Il testamento Disney

Creato il 06 settembre 2013 da Povna @povna

Come aveva raccontato brevemente sulla strada del ritorno, la ‘povna al paese-che-casa ha letto un libro solo, Il testamento Disney – il romanzo (postumo) dell’Amico Scrittore.
La ‘povna, che era stata informata della data di uscita (29 di agosto) con anticipo, si era organizzata a modino, prima ancora di salire sul treno che la portava alla vacanza. E dunque, una settimana prima, aveva telefonato alla Libreria Millefoglie, storico posto di tanti suoi pomeriggi passati nel profumo della carta, nel paese-che-è-casa.
“Libreria Millefoglie, buon giorno”.
“Buon giorno, sono la ‘povna”.
“Ciao, ‘povna, quanto tempo… Sei arrivata, allora, ti posso essere utile?”.
“In realtà sono ancora nella piccola città, ma arrivo presto. E, a questo proposito, volevo dirvi…”.
E, in diretta telefonica, la ‘povna si è assicurata la prenotazione della sua copia cartacea per la settimana dopo.
Così, giovedì 29 agosto, la ‘povna si è unita alla spedizione giornaliera in paese, per giornali e incombenze, si è fatta lasciare all’angolo della chiesa a righe, è entrata alla Millefoglie e ne è uscita con il suo bottino.

