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Il testamento di Magnus: La valle del terrore

Creato il 31 maggio 2012 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

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Sette anni di travaglio artistico

Sette anni…
Sette anni di vita e di storia…
In sette anni un universo moriva e un altro rinasceva, forse non migliore, sicuramente più disincantato. Nel 1989 crollava quel muro che, crudele e fittizio, divideva due mondi invece legati da una storia comune. In quel medesimo anno Magnus iniziava ad abbozzare le prime tavole del suo Texone. Sette anni dopo, nel 1996, la prosaicità del reale già mostrava l’inumazione delle speranze che, dal diruparsi di quel mondo, si erano appena sollevate.
Chissà come aveva percepito l’evolversi del reale, il disegnatore Magnus, rinchiuso nel covo d’aquile di Castel del Rio, fra i monti e i boschi dell’Appennino Tosco Emiliano! Magnus, al secolo Roberto Raviola (1939-1996) disegnava lentamente, con pause impossibili, con realismo e certosina minuziosità il suo , reverente verso il mito, attento e modesto come gli artisti rustici sanno essere, quelli che hanno fatto mille mestieri e ricordano di essere prima di tutto artigiani, scettici della nobiltà della forgia che riescono a regalare alle proprie creature.

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Magnus non vivrà per avere la soddisfazione di vedere pubblicata la sua opera. Muore infatti nel febbraio del 1996, proprio a Castel del Rio, dove si nascondeva dal mondo e dove celava, con pudore e dignità, la sua orgogliosa povertà che l’aveva accompagnato negli anni, nonostante fosse uno dei più grandi artisti del mondo del fumetto.
L’opera, incompiuta in piccola parte, era stata finita da , amico del disegnatore bolognese e suo collaboratore sin dai tempi di Kriminal e Satanik, che lo aveva comunque coadiuvato nella redazione delle tavole, in particolare nella definizione delle cavalcature, che, non si sa per quale motivo, Magnus non riusciva a segnare in maniera realistica, e le dotava di portamenti sghimbesci e di espressioni stralunate.
Il lavoro fu terminato quando nessuno, né l’editore, Sergio Bonelli, per primo, né lo sceneggiatore, Claudio Nizzi, oramai ci sperava più.

 

La valle dell’arte figurativa

Il travaglio creativo, riprodotto su carta un po’ grossolana, offrì al lettore di allora sensazioni contrastanti ma sicuramente sconvolgenti.

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Un lavoro che ancora oggi quasi imbarazza, come se non si fosse ancora preparati a raccogliere l’immane generosità che il tratto ci regala. L’occhio è estasiato, eppure confuso nel seguire le infinite linee e gli arabescati arzigogoli grafici che formano un linguaggio artistico inedito nel fumetto popolare, linguaggio che ci rappresenta una narrazione grafica quasi collaterale alla trama che Nizzi ha elaborato. Quasi sembra che lo stile grafico di Magnus possa fare a meno della struttura narrativa perché ne crea una sua propria, fatta di arabeschi e sinuosità che sottendono un altissimo e autonomo percorso narrativo.

E poi i dettagli, i mille dettagli, che regalano agli oggetti muti una vivida vita fumettistica, intensa, più di quella reale. Dettagli che, sfolgoranti sui volti dei protagonisti e dei comprimari, ne narrano le storie segrete al lettore che non osserva figure su carta bensì creature vive e di sé narranti.

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Speciale Tex n. 9, p. 35

E poi i particolari pittorici naturalistici… L’ambientazione naturale di Castel del Rio è restituita nei minimi particolari: ogni albero svettante, ciascun tronco reciso, ogni arbusto, ogni ruscelletto, cascatella, direi ogni pozza d’acqua, è resa con la massima precisione. Ma anche gli eventi atmosferici trovano una perfetta realizzazione grafica. Il temporale è il drammatico sottofondo al crudo prologo che apre il sipario della narrazione. I fiotti d’acqua fluttuano nella tavola e paiono precipitare sullo sgomento lettore confuso e affascinato da tanta generosità descrittiva.

