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IL TESORO PIU' GRANDE di Fabiola D'Amico ( Cap. 13 - 14 )

Creato il 17 marzo 2011 da Francy
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SECONDA PARTE
   20 Luglio 1645, Palermo        IL TESORO PIU' GRANDE di Fabiola D'Amico ( Cap. 13 - 14 )   Il vascello scivolava lentamente sulle acque azzurre del mare; un silenzio innaturale accompagnava i naviganti nell’ultimo tratto del loro viaggio. Il sole nascente baciava tiepidamente la vastità del mare sollevandosi all’orizzonte. Lì, l’acqua si tingeva di rosso e poco a poco l’astro saliva verso la volta blu del cielo mattutino. Le ultime stelle diventavano sempre più deboli, scomparendo del tutto davanti alla luce splendente dell’aurora. L’alba, così tersa, annunciava una giornata bellissima e l’aria, nonostante si fosse alla metà di luglio, era fresca. Gradualmente apparvero le sinuose scogliere del golfo di Palermo, i promontori rocciosi alle spalle dell’antica città.   Sul vascello i marinai si alternavano alle corde ammainando le vele. Altri, seguiti da Juan, preparavano la merce da scaricare. Felipe, al timone, governava la goletta, impegnato a superare i numerosi navigli che il golfo ospitava e le altrettanto piccole imbarcazioni che tornavano a casa dopo aver pescato abbondante pesce.   Isabella, poggiata al parapetto, guardava, senza vederla, la città che si avvicinava, mostrandosi con alte cupole e campanili. Nonostante il paesaggio che il sole  e l’avvicinamento andava disegnando, Isabella era persa nei suoi pensieri, estranea a ciò che accadeva intorno a lei. Da quando erano partiti dall’isola dei pirati, quasi una settimana prima, aveva combattuto contro desideri opposti.   Da un lato, avrebbe desiderato giungere a Palermo il più in fretta possibile per accertarsi sulla salute del padre, per conoscere i terribili nemici di cui il genitore le aveva parlato nella lettera, scoprire quel tesoro tanto importante da spingerlo a mettere da parte l’orgoglio e cercare l’aiuto di Juan. Dall’altro lato, avrebbe desiderato che quel viaggio non finisse mai. Presto lui avrebbe scoperto la verità, e soprattutto avrebbe saputo che lei era una vile approfittatrice. In quegli ultimi giorni aveva capito quanto fosse innamorata. Juan sembrava provare per lei ben più di una passione amorosa e glielo aveva dimostrato raccontandole il suo passato.   Mentre lei lo stava tradendo miseramente.   Sebbene avesse la certezza che lui non le avrebbe mai negato il suo aiuto, sapeva che le bugie che gli aveva propinato lo avrebbero allontanato da lei per sempre. Più volte, era stata sul punto di rilevargli la sua identità e lo scopo del viaggio, ma la paura di perderlo era stata più forte e ora non poteva più tornare indietro; presto sarebbe rimasta sola, avrebbe perso l’uomo che più amava al mondo. Quando l’angoscia di perderlo la sopraffaceva, pensava di mentire e vivere con Juan per sempre, bastava che seguisse le istruzioni del padre e tornasse in Spagna senza voltarsi indietro, senza confessargli chi fosse in realtà. Poi, però, l’idea di vivere nella menzogna, di celare il profondo amore che provava per il padre, le faceva accantonare quell’idea meschina.   Inoltre sapeva che non avrebbe mai lasciato il padre in balia di uomini crudeli, se c’era una sola possibilità di salvarlo, lei l’avrebbe sfruttata. In quella vicenda non c’era posto per l’amore e la felicità.   Juan diede gli ultimi ordini, poi si guardò intorno in cerca di Isabella. La vide sul parapetto con lo sguardo perso nel paesaggio circostante. Ancora una volta si chiese cosa la tormentasse, tutti i suoi tentativi per convincerla a parlare non erano serviti a nulla, sembrava che avesse paura di lui o di una sua reazione. Possibile che non riuscisse a capire che per lei avrebbe fatto qualsiasi cosa?  