Magazine Cultura

IL TESORO PIU' GRANDE di Fabiola D'Amico ( Cap. 5 - 6 )

Creato il 03 marzo 2011 da Francy
IL TESORO PIU' GRANDE di Fabiola D'Amico ( Cap. 5 - 6 )
IL TESORO PIU' GRANDE di Fabiola D'Amico ( Cap. 5 - 6 )
LEGGETE QUI la trama del romanzo.
*Per leggere tutti i capitoli precedenti  fin ora pubblicati di questo romanzo andate qui.
  5  
   «E questo è il quadrato, cioè quello che voi gente di terra, chiamate sala da pranzo». Con un gesto della mano Juan la invitò a entrare nella stanza in cui la mattina aveva fatto colazione.
  Avevano visitato tutto il vascello, dalle due stive agli ambienti dei marinai. Mentre Juan le dava da bere, Isabella gli chiese: «Viaggiate molto durante l’anno?».     «Sempre. Mi fermo solo per condurre le trattative a terra» Juan si poggiò sullo spigolo del tavolo, lasciando una gamba penzolare.     «Non vi annoiate?». Isabella riconobbe con se stessa che stare in compagnia di Juan era molto interessante, conversava brillantemente, mai una volta erano rimasti in silenzio.    «Il mare è la mia vita. Non riesco a vedermi in un altro posto».    «Non avete voglia di avere una famiglia?».  Juan rimase in silenzio per qualche attimo prima di risponderle: «No, non ho voglia di avere una famiglia». Il passato tornò a tormentarlo.  Isabella lo guardò impensierita, era evidente che quel tema non gli era gradito. Avrebbe voluto chiedergli di più, ma poi preferì cambiare argomento, così gli disse: «Parlatemi dei vostri viaggi».    «Non c’è molto da dire. La mia nave fa spola tra le Americhe e l’Europa. Imbarco merce nei porti americani e la sbarco in quelli europei. Tutto qui».  Isabella sorrise.  «Detto così sembra una cosa semplicissima».  Juan proruppe in una risata argentina, poi le rispose: «Avete ragione non c’è niente di semplice. Questa nave ha affrontato pirati, burrasche e animali marini misteriosi, ma sono sempre tornato a casa».    «Allora, avete una casa».    Juan guardò Isabella intensamente. Le piaceva molto, la sua compagnia lo faceva sentire rilassato. Non aveva mai provato niente di simile con altre donne. Era molto intelligente, gli aveva rivolto numerose domande e imparava in fretta. Poteva conversare con Isabella e parlare di mare, di cime e altre cose del genere e avere sempre la sua attenzione. E questo non era comune, ma faceva anche osservazioni acute.  «Era un modo di dire. La mia casa è il mare».   Forse era arrivato il momento di provare anche il suo coraggio. «C’è ancora un posto che non vi ho fatto vedere».    «Davvero?», Isabella lo guardò incuriosita.    «No, non è un luogo adatto a una signora.». Aveva voglia di stuzzicare la sua fantasia.    «Almeno ditemi di cosa si tratta, poi sarò io a decidere». Isabella era fermamente decisa a non lasciarsi soccombere da Juan.    «Lasciate stare, è un’idea assurda». Gli occhi di Isabella s’incupirono. Si alzò in piedi per affrontarlo.    «Mi avete lanciato un invito non potete tirarvi indietro».  Juan sorrise, scosse la testa, poi disse: «Avete ragione».   La condusse sul ponte, dove i marinai stavano lavorando.  «Volevo mostrarvi il panorama che si osserva da lassù». Per tutto il tempo in cui parlò, non distolse lo guardo dal viso di Isabella. La donna sollevò la testa in direzione del dito di Juan, quando capì dove avrebbe voluto condurla il suo viso sbiancò, ma fu soltanto per un attimo. Nel momento in cui lo fissò negli occhi, il suo viso aveva ripreso il normale colorito: «Capitano, il vostro invito mi lusinga. Sarei ben felice di salire sulla coffa».   