Che cosa si può dire, di un romanzo (amatissimo) che si (ri)legge postumo, a tanti anni di distanza, quando tu ne eri stata (a puntate) uno degli evidenti narratari?
E’ possibile recensire qualcosa che conosci così bene, sotto pelle, e per la cui pubblicazione – ai tempi in cui il mondo editoriale ancora se ne strafregava, miope, di Zanotti – ti eri sbattuta così tanto?
Ci sono parole per esprimere la storia che ti ha portato, ancora inedita, a boicottare la narrativa italiana contemporanea, tutta, per molti e molti anni – fino a quando, a salvare l’Amico Scrittore dalle panie di una intellettuale noncuranza è intervenuto, deus-ex-machina, l’amico Alieno?
Le risposte sono “niente”, “no”, e “no”, rispettivamente. Ma la ‘povna ci prova lo stesso. Perché Il testamento Disney (“un romanzo senza confronti” – così recita in copertina il paratesto) è un libro che, molto semplicemente, vale la pena di far leggere e conoscere. Perché è, per lingua, stile, senso della trama e del romanzesco – ma anche, nello stesso tempo, spessore di cultura, Weltanshauung, riferimenti), una delle opere più belle che siano mai state scritte nella letteratura italiana contemporanea.
La storia (la ‘povna si ispira a questo sito, per riassumerla) è ambientata nei primi mesi del Duemila, a Genova. Lì vive un gruppo di amici prossimi alla “trentennificazione”. Non si tratta semplicemente di una combriccola di non-più-tanto-giovani a cui la realtà va un po’ stretta, ma di un vero e proprio Club, i cui membri riescono a trovare il proprio posto solo in un mondo di finzione e si sono dati nomignoli disneiani: Eta Beta, Gastone, Paperetta, Pluto. Ma il vero protagonista è Paperoga, la cui vita fatta di lavoretti saltuari, di un padre scomparso in mare e di una madre-medium professionista viene turbata dalla riapparizione, dopo tanto tempo, di Zenobia (Anna), che Paperoga ha amato e continua ad amare forsennatamente. Scomparsa nel nulla anni prima, mai creduta davvero morta anche se alcuni indizi porterebbero a credere il contrario, Zenobia ricompare come baluginando dagli interstizi delle leggende metropolitane e dei prodotti più banali della nostra cultura di massa: viene avvistata nei panni di una zingara che ruba i bambini, oppure intravista tramite fermo immagine in brevissime inquadrature di filmetti di serie C… Tutto il club si mette alla sua ricerca, in un proliferare di vicende e di ribaltamenti che incrinano tutte le certezze precedentemente acquisite, perché Anna è della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni e come tale guizza e riluce ovunque, e ovunque è assente.
L’ironia pseudo millenarista è uno degli elementi che caratterizza tutta la trama, sotto traccia: la delusione per un’apocalisse mancata (quella che avrebbe dovuto riscattare le vite dei protagonisti) diventa infatti il filo conduttore del sistema di coincidenze che li avvolge. Così, in una sola rete – insieme soggettiva e oggettiva – fatta di segni da decifrare, improvvise apparizioni, disperate (auto)ricerche di senso – rimangono avvolti tutti: Paperoga e i membri del Club, ovviamente; ma anche i personaggi di controscena e contorno (la madre, Ciccio, Basettoni e Manetta); e l’inafferabile Anna (co-protagonista dell’intera vicenda, e che – come quell’altra grande protagonista di un romanzo postumo – compare solo nella testa e nei sogni dei protagonisti; o in spezzoni di trasmissioni TV e filmetti, quel grande surrogato postmoderno dei sogni e serbatoio post-freudiano di un collettivo inconscio e immaginario). Ma non è solo questo: perché della rete fa parte anche, più generalmente, la struttura delle leggende metropolitane che costituisce la mappa privilegiata della caccia (ad Anna, ma anche più generalmente a un senso). Sotto la guida nerd (ante litteram, siamo pur sempre ancora in un’era di rete a banda stretta) di Eta Beta, gli amici del Club si lanciano infatti alla ricerca di urban legends che richiedono demistificazione e verifica – un repertorio virtualmente infinito e componibile, attraverso il quale i cinque amici (forse) cercano anche di (auto)costruirsi una forma casalinga di compensazione e riscatto per la appena subita delusione millenaria. Un’apocalisse fai-da-te, insomma, alla quale, con maggiore o minore consapevolezza, credono tutti quanti – e che dovrebbe portare a un’altrettanto autodidatta palingenesi del loro microcosmo (che è poi il tema sul quale, con grande auto-ironia e molte strade volutamente ancora aperte, terminano le storie raccontabili del libro).
Colpiscono, in un’atmosfera del genere, fatta di miraggi, stati di realtà alterati (da sonno, sogni, fate morgane, intossicazione mediatica), i richiami all’attualità, mai gratuiti – attraverso i quali alcuni eventi effettivamente cruciali del torno del millennio (uno per tutti, in quella città: il G8) vengono prima ricordati, e poi dipinti, in una evocazione potente e visionaria.
In mezzo, ci sono i riferimenti letterari (tanti): Walt Disney (e Carl Barks) sono i più evidenti (ovvio) – ma sono solo l’inizio. Perché il mondo degli anime e dei fumetti è maneggiato con ironica e raffinata (anche se assai profonda) conoscenza.
Poi Cortazar (Rayuela e Casa Tomada, se non altro); al Gioco del mondo si rifà anche, con ogni evidenza, il “Quaderno del futuro montaggio” – una sorta di tavola, oggettivante e sinottica, annotata dai membri del Club appunto in un Quaderno (del quale compaiono stralci all’interno del romanzo) e che dovrebbe fornire – a loro stessi e a possibili destinatari ignoti, ma in fondo già previsti (perché, se tutto è coincidenza, tutto è già stato scritto) – un giorno, arrivati alla fine di tutto, una possibile orientamento di comprensione e di lettura. Vi sono mari e isole, più o meno metaforiche, e quindi tanto Stevenson (ma anche il Verne addomesticato dell’infanzia, e pure un po’ Salgari); vi sono fantasmi (dickensiani, à la James ma anche vampireschi – e quindi compare anche, sotto traccia, un po’ di Le Fanu). C’è Calvino, anche questa volta (e Pin, ma anche Le città invisibili e Marcovaldo). Vi è il tema dell’urbanizzazione (e dunque della città reticolo: “Poste le città, il problema era come illuminarle” – si legge del resto in esergo): infatti alla questione dell’illuminazione della metropoli (Incanto e disincanto nella notte: sette quadri su letteratura e illuminazione cittadina) l’Amico Scrittore aveva dedicato un saggio che non sarebbe male rileggere, ricco come è di spunti e precedenti (la sua prosa saggistica è sempre stata anglicamente narrativa, del resto) di questo romanzo, successivo.
Non mancano infine richiami al romanzo precedente (nella pubblicazione), ma successivo (nella stesura): quel Bambini bonsai che, letto correttamente dopo il Testamento, ne costituisce la continuazione ideale e il complemento. Perché Pepe e Paperoga sono cugini, e molto si somigliano; mentre, sul coté femminile, l’immaginaria Anna si scinde in due figure comunque fantasmatiche (anche se concretamente reali).
Molto altro ci sarebbe da dire, su questo romanzo che davvero è – nella migliore incarnazione della definizione di Moretti – “opera-mondo”. La ‘povna però si ferma qui. Ché come invito alla lettura basta.

E con questo post partecipa, sperando davvero di avere invitato alla lettura tanti, al venerdì del libro.


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