Non ci sono solo le tute blu di Pomigliano a vivere con inquietudine il proprio futuro. Il malessere si annida anche nel lavoro intellettuale. Un esempio è dato dai traduttori, quelli che riscrivono nella nostra lingua libri, documenti, saggi stranieri. La loro condizione è riassunta in una nota inserita nel sito www.traduttorisns.it/index.htm. Trattasi di donne e uomini che "lavorano anche nove ore al giorno, compresi i giorni festivi, pagano regolarmente le tasse allo Stato ma non hanno accesso ad alcuna forma previdenziale, assistenziale o di sostegno del reddito né godono di ferie pagate”. Quando firmano un contratto di lavoro "sono costretti a rinunciare in blocco ai propri diritti". Come si vorrebbe fare a Pomigliano, anticipando un disegno più ampio.
Vengono a galla, in questo mondo senza regole, anche vicende come quella raccontata da un gruppo di traduttori operanti per conto di una grande multinazionale. Una società che imponeva (gratuitamente) l'uso di uno strumento software proprietario per la maggior parte delle traduzioni richieste. Ecco però che nell’ottobre 2009 la multinazionale annuncia una svolta. I traduttori freelance dovranno servirsi di una piattaforma server basata sul principio “SaaS” (Software-as-a-Service). Insomma dovranno pagare tramite abbonamento il nuovo software. Con una beffa: più usi il software, più lavori e più paghi. La svolta provoca proteste. La multinazionale risponde sostenendo la modernità del nuovo metodo, come la possibilità di usarlo anche per committenti diversi. Ora è in corso un esperimento (gratuito) ma presto circa cento traduttori dovranno scegliere.
Si è passati, in questo settore, dalla stilografica al computer, dal vocabolario a programmi di traduzione automatica (ma bisognosi del cervello umano). Un progresso con effetti paradossali. In quest’ultima vicenda di traduttori e software innovativi
non c’è a stata alcuna contrattazione tra committente e fornitore. E’ lo stile Marchionne. Qui le proteste sono individuali e non promosse da un sindacato. Non c’è la Fiom dei traduttori. Così capita che "per poter fornire la propria collaborazione al datore di lavoro si è costretti a pagare, quando invece si dovrebbe solo essere pagati".
Nel sito citato si fa notare: "Non stiamo parlando di immigrati clandestini che lavorano in nero stipati in uno scantinato, ma di professionisti della scrittura che consentono all'editoria italiana di portare ogni mese in libreria e in edicola centinaia e centinaia di testi stranieri e incassarne i profitti... Migliaia di lavoratori sommersi la cui identità professionale resta nebulosa: né co.co.co né lavoratori atipici né liberi professionisti. Una categoria invisibile che vuole vedersi riconosciuti gli stessi diritti degli altri lavoratori".
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