Juan rimase piacevolmente colpito dal suo coraggio. «Non credo che abbiate un abbigliamento adatto per affrontare certe salite». Con quelle parole considerava chiusa la faccenda, per cui rimase sbalordito quando Isabella disse: «Potrei indossare i vostri pantaloni».    «Come?».  Isabella sapeva di averlo stupito e anche se salire fin lassù la intimoriva, non voleva essere considerata una sciocca donna che sveniva a ogni cosa . «Se foste così gentile da prestarmi i vostri pantaloni e mostrarmi come si sale, sarò felice di raggiungere quella vetta».     «Siete veramente convinta di quello che dite?».   Alcuni marinai gli si avvicinarono, incuriositi dal piccolo battibecco.     «Mi avete invitato a salire sulla coffa e ora vi tirate indietro?».    «Stavo scherzando». Doveva imparare a misurare le parole con quella donna.    «Io no. Allora mi prestate i vostri pantaloni o dovrò chiederli a qualcun altro?».  Soltanto in quel momento Juan si accorse della piccola folla che gli si era formata vicino.     «Signora potrebbe indossare i miei». Leandro non era riuscito a trattenersi dal parlare. Magari si sarebbe rotta l’osso del collo e non l’avrebbero avuta più tra i piedi, pensò il giovane.    Isabella guardò il ragazzo che aveva parlato, poteva avere all’incirca vent’anni e aveva l’impressione che non la trovasse molto simpatica. Se ne chiese il motivo.   Purtroppo non ebbe neanche il tempo di ringraziarlo, perché Juan disse in tono gelido: «Non avete altro da fare che stare qui ad ascoltare i nostri discorsi?». Aveva guardato negli occhi Leandro, fino quando questi non aveva abbassato lo sguardo. Poi si rivolse a Isabella: «Considerando la vostra insistenza, sarò più che lieto di prestarvi i miei calzoni. Potete trovarne nella nostra camera». Aveva sottolineato la parola nostra, per far capire a tutti quegli uomini che quella donna era sua proprietà.  Isabella scese nella stanza e trovò l’indumento in un baule. Le stavano un po’ larghi, ma grazie a un nastro riuscì a tenerli su. Indossare quei pantaloni la fece sentire libera e soltanto in quel momento comprese quanto ingombranti fossero tutte quelle gonne e sottovesti che le donne erano costrette a portare. Con un gesto impulsivo decise di indossare anche una camicia di Juan. Non si soffermò neanche a guardarsi, tanto era eccitata.    «Statemi bene a sentire, perché non intendo ripetermi. Quella donna resterà in questa nave fino a quando io non deciderò il contrario. Nessuno di voi le rivolgerà la parola senza il mio permesso». Si rivolse poi direttamente a Leandro: «E questo vale anche per te Leandro. Tu più di chiunque altro dovresti sapere quanto può essere difficile salire sulla coffa. Quante volte ci hai provato? Decine di volte fino a quando non ti sei arreso. Credi che per lei sarà diverso? E non venirmi a dire che voleva essere un gesto gentile perché so qual è la tua opinione sulla signorina Isabella».  Avrebbe voluto continuare quella ramanzina, ma fu interrotto da un mormorio. Si volse a guardare per vedere cosa avesse attirato l’attenzione dei suoi uomini e rimase senza parole.   