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Speciale Tex n. 9, p.70 (clicca per ingrandire)

Ma è Castel del Rio la vera protagonista grafica dell’opera di Magnus, ovvero, per meglio dire, gli scenari naturali che circondano la cittadina, comuni a numerosi luoghi, più o meno ameni, che sono quelli dei nostrani scenari appenninici e alpini. Al punto che l’estremo realismo della descrizione prende il sopravvento anche sulla logicità della narrazione. La sceneggiatura di Nizzi è adattata, a volte addirittura forzata dalle ambientazioni, cui Magnus non riesce a rinunciare, operando una trasposizione su carta assolutamente veristica. Prendiamo, exempli gratia, l’accidentata stradina che, con salti vistosi, conduce alla villetta del signor Manning (cfr. Speciale Tex n. 9, giugno 1996, pp. 61-70). È un’ambientazione altamente suggestiva che Magnus trasferisce, evidentemente, dalla sua donnafugata appenninica, così come fa con numerose altre ambientazioni. Però il sentiero da capre cozza con la sceneggiatura, la quale pretende non solo che il break a quattro ruote dell’impresario minerario lo discenda cautamente (il che ci potrebbe pure stare) ma che addirittura lo risalga al trotto furioso quando Manning è minacciato dalla setta dei vendicatori. Fatalmente sono gli scenari, tanto spesso, a prendere il sopravvento sulla trama narrativa intessuta dal buon Nizzi, costituendo il corpo di un’opera in cui la narrazione, questa volta, non può che essere completamento dello sviluppo grafico, protagonista incontrastato.

 

La sceneggiatura

Si è detto e scritto parecchio su questa sceneggiatura di Nizzi. Secondo alcuni fu una errore lasciare nelle mani di uno sceneggiatore non più al meglio un lavoro epocale quale quello che sarebbe uscito dalle mani di Magnus. Secondo altri Nizzi, in questa sua fatica, ha dato il meglio di sé, regalando al disegnatore scenari e suggestioni tutt’altro che banali e, seppure non originalissime né straordinarie, tutto sommato adeguate alle capacità espressive del disegnatore.

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C. Nizzi – Magnus, op. cit. Disegno in quarta di copertina

Nizzi senz’altro si avvide dell’altezza del compito assegnatogli e, per non sfigurare, chiese aiuto all’epica e al mito.
Il mito si lega alla riesumazione, fantasiosa e grandemente romanzata, della figura di John Sutter (Johann August Sutter, 1803-1880), pioniere ed avventuriero svizzero, fra i primi colonizzatori della California, sino agli eventi legati alla “corsa dell’oro”. La sceneggiatura di Nizzi regala al tratto di Magnus figure inquietanti e surreali, come quelle dei perfidi cinesi e dei canachi, i quali storicamente lavorarono, assieme ai nativi d’America, nel Sutter’s Fort, la fattoria utopistica che Sutter aveva concepito.
Avvalendosi del manuale non scritto del bravo narratore nazional popolare, Nizzi dipana i passaggi di un percorso narrativo assolutamente tipico nel resoconto avventuroso. Primo passo: un prologo crea la necessaria atmosfera di interesse e di suspense; secondo passo: è illustrato al lettore il contesto narrativo e sono presentati i maggiori personaggi; terzo passo: si svolgono le azioni che portano a una presunta prima risoluzione dell’avventura; quarto passo: la soluzione non era quella che si era data a intendere al lettore e quindi l’azione riprende con maggiore drammaticità ed enfasi sino al passaggio finale che in un tourbillon di avvenimenti porta alla definitiva conclusione della vicenda.
A enfatizzare la classicità della trama, Nizzi aggiunge anche un espediente tipico della narrazione popolare, ampiamente utilizzato nel feuilleton ottocentesco, e cioè la ricomparsa inattesa del personaggio chiave ritenuto erroneamente disperso in un disastro navale. Il pentolone in cui vengono mescolati gli ingredienti tipici del romanzo d’appendice non consegna una pietanza sgradevole ma piuttosto una citazione od omaggio del fumetto al suo antico e più diretto predecessore: il romanzo popolare ottocentesco.
Con tale furbesco escamotage Nizzi allontana questa sceneggiatura da meriti e demeriti personali che caratterizzano i suoi lavori e la demanda strumentalmente a una tradizione nazional popolare di cui Magnus, sedicente straccione, artigiano e operaio (vedi la rappresentazione grafica che fa di sé stesso proprio in questo lavoro: cfr Speciale Tex n. 9, giugno 1996, p. 60 e 244), risulta altissimo erede e seguace.

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C.Nizzi - Magnus, op.cit. - Autoritratto di Magnus, terza figura da destra.

