Neapolis - I signori dei cavalli è un'opera su molte cose: sul ricordare l'antichità e la nobiltà della cavalleria in Campania, sull'esistenza di un popolo Campano accanto al Romano, al Sannita e al greco di Neapolis, ma è soprattutto un romanzo che mette a confronto lealtà e infedeltà.
Durante la prima parte della Seconda Guerra Punica si giostra la ribellione del popolo campano a Roma, un fatto talmente grave per l'Urbe da costituire una spina nel fianco dei Romani per un lungo tempo.
Si dirà che era naturale: Roma era una città dispotica, la capitale di un impero in crescita e poco disposta ad accettare che alcuna città ne sfidasse l'autorità, ma questo è un livello di conversazione che appiattisce del tutto la prospettiva storica, mettendo nello stesso calderone Impero Romano, schiavismo, latifondo, invasioni barbariche, Romolo e Remo e (ma sì, visto che ci troviamo…) Cartagine e Annibale. Un po' come se qualcuno di duemila anni nel futuro dicesse che nel mezzogiorno della Repubblica Italiana del 2015 c'è molta disoccupazione a causa dela dominazione spagnola
I miei romanzi aspirano chiaramente a essere l'opposto di queste semplificazioni da bar (stavo per scrivere “infantili”, poi ho pensato che i bambini conoscono la storia molto meglio di quanto ricordiamo noi adulti) che nulla aggiungono alla comprensione della nostra storia e della nostra terra.
Dunque Capua non era una nobile città che in nome della propria libertà librò un'impossibile guerra contro un iniquo oppressore? Vediamo i fatti.
Nel 218 a.C. Capua era la capitale della Campania, una Nazione che aveva da tempo stretto un foedus aequum (un'alleanza alla pari) con Roma. Era probabilmente anche la città più ricca d'Italia, perché la posizione centrale nella pianura campana, nei pressi del Volturno, a poca distanza dalla greca Neapolis e dalle montagne del Sannio, la rendevano uno snodo commerciale come pochi, punto di passaggio e di contatto tra innumerevoli civiltà. L'eccezionale fertilità del suolo campano faceva in modo che anche la produzione agricola avesse da offrire produzioni proprie e rinomate. In altri termini, Capua era la Milano dell'epoca, e anche qualcosa in più: più multiculturale, più colta (ricordiamo la lunga tradizione di contatti tra Osci e Greci e che l'Osco era al tempo insegnato più e meglio che il latino a Roma), più produttiva.
Mappa della Campania al termine del III sec. a.C.
Fonte: August Mau, Pompeii, Its Life and Art, 2013
C'era stata una Prima Guerra Punica, uno scontro con Siracusa, la conquista della Gallia Cisalpina, la guerra con la regina Teuta e i suoi pirati nell'Adriatico, e non tutte le guerre avevano arricchito economicamente Roma, sebbene ne avessero ampliato notevolmente la sfera di potere e influenza. Per quanto ciò possa suonare strano, va osservato che il potere di Roma, ciò che Roma intendeva conquistare ed espandere, non era di natura principalmente economica: l'economia neanche esisteva!
Certo, Roma imponeva pesanti tributi in argento ai nemici sconfitti. Certo, questi venivano poi costretti a supportare Roma con uomini e mezzi in caso di guerre e necessità, ma il danno economico o economicamente valutato era conseguenza, non obiettivo delle azioni di Roma. Ciò che Roma voleva era l'imposizione del suo imperium, parola che in epoca repubblicana non ha nulla a che vedere con la figura dell'imperator, anche perché quella carica era assente nell'ordinamento romano.
Per trovarla, dobbiamo rifarci ai più ostinati nemici di Roma su suolo italico, agli irriducibili Sanniti, che in caso di grave pericolo bellico eleggevano (dunque era una carica elettiva) un embratur, il cui compito era esclusivamente la conduzione della guerra.
L'imperium romano era altra cosa, era concetto militare e civile, la cui conduzione era affidata ai magistrati di ordine più elevato, come i consoli. Né esso era totale e assoluto: persino quando per un'emergenza si affidava l'imperium a un dittatore (carica che, lo ricordiamo, poteva durare al massimo sei mesi), i tribuni della plebe non erano soggetti al potere del dittatore!
Ciò i Romani organizzarono perché, dopo Tarquinio il Superbo, volevano evitare ad ogni costo che alcuno potesse godere di un potere assoluto e incontrastato e, al termine del III sec. a.C., accusare un Romano di aspirare a un simile potere era cosa da far ribollire il sangue persino a un tipo riflessivo come il Temporeggiatore (ma ora non voglio anticipare aneddoti narrati nel romanzo).
Questa statua di marmo di Quinto Fabio Massimo, opera di Joseph Baptist Hagenauer realizzata tra il 1773 e il 1780, fa mostra di sé nei Giardini Schönbrunn, a Vienna.
Fonte: Wikimedia Commons.
La prima domanda che dobbiamo porci è: quando cominciò ad essere evidente, questo sentimento? Quand'è che Capua dimostrò per la prima volta di essere ostile a Roma? La risposta sarà rivelatrice, e metterà nella giusta luce gli eventi narrati in Neapolis - I signori dei cavalli.
Mi accorgo però che solo questa breve introduzione ha richiesto molto più spazio di quanto avevo previsto, senza che accennassimo neanche ai protagonisti di questa storia, che approfondiremo nel prossimo post.