Con quei vestiti da uomo Isabella era meravigliosa e terribilmente sensuale. La camicia bianca, leggermente aperta sul collo, lasciava intravedere le dolci curve del seno; i corti pantaloni mostravano le forme rotonde delle natiche. Le lunghe gambe erano scoperte quasi fino al ginocchio. Aveva raccolto i lunghi capelli neri lasciando nuda la nuca. Juan desiderò ardentemente essere solo con Isabella per prenderla lì, sul ponte. Un forte desiderio lo assalì: avrebbe voluto spogliarla, toccarla e baciarla sui capezzoli che s’intravedevano dal leggero tessuto della camicia. A disagio, sentì che il suo membro pressava il tessuto dei pantaloni.     Intuendo che i suoi uomini provavano lo stesso desiderio, si mise davanti per proteggerla da quei famelici sguardi. «Avete indossato anche la mia camicia». Sapeva che era una cosa stupida da dire, ma in quel momento non riusciva a ragionare con lucidità.  Isabella si era accorta troppo tardi dell’effetto che aveva suscitato. Si rendeva conto che essere l’unica donna tra quindici uomini, era molto pericoloso. Si stava comportando come una stupida e non ne comprendeva il motivo. Il suo unico scopo era giungere a Palermo, salvare suo padre e recuperare il tesoro. E invece eccola lì sul ponte di quella nave, con addosso gli indumenti del capitano e quindici paia di occhi che non smettevano di guardarla con desiderio.   Poiché  Isabella non rispondeva, ma rimaneva con gli occhi rivolti verso il basso, Juan prese di nuovo la parola: «Se avete cambiato idea, non ci sarebbe nulla di male».   Isabella alzò gli occhi a guardare i suoi compagni di viaggio. Nei loro sguardi non lesse più desiderio ma derisione. Sapeva che molti di loro la consideravano una femmina stupida e senza coraggio. Ora comprendeva il motivo che l’aveva spinta ad accettare la sfida di Juan, voleva dimostrare a quei marinai che poteva far parte del loro mondo. E il primo passo per riuscirci era superare quella prova. «Non ho cambiato idea. Vi sarei grata se voleste mostrarmi come si raggiunge la coffa».   Juan si maledisse per averle proposto quell’idea assurda. Aveva voluto prendersi gioco di lei, nessuna delle donne che aveva frequentato, dalle belle dame alle cameriere dei postriboli, avrebbe mai avuto il coraggio di fare quell’assurda salita. Ancora una volta non aveva tenuto in conto la testardaggine e la determinazione di Isabella. Si rendeva conto che cercare di dissuaderla non sarebbe servito a nulla. Anzi era più che convinto che cercare di scoraggiarla, la intestardiva sempre di più.   D’altra parte era certo che dopo i primi metri si sarebbe arresa. La invitò a seguirlo fino ai piedi delle sartie, poi disse: «Dovrete cercare di aggrapparvi con le mani alle corde e poggiare i piedi sugli spazi vuoti, ma soprattutto non dovrete mai guardare verso il basso. Vi faccio vedere.»  Juan salì per primo, mostrandole i movimenti.   Isabella, dopo aver fatto un gran respiro, poiché non poteva negare che tutto ciò la impauriva, salì dietro di lui. All’inizio procedeva con calma e determinazione. Contrariamente a quanto il capitano aveva pensato, dopo aver percorso i primi metri, Isabella si sentì più sicura e aumentò la velocità di salita. Credendo di aver già raggiunto la coffa, alzò gli occhi a guardare la distanza che la separava dalla piattaforma.   Questo fu il primo errore che commise. Con rammarico, infatti, si accorse che era ben lontana dal raggiungere la coffa. Incuriosita, volle vedere il percorso fatto; e qui commise il secondo errore, che le fu fatale: rivolse lo sguardo in basso.  