La critica, in ragione della sceneggiatura dalle spiccate tendenze romanzesche, per certi aspetti distante dalle classiche avventure texiane, e, ovviamente, a causa del magniloquente segno grafico di Raviola, ha molto discusso sulla correttezza di inserire questo episodio fra le storie di Tex, propendendo nel considerarla un’eccezionale fuori serie. La particolarità della trama, del segno grafico e delle stesse fattezze e degli atteggiamenti del protagonista, collocano La valle del terrore in uno status particolare. Il lavoro di Magnus e Nizzi è stato ritenuto del tutto slegato dal continuum delle altre storie dell’eroe ideato da Gian Luigi Bonelli, una solitaria fuga in avanti, un omaggio al personaggio, però incoerente con gli stilemi e le modalità grafiche e narrative che sino a quel momento avevano contraddistinto il Tex comunemente letto e amato.

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Tex gigante n. 45

La tesi ha un proprio valore intrinseco, ma chi scrive ritrova, nell’avventura di Tex in quella valle tenebrosa, una forte continuità con le avventure classiche dell’eroe, anche con quelle degli anni ’50 e ’60, arricchite spudoratamente da Bonelli da arabeschi narrativi e suggestioni gotiche sfocianti in magnificati barocchismi. D’altra parte Nizzi, non celando le radici antiche su cui si drizza il proprio lavoro, prende ispirazione da un’avventura classica del Bonelli padre, che ripropone persino nel titolo variandolo solo di un sostantivo. Si tratta de La valle della paura, stampata nella Collana del Tex (formato a striscia) nel maggio del 1960, poi ristampata nella serie regolare (Tex gigante, n. 45) nel 1964, nell’albo dal titolo: La voce misteriosa. La storia racconta di un misterioso enorme scimmione che, armato di una scimitarra nera, a cavallo di un demoniaco stallone nero, terrorizza la popolazione della cittadina di Morelos, decapitando undici vittime prima dell’arrivo di Tex. Nelle sue indagini, il ranger scopre così, nel corso di un’avventura ricca di elementi misteriosi di ispirazione salgariana, che il gorillone non è un essere soprannaturale (come ritenevano oramai gli abitanti) ma è piuttosto il macabro travestimento di Juan Barrera, ricco allevatore locale, da tutti ritenuto immobilizzato su una sedia a rotelle. E invece Barrera è in pieno possesso delle sue forze fisiche, ma non di quelle mentali, al punto che, irretito dall’affascinante e misteriosa Mayumba e tormentato da una “voce misteriosa”, la quale nasce direttamente nel suo cervello e alimenta la sua follia, non può evitare, nelle notti più buie, di effettuare le sue scorribande travestito da “nero giustiziere”.

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Barrera e Mayumba (clicca per ingrandire)

Sono evidenti le consociazioni fra le due avventure. Mayumba è la figlia di un capotribù dei Dayaki, mitici tagliatori di teste del Borneo, cari a Salgari, che ha salvato la vita a Juan Barrera presso questi prigioniero.
Mayumba e My-Ling, la perfida cinese che ha così tanta influenza sul vecchio ed esasperato Sutter, sono i vertici di un chiasmo che alla sua base ha le figure dell’allevatore impazzito e dell’imprenditore elvetico.
In questo gioco di pendant possiamo collocare altre figure: Miranda, la figlia incolpevole di Barrera, trova l’esatta corrispondenza in Mina, figlia di Sutter.

Ma è l’intera atmosfera della primitiva storia bonelliana, ricca di misteri, esotismi e intrighi ad avere facile emulazione nella sceneggiatura di Nizzi, che si accosta all’arte del maestro con l’inevitabile affettazione di chi imita.

 

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My-Ling e Mina

 

 

In conclusione

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Speciale Tex n. 9, p. 244

E se, in conclusione di pezzo, deve essere doveroso rispondere alla domanda che lampeggiava nell’occhiello di questa mia analisi, e cioè se sia possibile un’analisi meditata e serena dell’ultimo lavoro di Magnus, allora la risposta non può che essere negativa, almeno da parte di chi scrive, tante e tali sono le emozioni che lo sguardo riceve dall’ammirare ancora l’immensità del lavoro di Magnus che annichilisce una critica che stralci le emozioni e lasci il raziocinio esclusivo dell’intelletto.

Le parole non sono bastevoli a descrivere e spiegare, occorre osservare, lasciarsi inviluppare nelle volute del tratto dell’artista bolognese e seguirle dalla prima all’ultima pagina, tralasciando (questa volta Claudio Nizzi ce lo consentirà) le trame e i balloon e percorrere solo le suggestioni grafiche che vi faranno precipitare nella California dell’Ottocento, anzi, no (ma che dico?), nei boschi di Castel del Rio.

 

Abbiamo parlato di:
Tex, La valle del terrore
testi di Claudio Nizzi, disegni di Magnus
Sergio Bonelli Editore, 1996
244 pagine, brossurato, bianco e nero – 7.500 L.

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