche in cui aveva preparato i bagagli e dato ordini alla servitù; ma prima di andare a Barcellona, doveva fare ancora un’ultima cosa; si sarebbe fermata dal notaio, non voleva lasciare niente al caso, le probabilità di tornare a casa erano molto basse. Se non fosse rimpatriata, voleva che la casa, ereditata dopo la morte del marito, andasse al fattore e alla sua famiglia, poiché era stato grazie a suoi insegnamenti che era riuscita a coltivare il grano. Carmelita aveva salutato tutti ed era già salita in carrozza. Doveva raggiungerla. Lasciò vagare lo sguardo sulla casa, ammirandone i vetri dipinti e i bellissimi tendaggi, giunti direttamente dall’Italia; guardò i fiori del piccolo giardino che circondavano la casa, sorrise ai suoi dipendenti, gli unici amici che avesse avuto dalla morte del marito. Lasciava le sicure mura di quella dimora per andare incontro a un destino ignoto e buio. Salita nella carrozza il pensiero correva al padre, ma anche a ciò che abbandonava, così osservò dal finestrino ogni particolare, fino a quando la polvere delle grandi ruote formò una nebbia che ostacolava ogni visione. L’ultima cosa che vide furono i suoi amici che sventolavano dei fazzoletti e le venne da piangere. Carmelita aveva ragione non era il momento di commuoversi, stava per iniziare una nuova avventura che l’avrebbe portata in un’altra terra, tra nemici potenti e crudeli. Aveva bisogno di tutto il suo coraggio. ...
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