Sotto di sé vide una distesa di acqua azzurra, che ondeggiava e sembrava invitarla a cadervi dentro. Isabella chiuse gli occhi per reprimere il conato di vomito che l’aveva assalita. Si ripromise di non guardare più giù, ma non appena aprì gli occhi, quasi mossi da una forza oscura quelli fissarono il mare, che adesso le sembrò più vicino e più mosso. La paura s’impossessò di lei e sentì che le forze la stavano abbandonando. Lasciò andare la presa di una mano, un piede le scivolò e quasi precipitò.  Aveva cercato di non perderla di vista per tutto il tragitto. Procedeva avanti indicandole la strada da seguire. Fin dai primi passi capì che aveva la stoffa adatta per stare in una nave. Però A un certo punto ebbe l’impressione che non fosse più dietro di lui, e si volse a guardare verso il basso; la vide appesa alle corde con gli occhi chiusi, poi fissare intensamente il mare. Comprendendo quanto sarebbe successo, si precipitò al suo fianco, incoraggiandola a non guardare in basso ma Isabella sembrava non sentirlo. Il grido di avvertimento che gli lanciarono i suoi uomini, lo indusse ad afferrarla e stringerla a sé. «Isabella state bene?».  Anche con gli occhi chiusi vedeva il mare ondeggiare sotto di lei, e il senso di vomito non la lasciava. Voleva disperatamente ritrovarsi sul ponte e non su quelle dannate corde. «Isabella, aprite gli occhi. Su forza, non è niente. Brava, adesso fate un respiro profondo».  Isabella fece come le diceva Juan. Gli si era aggrappata e non voleva lasciarlo per niente al mondo. Poco a poco ritrovò la calma. Quei respiri profondi le davano sicurezza. «Adesso vi porto giù. Non lasciatemi».  No, non posso arrendermi così. Isabella fatti forza, devi farcela. In fondo non può essere così difficile, rifletté.     «Sto bene, voglio arrivare in cima».  Juan rimase sorpreso da quella risposta. Stava ancora tremando per la paura ma non si arrendeva.  «Avanti, avete dimostrato di esser coraggiosa».    «Davvero voglio andare avanti. Posso farcela».    «Siete più testarda di un mulo. Ascoltatemi, non guardate più in basso, d’accordo?». Isabella gli fece segno con la testa. «Andate avanti voi».   Procedettero lentamente; ogni qualvolta che avvertiva l’istinto di guardare in basso, Isabella si mordeva la lingua e si concentrava sulla salita. Finalmente arrivarono in cima. Le sembrava che fossero trascorse ore da quando aveva cominciato l’ascesa e non pochi minuti. Si sedette sulla coffa, chiudendo gli occhi. Aveva il respiro affannoso e sentiva le gambe molli. Rimase così per molto tempo, fino a quando non si sentì abbastanza calma per parlare. Non appena aprì gli occhi, vide che Juan la osservava: «Siete stata bravissima».    «Grazie, ma la prossima volta, quando mi verrà un’altra idea del genere, legatemi ad un albero».  Juan sorrise e le disse: «La prossima volta non avrete più paura».    «Vi prego, non parlatemi di una prossima volta. Devo ancora superare la paura di questa».     «Sì, ma guardate che splendido panorama». Juan l’aiuto ad alzarsi, poi Isabella fissò la distesa di mare azzurro in silenzio.    Lassù, a sessanta piedi dal ponte, c’era calma e quiete. Non si udivano le grida dei marinai, lo sciabordio dell’acqua contro lo scafo della nave. Erano soli, a pochi passi dal cielo, che sembrava potessero toccare con un dito, e udivano soltanto la brezza del vento. Intorno a loro vedevano soltanto il mare che oltre l’orizzonte si confondeva con il cielo.    «Allora ne è valsa la pena?».    «È magnifico. Mi sembra di essere padrona del mondo. È tutto così piccolo, così lontano».  Juan la guardò ancora una volta stupito. La prima volta che era salito, sulla coffa aveva avvertito le stesse sensazioni. Pensò a tutti i problemi che aveva risolto lassù; quante paure aveva affrontato in compagnia del vento?  Poi lo sguardo di Isabella s’incupì, l’ammirazione lasciò il posto alla tristezza. Qual era il suo segreto?    «Da che parte si trova Palermo?».   Juan le rispose: «A levante».    «Quanto tempo ci vorrà per arrivare?».    «Dipende dalle condizioni del mare e del vento. Da un minimo di una settimana, fino a un mese».   Quella risposta le provocò una stretta al cuore, cosa ne sarebbe stato del padre in tutto quel tempo?     «Perché non mi confidate il vostro problema?», Juan le rivolse la domanda con sollecitudine.  Isabella rimase a guardare il mare. Sarebbe stato così facile confidarsi, ma non poteva correre il rischio, Juan non avrebbe mai aiutato il padre. «Non posso. Non capireste».  Juan non insistette, sapeva che non era ancora il momento.     «Volete restare ancora quassù?».  Quella domanda la riportò alla realtà. Guardò verso il basso e disse: «Posso restare qui fino alla fine del viaggio?».  Juan sorrise: «Non ditemi che vi preoccupa la discesa».  Isabella gli rivolse un sorriso incerto: «Se vi dicessi che ho paura, mi lascereste qui?».    «No, perché restare quassù, con il mare agitato, è molto pericoloso».  Isabella sospirò pesantemente: «Allora facciamola finita!».  Scendere fu ancora più difficile che salire, la discesa la costringeva a guardare verso il basso, verso il mare che continuava a ondeggiare. Le sembrò di aver impiegato ancora più tempo che a salire. Quando raggiunse l’ultima fila di corde era allo stremo delle forze sia fisiche sia mentali, per fortuna Juan la prese in braccio e la posò gentilmente sul ponte, tenendola stressa a sé, finché non recuperò le energie. A quel punto udì lo scroscio di un applauso.    Tutta la ciurma si era raccolta intorno a loro e acclamava Isabella.     «Siete stata bravissima Senora». Era stato uno di loro a parlare, ma si capiva che era un pensiero comune. «Abbiamo avuto paura quando stavate per cadere».    «Io di più», rispose Isabella, sorridendo dolcemente.    «Ehi, la senora è stata più brava di alcuni presenti». I marinai accompagnarono l’affermazione con un coro di risate e ammiccamenti verso Leandro.      «In realtà, se non fosse stato per il capitano, sarei ancora lassù. E devo anche confessarvi che mi tremano ancora le gambe». Isabella era orgogliosa di sé stessa, quegli uomini, che fino a poco tempo prima la guardavano con disprezzo, ora l’apprezzavano.       «Forse è meglio se bevete qualcosa di forte», aggiunse uno di loro.     «Venite Isabella, avete bisogno di riposare». La voce di Juan riportò  silenzio tra la ciurma.    «Ma non sono stanca». Ora che li aveva in parte conquistati, voleva rimanere ancora con i marinai.     «Siete pallida. Inoltre non credete di dovermi restituire qualcosa?». Juan la guardò dall’alto in basso, soffermandosi sui seni e sui fianchi rotondi. Isabella arrossì, quello sguardo sembrava guardarle dentro. Gli passò davanti quasi correndo, andando a rifugiarsi nella cabina.