Vederla così triste e preoccupata, lo tormentava. In quegli ultimi giorni aveva cercato di mostrarsi serena soprattutto in presenza della ciurma, ma quando era sola si intristiva, i suoi occhi si riempivano di lacrime. Avevano fatto l’amore ogni notte, ma negli ultimi giorni aveva avvertito in Isabella un’angoscia nascosta, gli si era donata con troppa foga, come se per loro non c’era futuro, come se presto sarebbero stati allontanati, ma questo non l’avrebbe mai permesso. Niente e nessuno potevano separarla da lui.  Gli si avvicinò velocemente e poi le diede un leggero e fuggevole bacio sul collo. Un brivido caldo scese sulla schiena di Isabella. Presto non ci sarebbero più baci, abbracci; non avrebbe più udito la sua calda voce evocare immagini proibite.     «Finalmente siamo arrivati a Palermo!», Juan cercò di apparire allegro.    «A volte ho desiderato che il vento ci spingesse così lontano da queste coste, da non potervi mai giungere!». Isabella non poté nascondergli la sua angoscia, poi scacciò la malinconia e gli disse: «Quello che cerco si trova in un piccolo paese di nome Termini».      «Si trova a due giorni di cammino, ma se lo raggiungiamo con il vascello impiegheremo un giorno, anche meno. Se puoi ancora aspettare, sbrigherò  i miei affari in città e poi saremo liberi di andare alla ricerca del tuo tesoro. Almeno saremo in grado di fuggire più velocemente se approderemo nel golfo di Termini. Se, come dici, questo tesoro è cercato da diverse persone è meglio avere pronta una via di fuga». Juan avvertì un totale irrigidimento nel corpo di Isabella, spiegandole il suo piano.  Isabella chiuse gli occhi, cercando di trattenere le lacrime. Aveva ancora un giorno per stargli vicino. Non avrebbe perso quell’occasione. «Ho aspettato tanto tempo, un giorno in più non farà differenza».     Non gli andava di lasciarla sulla nave a tormentarsi, l’avrebbe portata con sé. «Allora vai a farti bella, perché ti porto a vedere una fra le città più incantevoli del mondo: Palermo felicissima, così la definiscono i poeti».  Isabella stava per rifiutare, ma il desiderio di stargli vicino fu troppo forte. Dopo averlo abbracciato corse a prepararsi.   Indossò  un abito verde scuro, con una camicia bianca di lino, le cui maniche erano rifinite da nastri del colore del vestito. Il rigore dell’abito, appena scollato sul collo e rigidamente abbottonato davanti, era così diverso dalle confortevoli gonne che in quegli ultimi giorni aveva indossato che si sentì quasi soffocare. Cinse il collo con un nastro di seta e acconciò i capelli in morbide ciocche, infine posò sul capo un grazioso cappellino.   Quando tornò sul ponte tra gli uomini si susseguirono sguardi di ammirazione; la ciurma, al suo passaggio, si inchinava togliendosi i copricapo, come se fosse una regina.   Leandro si avvicinò e prendendo la parola, a nome di tutti le disse: «Così vestita sembrata la signora altezzosa che è salita sulla nave il giorno della partenza da Barcellona, ma adesso sappiamo che dietro questa bellezza e questi abiti raffinati si nasconde una donna coraggiosa e dal cuore tenero». Poi si rivolse a Juan:  «Capitano fate in modo che nessuno la rapisca e che faccia ritorno sulla nostra nave sana e salva». Tutti gli uomini approvarono il discorso del giovane e batterono sulle sue spalle delle pacche.     «Il ragazzo ha ragione, riportatela a bordo altrimenti la prossima volta che prenderà l’influenza, non ci sarà nessuno a fargli il bagno!». Le parole di Garcia provocarono uno scoppio di risate e un lieve rossore sulle guance di Leandro.   Isabella era pronta a difenderlo, ma uno sguardo di Juan la fermò. Leandro con voce cupa, rispose: «Siete soltanto gelosi perché la signora mi ha curato, mentre farebbe morire tutti voi». Gli uomini continuarono a burlarsi del giovane.  Isabella ancora una volta si pentì di non aver seguito il consiglio di Juan e lasciare che fossero lui e Luis a occuparsi del bagno di Leandro quando era stato male, ma allora aveva creduto che Juan la volesse sollevare da quel compito solo perché geloso. Soltanto dopo aver ascoltato le imbeccate della ciurma contro il povero Leandro, aveva capito che a causa della sua testardaggine aveva dato a quegli uomini un motivo per prendere in giro il ragazzo.  Isabella, nel momento in cui si ritrovarono sulla scialuppa, chiese a Juan: «Fino a quando continueranno a prenderlo in giro?».   Juan non poté trattenere un sorriso: «Credo che ne avranno per un bel po’, almeno fin quando non avranno qualche altra storia più interessante, ma non credo che accadrà presto: non capita tutti i giorni che una donna spogli un uomo, gli faccia il bagno e poi lo rivesta, come se fosse un bambino!».   Isabella fece una smorfia a Juan e si voltò a guardare le altre barche che si trovavano sul golfo.  La goletta non avrebbe attraccato al porto prima della sera, quando altri bastimenti si sarebbero allontanati dalla città; fino a quel momento, i marinai dovevano disporre le merci sul ponte e aspettare poi di scaricarli. A Palermo Juan avrebbe incontrato i commercianti che gli avevano commissionato la merce, per lo più sementi di ortaggi e di fiori e soprattutto cacao; ma nella sua stiva c’erano anche delle preziose suppellettili provenienti dalla Francia, come comò, specchiere, candelabri destinati alle case principesche che si affacciavano sul Cassaro. In altri pacchi c’erano splendide stoffe di broccato e di seta, gioielli finemente cesellati e cappelli alla moda. In città avrebbe, invece, acquistato il buon grano che l’isola produceva da centinaia di anni e il vino pregiato. In quegli ultimi tempi però, la produzione del grano aveva subito un duro colpo sia a causa delle carestie sia della concorrenza spagnola, la quale, ormai, importava dal viceregno soltanto una minima parte del consumo nazionale; così Juan aveva cominciato a commerciare la canna da zucchero, già lavorata, e il gelso.   Nonostante gli affari andassero bene, Juan era soprattutto soddisfatto delle amicizie che intraprendeva con le persone dei luoghi dove arrivava il suo vascello. Quello era l’aspetto più interessante. Quando era un pirata, non avrebbe potuto fermarsi nei porti e stringere amicizie con gli abitanti, ora invece era libero di viaggiare e conoscere luoghi e gente senza paura di essere riconosciuto e rischiare la forca. Tra tutti i luoghi che aveva visitato, preferiva la Sicilia. Terra d’amore e di orgoglio. Gli isolani da sempre intraprendevano lotte efferate per ottenere l’indipendenza dai domini stranieri.   Nel passato la posizione centrale dell’isola nel mediterraneo aveva attirato numerosi popoli. I Greci e i Fenici erano stati i primi a intraprenderne la colonizzazione, e la loro presenza era testimoniata dai meravigliosi templi di Girgenti, Selinunte e Segesta, che per bellezza e maestosità nulla avevano da invidiare alla famosa Acropoli del monte Olimpo in Grecia.    Poi erano arrivati i Romani e avevano fatto dell’isola il granaio dell’impero. In nessuna parte del mondo conosciuto esisteva frumento più dorato e buono. Gli antichi cronisti romani narravano che in estate, prima della mietitura, i campi di grano sembravano immense distese d’oro; la sera, quando giungeva la brezza a ristorare i contadini dopo una giornata calda, le spighe si tingevano di rosso e si muovevano avanti e indietro sinuosamente quasi come le braccia di mille ballerine. Flotte di bastimenti giungevano nell’isola per caricare le stive con quel fine oro.   