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IL TESORO PIU' GRANDE di Fabiola D'Amico ( Cap. 23 )

Creato il 03 aprile 2011 da Francy
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IL TESORO PIU' GRANDE di Fabiola D'Amico ( Cap. 23 )
   Il settimo giorno di navigazione, ai primi raggi del sole, il marinaio di vedetta annunciò a gran voce: «Nave in vista! Vascello spagnolo!».  Il capitano corse a chiamare il nipote dell’inquisitore che ancora dormiva. Naturalmente fu il più dolce risveglio che Gualtiero avesse mai desiderato. Appena salito sulla coffa, si apprestò a guardare con il binocolo la nave. Un sorriso quasi fanciullesco apparve sul volto dell’uomo.   «Finalmente ti prenderò!». Disse a voce bassa.   Ordinò  agli uomini di mettersi in posizione di combattimento e di portargli Juan. Quando l’ebbe davanti, con voce beffarda, gli disse: «Il gran giorno è arrivato. Avete fatto un buon lavoro e per questo meritate una ricompensa; vi farò morire soltanto dopo aver visto affondare la vostra nave!».   Juan rimase completamente indifferente, e guardò verso l’orizzonte, dove si scorgeva il vascello. Erano giunti al posto determinato con un giorno di ritardo e questo voleva dire che gli uomini erano più che pronti a battersi, sempre che il piano fosse andato come aveva previsto. Ora c’era solo una cosa da fare: liberarsi e al momento opportuno buttarsi in mare e nuotare il più velocemente possibile.   Nel frattempo gli uomini si affaccendavano intorno ai cannoni, preparando le munizioni e disponendosi alla battaglia. I rematori erano fustigati, per aumentare la velocità della nave, così nel giro di un’ora, riuscirono a vedere gli uomini del vascello intenti alle loro mansioni quotidiane.     «Capitano ecco la vostra ciurma, sono così tranquilli che perdono tempo a lustrare il ponte. Oh che visione superba, la vostra amante sta passeggiando in compagnia di un vostro ufficiale, scommetto che vi ha già dimenticato. Volete dare un’occhiata?». Gualtiero aveva usato un tono sarcastico, e mentre gli porgeva il binocolo non nascose un sorriso di compiacimento.  Juan continuò a mostrarsi indifferente, poi guardò attraverso lo strumento che quello stupido gli porgeva. Il suo primo sguardo fu per Isabella: sembrava in splendida forma, aveva riacquistato peso e colore. Rassicurato, si concentrò sui suoi uomini.   A un primo sguardo sembravano occupati a svolgere le solite faccende, ma guardando più attentamente si accorse che le dodici bocche da fuoco erano già pronte a sparare, inoltre vide dei movimenti indistinti intorno ad essi. Aguzzando ancor di più la vista, scorse uno degli uomini di Raffaele che cercava di nascondersi tra i barili di polvere da sparo. La sua presenza rincuorò Juan, poiché ebbe la certezza che tutto sarebbe andato secondo il piano prestabilito.    «Molto bene, possiamo andare avanti. Vorrei informarvi di un’idea bizzarra che mi è venuta in mente in questo momento: sarei onorato se il primo colpo di cannone lo sparaste voi. Non la trovate un’idea brillante? Naturalmente, il capocannoniere cercherà di mirare dritto a babordo, dove ora si trova la vostra splendida compagna!». Il viso di Gualtiero assunse un’espressione sarcastica.    «Non potete ucciderla!». Queste furono le sole parole che Juan riuscì  a pronunciare.    «E’ vero non posso ucciderla, perché sarà più divertente che lo facciate voi».    «Se Isabella muore, non verrete mai in possesso di quei documenti». Juan cercò di mostrarsi calmo, se quella era una trappola non doveva cascarci.    «Vedete, ormai quei documenti hanno perso il loro valore; inoltre credo che siano in quella nave. Dopo aver ucciso la vostra amata, ridurrò in cenere tutto quello che c’è in quel vascello, lettere comprese. Liberatelo». Gualtiero ordinò in modo secco e sbrigativo, poi si avvicinò ai cannoni.    «Preparate la miccia. Capitano Velazquez a voi l’onore».  Juan ripiombò in un attimo nel passato. Vedeva se stesso bambino, con una pistola in mano, costretto a uccidere il padre. Lo sguardo di misericordia della madre tornò a tormentarlo. Aveva promesso a se stesso di non fare più lo stesso errore. Meglio morire che uccidere le persone amate.    «Allora vi decidete a prendere questa miccia?». La voce di Gualtiero era adirata.    «Potete pure ingoiarla, perché non la prenderò mai». Il tono di Juan era determinato.  Lo scagnozzo di Gualtiero diede un pugno a Juan all’addome, mandandolo a finire a terra. «Alzati stupido. Anche se ti rifiuti di accendere quella miccia, lo farò io stesso. Né tu, né la tua nave vi salverete».   Juan si alzò a fatica, poi sputò in faccia a Gualtiero.  «Puoi tagliarmi a fettine, ma non riuscirai a convincermi a fare quello che vuoi».   Gualtiero si pulì il viso e, sempre più adirato, prese la sua rivoltella e la poggiò alle tempie di Juan: «Accendi quella miccia o ti riduco in brandelli il cervello!».