  Juan e Isabella erano seduti a tavola, insieme a loro vi erano l’ufficiale di bordo, Felipe, il medico, oltre che barbiere, Luis, e altri uomini della ciurma. In onore di Isabella, avevano indossato i loro migliori vestiti e mangiavano con cura. Erano così rigidi e computi da non sembrare naturali. Non le rivolgevano mai la parola, conversando con Juan del più e del meno. Il cuoco aveva preparato una minestra e uno stufato di carne. Dopo cena, gli uomini si alzarono e, porgendo le loro scuse a Isabella, si ritirarono. Così rimasero da soli. Per un po’ stettero in silenzio, infine Juan le chiese: «Vi piace la vita di bordo?».   Isabella rifletté molto su quella domanda, aveva la sensazione che il suo futuro dipendesse dalla risposta che avrebbe dato. «Credo che sia troppo presto per dirlo».  Juan aspirò il sigaro e guardò Isabella oltre la cortina del fumo azzurrognolo. «È una risposta ambigua, ma avete ragione, quella di oggi è stata una giornata tranquilla, monotona direi. Per comprendere se si ama la vita di mare bisogna trovarsi al centro di una tempesta».     Isabella sorrise ripensando alla sua avventura: «Per me non è stata una giornata monotona».       «Giusta osservazione ma credo che per me sarà più movimentata la notte che sta sopraggiungendo».  L’allusione al loro patto era certamente chiara. Fra poco si sarebbero ritirati in cabina e niente e nessuno li avrebbe disturbati. Aveva chiesto a Felipe di fare il primo turno al timone, così avrebbe avuto ben quattro ore da dedicare al suo premio.    «Sarete stanca… vogliamo andare?».  Isabella si alzò a fatica. Era nervosa poiché non sapeva come comportarsi. Lo seguì fin nella cabina e rimase in piedi anche dopo che lui ebbe chiuso la porta. Lo sentì avvicinarsi e portarsi alle sue spalle. Le scostò i capelli dalla nuca e la baciò sul collo. Un brivido le scese lungo la schiena. Le sue mani le circondarono la vita, risalendo verso il seno, fino a quando non si fermarono sui capezzoli; il tocco delle sue dita la fece sobbalzare. «Quando oggi siete apparsa sul ponte con i miei vestiti eravate splendida: vi ho desiderato intensamente, ma ora vi voglio nuda, voglio assaporare ogni centimetro della vostra magnifica pelle». La voce di Juan era roca.  Isabella sentì una contrazione al centro della sua femminilità, al suono di quelle parole, con mani tremanti cominciò a slegarsi i lacci del busto, ma il nervosismo era tale che impiegò più tempo del dovuto. Poi lasciò cadere ai piedi il vestito e finalmente rimase in camiciola. Guardava dritto davanti a sé e non sapeva dove fosse Juan.     «Voltatevi». La voce di Juan ruppe il silenzio.   Lentamente Isabella si voltò, rimanendo con gli occhi rivolti verso il basso. Lui le sollevò il mento, poi le diede un leggero bacio sulle labbra, infine la lingua entrò nella sua bocca. Isabella rimase immobile, avvertiva il desiderio di stringersi a quel corpo caldo e virile. Più Juan aumentava il movimento della lingua, più la tensione cresceva dentro di lei. Che voglia di abbandonarsi a quella travolgente passione! Ma anni di inibizione non potevano annullarsi con poche carezze. Juan dovette accorgersi dei suoi sforzi, perché la lasciò andare.   La guardò cercando di capire cosa stesse succedendo, era evidente che non stava partecipando al gioco della seduzione. Sembrava trovare disgusto per il bacio e per qualsiasi altro contatto.      «Che cosa sta succedendo?». Il tono di Juan era preoccupato.   Pian piano Isabella aprì gli occhi, ma non ebbe il coraggio di guardarlo.    «Non abbiate timore a parlare».  Nonostante il tono rassicurante non poteva confessargli i suoi pensieri, le restrizioni che aveva sofferto durante il matrimonio. «Perché vi siete fermato?».     «Perché mi sono fermato? Siete un fascio di nervi, come se vi preparaste a salire sul patibolo che a far l’amore. Che cosa vi rende nervosa?». Gli domandò ancora una volta.  