Poi l’isola era stata lasciata a sé stessa, senza alcuna protezione alla mercé dei popoli barbari che arrivavano dalla vicina Africa. Strenuamente le popolazioni isolane avevano lottato contro le invasioni degli stranieri; l’antica città di Palermo era rimasta sotto assedio per molti anni e soltanto la fame aveva costretto gli isolani ad arrendersi alla potenza straniera.   E così la città era stata arricchita da magnifiche moschee, palazzi e giardini fioriti costruiti dai forestieri, che i Siciliani odiarono rimanendo fedeli al Cristianesimo anche se torturati e martirizzati. S’incontravano segretamente, pregando affinché il Salvatore giungesse a liberarli dall’invasore straniero. E il Signore portò loro un valoroso guerriero, sceso dalla lontana Normandia a liberare il popolo siciliano, Roberto il Guiscardo.   Si narrava che i soldati normanni erano entrati nella città, evitando i giganti saraceni, attraverso un tunnel sotterraneo scavato sotto il palazzo dell’emiro. Con ferocia avevano combattuto contro gli invasori, uccidendo l’Emiro nella sua stessa casa. I Siciliani avevano accolto con canti di gioia il liberatore e la sua stirpe. L’antica cattedrale era stata riconsacrata al culto cristiano e gli isolani vi giunsero a grandi flotte per ammirare il Cristo.   I normanni, per la grande clemenza dei suoi principi, che avevano consentito agli arabi di continuare ad abitare sull’isola, erano ricordati come principi giusti. All’epoca in cui Juan e Isabella sbarcarono sull’isola, la popolazione raggruppava diverse etnie: Greci, Arabi e Normanni, Spagnoli, Arabi.   Ogni cosa in Sicilia portava l’immagine della storia e dei popoli che l’avevano conquistata, ma quello che Juan apprezzava in quella terra misteriosa era il popolo così fiero e coraggioso. Il Siciliano era orgoglioso e lavoratore, non disprezzava lo straniero ma lo accoglieva nella propria casa come un amico, un fratello.   Lì  in Sicilia vi erano le donne belle e allegre, certo non le nobili dame, imbellettate e costrette ad indossare busti, ma le popolane, vestite con gonne svolazzanti, da cui s’intravedevano gambe tornite, lunghi capelli neri e occhi maliziosi e fieri. Era gente gioiosa, che non si lasciava abbattere dalle difficoltà, che lottava fino all’ultimo respiro. Anche nei momenti più drammatici sapevano sorridere alla vita e andavano avanti, senza mai voltarsi indietro.   Giunti alla banchina del porto, Juan fece scendere Isabella e insieme si avviarono verso una carrozza a noleggio. Attraversarono il porto, poi svoltarono a sinistra verso l’antico quartiere della Kalsa, dove immensi magazzini custodivano le merci che giungevano da tutto il mondo. La vettura si fermò davanti a uno di questi. Un uomo corpulento gli si avvicinò, l’espressione accigliata fu sostituita da un sorriso allegro, non appena riconobbe il visitatore.     «Avervi qui è una graditissima sorpresa, Capitano». I due si abbracciarono con affetto.    «Bartolomeo, sono felice di vedervi in salute!». Disse Juan.    «Finalmente siete ritornato, vi aspettavo qualche giorno prima». Bartolomeo guardò Isabella per un attimo.    «Abbiamo incontrato una tempesta che ci ha spinti fuori rotta. Non preoccupatevi il vostro carico è salvo!».     «Non siate sciocco, cosa volete che m’importi del carico! Piuttosto i vostri uomini stanno tutti bene?». Bartolomeo aveva molta stima del capitano e la sua salute gli stava molto a cuore, difficilmente avrebbe potuto trovare una persona più onesta di Juan.    «Nessun ferito. E vostra moglie e i bambini?». Juan ricordava che fossero sei.     «Stanno benissimo, la piccola Rosalia cresce e diventa sempre più  bella. Ah! Ma voi non potete saperlo! La mia Lucia è in attesa di un altro bambino. In confidenza spero che sia un altro maschio. Le femmine portano soltanto guai!». Nonostante Bartolomeo avesse sussurrato quelle ultime parole, Isabella le udì molto bene, ma trattenne una brutta risposta.     «Non avete idea di quanto sia d’accordo con la vostra opinione, soprattutto in questi ultimi tempi!». Juan rispose in modo accattivante, guardando Isabella e cercando di non ridere quando lei divenne rossa. Un pizzico al braccio lo fece diventare di nuovo serio, mentre Isabella gli lanciava occhiate di avvertimento.  «Bartolomeo, lasciate che vi presenti Isabella Gonzaga, la mia …una cara amica». Soltanto in quel momento si chiese come presentare Isabella, non poteva certo dire che era la sua amante. D’altra parte non poteva presentarla come una fidanzata poiché tra di loro non c’era niente di definitivo.   Isabella apprezzò la presentazione di Juan, e fece al signor Bartolomeo un inchino profondo. La cosa deliziò l’uomo, che nonostante frequentasse circoli molto esclusivi, a causa delle sue origini modeste era sempre trattato con sufficienza. Con garbo prese  la mano di Isabella e le fece il baciamano. «Sono molto onorato di conoscere un’amica del Capitano Velasquez. Se non avete altri impegni vorrei invitarvi a pranzo!».    «Ne saremo felici». Juan rispose con prontezza.    «Giuseppe!». Il signor Bartolomeo con tono autoritario fece accorrere vicino a loro un ragazzino di dodici anni.  Il ragazzo, non appena vide Juan esplose in esclamazione di gioia.    «Capitano!». Strinse la mano di Juan con rispetto.    «Come stai, Giuseppe?», Juan era molto affezionato al ragazzo.    «Sono pronto per imbarcarmi sulla vostra nave». Viaggiare con il capitano Velasquez era il suo più grande sogno.    «Signora permettetemi di presentarvi il mio secondogenito. Quando è nato ero felicissimo perché avevo un erede a cui lasciare tutto quello per cui stavo lavorando. Invece, lui vuole prendere il mare e andarsene insieme al capitano in cerca di avventure!».   Juan s’intromise nel discorso di Bartolomeo: «Giuseppe, non è ancora il momento per imbarcarti dovrai aspettare qualche anno. Però puoi fare qualcosa per me, anche ora».  Il ragazzo rispose prontamente: «Ditemi quello che vi occorre. Sono pronto a eseguire qualunque vostro ordine!».    «Molto bene, poiché devo parlare con tuo padre di affari, vorrei che facessi da scorta alla mia amica, Donna Isabella. Portala alla cattedrale».   Il viso del ragazzo divenne rosso, poi in tono contrariato disse: «No, questo non potete chiedermelo».   Juan sorrise: «Avevi detto che avresti fatto qualunque cosa ti avessi chiesto!».    Il ragazzo guardò Isabella, poi si avvicinò al capitano e con voce sommessa gli rispose: «Non intendo rimangiarmi la parola ma signore accompagnare una donna in giro per la città! È roba da femminucce».  Juan gli mise un braccio intorno alle spalle: «Non credere che sia una compito facile. Dovrai proteggerla e averne cura. Nessuno deve avvicinarla. Se qualche malintenzionato dovesse importunarla, dovrai affrontarlo e batterti per proteggerla».  Il ragazzo assunse un’aria pensierosa, forse quella era una buona occasione per dimostrare il suo coraggio. «D’accordo. La proteggerò anche a costo della mia vita».   Juan e Bartolomeo nascosero un sorriso, poi il capitano si rivolse a Isabella: «Ti affido a questo ragazzo, lasciati proteggere da lui. Ci rivediamo in casa di Bartolomeo».     «Sarò molto onorata di essere scortata da un giovane valoroso». Isabella accolse con un fremito di eccitazione la proposta di essere lasciata sola. Si affacciò nella sua mente l’idea di indagare su suo padre. Senza Juan era libera di muoversi.     
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