    «Nave in vista. Galera italiana, un solo albero maestro, numerosi rematori!».  La ciurma cominciò a osservare, aspettavano da giorni quell’annuncio. Felipe guardò dal binocolo e scorse in lontananza la nave. Doveva essere quella che attendevano, non potevano esserci dubbi; da quando erano arrivati, non avevano avvistato neanche una barca. Fiducioso, corse a chiamare Isabella.  Isabella era china sul letto, intenta a osservare il volto di Carlos, quando Felipe giunse con la notizia tanto desiderata.    «Questo vuol dire che Juan è vivo!». Isabella corse ad abbracciare l’amico fedele, che, imbarazzato, rimase immobile davanti a quella manifestazione di affetto.     «Presto dobbiamo sbrigarci, quanto dista la nave?».    «Un’ora al massimo. Gli uomini sono già ai posti di combattimento. Raffaele ha assunto il comando della nave. Ora dobbiamo solo aspettare e fingere di non prevedere il loro arrivo», Felipe cercò di ricomporsi.    «Manda qualcuno a prendersi cura del bambino, così potrò  salire sul ponte». Isabella non riusciva a contenere l’eccitazione.    «Donna Isabella vi occuperete voi del bambino. Juan ha dato degli ordini precisi e, primo fra tutti, di non mettere in alcun modo la vostra vita in pericolo».    «Non ho alcuna intenzione di restare confinata in questa stanza, mentre tutti voi rischiate la vostra vita. Inoltre, sono molto brava a maneggiare la spada e voi più di tutti sapete quanto questo sia importante. E non cercate di dissuadermi, sapete che non mi arrendo facilmente».   Isabella voleva ad ogni costo essere in prima linea nel combattimento che sarebbe seguito per vedere in faccia quell’odioso animale che l’aveva fatta imprigionare, ma soprattutto che aveva ucciso il padre.    «D’accordo, ma ricordatevi di non correre inutili pericoli. Juan non me lo perdonerebbe mai!». Felipe non provò neanche a dissuaderla, sapeva quanto fosse testarda.  Saliti sul ponte, finsero di occuparsi delle solite faccende, mentre attendevano che la galera si avvicinasse. Dopo quasi un’ora riuscirono a individuare gli uomini a bordo della nave, fra cui anche Juan. Isabella riuscì a identificarlo subito, sembrava molto dimagrito, anche se sul suo viso conservava un’espressione determinata. Man mano che si avvicinavano, i sussurri, a bordo del vascello, si attutivano. Gli uomini sapevano come comportarsi, poiché da quando avevano preso a bordo i pirati dell’isola deserta, capitanati da Raffaele, ognuno era stato addestrato all’azione. Alcuni dovevano tenersi nascosti fino all’ordine di Raffaele, altri dovevano sbrigare le solite faccende. Mentre erano intenti a osservare la nave che si avvicinava, Isabella vide notò un certo movimento sul ponte: stano obbligando Juan ad accostarsi a un cannone. Non sapendo cosa stesse per accadere, prese il cannocchiale e osservò con più attenzione la scena. Comprese ben presto quale fosse l’intento di Gualtiero, soprattutto quando vide che puntava alla tempia di Juan una rivoltella, mentre con l’altra mano teneva una miccia accesa.    «Felipe, dobbiamo fare qualcosa, quel mostro vuole obbligare Juan a far esplodere il primo cannone. Sono sicura che Juan non cederà!».     Felipe mise, rapidamente, a conoscenza del fatto Raffaele. Dopo qualche istante, una delle bocche si aprì e, dopo aver lanciato un urlo di guerra, Raffaele ordinò ai suoi uomini di fare fuoco.   La palla di cannone esplose nell’aria con forza prepotente, salì verso il cielo, poi, con un movimento circolare, cadde sul ponte della galera. Nessuno dell’equipaggio si accorse di cosa stava succedendo, attenti a quanto stava svolgendosi tra il capitano e il prigioniero, perciò erano del tutto impreparati quando la palla di fuoco colpì il centro della nave, frantumando l’albero maestro.   L’impatto fu così forte che molti di loro caddero in mare, Gualtiero e il suo scagnozzo persero l’equilibrio e lasciate andare le armi, si gettarono sul ponte riparandosi la testa. Una densa nuvola di fumo coprì i loro occhi, al punto che non riuscivano a scorgere oltre il palmo della mano.   Dopo l’attimo di sbalordimento iniziale, un coro di lamenti si alzò dall’imbarcazione. Gualtiero si tirò su a fatica cercando Juan, ma l’uomo sembrava sparito; con frenesia sollevò i corpi privi di vita che incontrava, lanciando urli e bestemmie verso quelli che alzavano una mano per chiedergli aiuto. Un’altra cannonata li colse di sorpresa, rigettando il panico tra l’equipaggio.    «Maledetti, che cosa aspettate a rispondere al fuoco?!». La voce di Gualtiero superò il boato della palla di cannone.   Da quel momento il cielo si tinse di grigio, poiché le due navi lanciavano senza sosta le palle di fuoco. Mentre la galera, priva dei rematori, impegnati nella battaglia, era rimasta ferma, il vascello di Juan, grazie alla lieve brezza che si era alzata, si era avvicinata sempre di più.   Isabella, con Felipe, osservava con ansia quanto stava succedendo. La vittoria sembrava giungere troppo facilmente poiché le palle di fuoco, lanciate dalla galera, non raggiungevano quasi mai il vascello, ma in cuor loro avevano un’altra preoccupazione, da quando Raffaele aveva ordinato di aprire il fuoco, avevano perso di vista Juan. Guardavano ansiosi verso il pontile, ma non lo avvistavano in alcun luogo.   «Felipe, cosa può essergli accaduto?». L’angoscia di Isabella era percepibile anche nel clamore della battaglia.  Lo sguardo fisso verso la sua nave, il vascello che aveva sempre desiderato, Juan cercava di non pensare al metallo freddo che Gualtiero gli puntava alla tempia. Con cuore leggero lanciò un ultimo addio a Isabella; la rivide vicino a sé la sera in cui si erano amati per la prima volta e la tenerezza lo sopraffece. Rivolgendo ancora uno sguardo verso la sua nave, mosse le labbra in un tacito saluto. Soltanto in quel momento si accorse della palla di fuoco che stava per piombargli addosso. Cosa diavolo stava succedendo? Con sgomento si accorse che quell’arma tanto micidiale giungeva dal suo vascello. La sua mente prese a girare vorticosamente, guardando i suoi carcerieri si accorse che non avevano percezione di quanto stava per accadere.   Quella era l’occasione che aspettava.   Quando la palla di cannone sibilò sulle loro teste, si gettò di lato, proteggendo la testa con le mani, poi, negli istanti che seguirono, quando tutti erano troppo sbalorditi perché comprendessero cosa era successo, si gettò in mare. Nuotò quasi tutto il tempo sott’acqua, avvertendo sulla sua testa il rumore delle cannonate che le due navi non risparmiavano. Dopo un tempo che gli parve interminabile, giunse al suo vascello. In realtà. non erano che trascorsi pochi minuti. I suoi uomini erano impegnati a rispondere al fuoco del nemico, così nessuno fece caso al suo arrivo, tanto inaspettato quanto desiderato. Quando fu sul ponte, cercò Isabella e la vide sul cassero intenta a guardare verso la galera. ... 
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