Isabella gli girò le spalle e si avvicinò al letto. Si sentiva confusa, lo desiderava da impazzire ma aveva paura di mostrarglielo. «Non sono nervosa. Potete prendermi quando volete».   Juan restò stupito da quelle parole. «Non vi prenderò né  stanotte né in altre occasioni. Non ho l’abitudine di costringere le donne a far l’amore con me».  Isabella lo guardò, nei suoi occhi c’era angoscia.  «Se non faremo l’amore, voi non mi condurrete a Palermo!».     «Qualunque cosa accada manterrò la mia parola: vi porterò  a Palermo e vi ricondurrò a casa».    «Devo rispettare la mia parte dell’accordo, ne va del mio onore. Vi prego fate l’amore con me!». Il tono di Isabella era incrinato dal pianto.    «Ascoltatemi, vi desidero tantissimo, ma voglio che anche per voi sia così. Credevo di piacervi, per questo vi ho proposto di diventare la mia amante, ma stasera mi avete dimostrato che c’è qualcosa che non va. Parlatemene e supereremo insieme il problema».    «Io.. non posso…No, voi non capireste…».    «Non so da cosa nasca la vostra convinzione che io non possa capire, è già la seconda volta che dubitate di me». Juan la fece sedere sul letto e s’inginocchiò di fronte a lei.    «Anch’io vi desidero». Aveva parlato così piano che pensò di non aver udito bene.    «Non è quello che mi avete dimostrato»; Juan le scostò dal viso i capelli.    «Ci conosciamo da troppo poco tempo!», Isabella volse altrove lo sguardo, non poteva dirgli di essere già stata sposata.   Juan rimase in silenzio a guardarle le spalle, infine le disse: «Siete vergine?».    «No». La risposta di Isabella era appena un sussurro.  Juan si passò le dita tra i capelli.  «Per me non è un problema fare l’amore con una donna appena conosciuta».  Lei si voltò a guardarlo, gli occhi neri luccicanti: «Non è mia abitudine gettarmi tra le braccia del primo venuto».    «Ne sono contento, ma io non sono un uomo qualunque! Ascoltatemi, troppe volte nella mia vita ho rischiato di morire, di vedere andare in fumo i miei progetti. Adesso prendo quello che voglio quando lo desidero. E ora voglio voi, più di qualsiasi altra cosa». Isabella arrossì quando comprese il desiderio del capitano.    «Non so se sarò capace di poter competere con la vostra passione».     «Lo sarete, c’è il fuoco dentro di voi. Forse posso aspettare ancora un giorno!». Poi Juan la strinse tra le braccia e la costrinse con una leggere pressione a distendersi al suo fianco. «Che cosa state facendo?». La voce di Isabella si fece stridula.     «Vi ho dato la mia parola che questa sera non ci sarà niente tra di noi; quindi rilassatevi, voglio solo dormire, e poiché c’è un solo letto dovremmo dividerlo. Mi aspetta il prossimo turno al timone». Non nascose uno sbadiglio e poi con tono stanco le disse: «Buonanotte!».   Isabella rimase completamente sbalordita, com’era possibile che solo un attimo prima fosse pronto a far l’amore con passione, mentre adesso dormiva beato? Che non la desiderasse veramente? Isabella fissò la parete di fronte, avvertiva il suo respiro leggero contro il collo e il calore del suo corpo. Ora che aveva voglia di essere baciata e toccata, lui dormiva. Promise a se stessa che non avrebbe ceduto alla passione fino a quando non fosse stata sicura che lui morisse di passione per lei. Se crede che cadrò ai suoi piedi può anche scordarselo! Dopo aver fatto quella promessa a se stessa, si addormentò tra le braccia confortanti di Juan. E dormi come un neonato cullata dal respiro tranquillo di lui. ...  
PER  LEGGERE IL SESTO CAPITOLO   DEL ROMANZO, CLICCATE QUI. 

APPUNTAMENTO A DOMENICA PROSSIMA PER I NUOVI CAPITOLI DE IL TESORO PIU' GRANDE! NON MANCATE!

IL TESORO PIU' GRANDE di Fabiola D'Amico ( Cap. 5 - 6 ) COSA NE PENSATE? AVETE DOMANDE DA FARE ALL'AUTRICE? ASPETTIAMO DI LEGGERE I VOSTRI COMMENTI SUL NOSTRO ROMANCE A PUNTATE .

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :