Qualche settimana fa, sulle pagine dell’inglese Guardian, il giornalista economico di Channel 4 News Paul Mason ha proposto una lettura marxista della trama de Il Trono di Spade, cercando di prevederne i possibili sviluppi.
Il punto focale della tesi di Mason è che il mondo feudale raffigurato nella serie sia in inevitabile declino, soprattutto a causa del debito contratto dai sovrani nei confronti dei banchieri di Braavos, e che questo apra la strada a un sommovimento politico simile a quello vissuto in Europa fra Seicento e Settecento, con l’ascesa di una classe borghese desiderosa di libertà costituzionalmente garantite.
Tuttavia, poiché il feudalesimo e la percezione di una decadenza senza fine sono entrambi elementi essenziali alla buona riuscita della finzione fantasy, Mason pronostica che il medioevo riuscirà a protrarsi ancora per un po’ grazie alla scoperta di terre ricche di oro a ovest, come accadde alla monarchia spagnola alle soglie dell’epoca moderna.
Ora, c’è un piccolo problema nell’analisi marxista di Mason: non è neppure lontanamente marxista (anche se pare sia di gran moda nei Paesi anglosassoni sfornare letture “marxiste” di qualsiasi cosa, dai forum adolescenziali di MTV a Jurassic Park, dall’inno dei mondiali in Brasile ai libri di Harry Potter).
Tanto per capirci, nell’articolo non c’è nemmeno un riferimento al concetto di “lotta di classe”. D’altronde, anche il più ottimista dei materialisti storici avrebbe qualche imbarazzo nel considerare verosimile l’instaurazione di una repubblica socialista nei Sette Regni (sebbene siano nate pagine Facebook umoristiche a supporto di questo sogno, come i Comunisti per Daenerys Targaryen).
Se proprio vogliamo cercare (un po' per gioco, un po' seriamente) un’analogia economica, in particolare con il presente, Il Trono di Spade sembra in realtà mettere in scena un’allegoria dei nostri tempi, una rappresentazione metaforica del nuovo feudalesimo in cui viviamo.
A partire dalla crisi finanziaria scoppiata nel 2008, in America si è infatti diffusa l’espressione “nuovo feudalesimo”, o “neofeudalesimo”, per descrivere le crescenti disuguaglianze tra un’élite ristrettissima di super-nababbi, i nuovi lord, e il resto della popolazione, la nuova servitù della gleba: negli Stati Uniti, ad esempio, 400 persone posseggono una ricchezza superiore a quella di altri 185 milioni di cittadini americani; ma anche in Italia non siamo messi benissimo, visto che, durante la crisi, le dieci famiglie più ricche hanno accresciuto del 70% il loro patrimonio fino a detenere 98 miliardi di euro, cioè quanto possiede il 30% degli italiani più poveri.
Le conseguenze del nuovo feudalesimo, però, non sono limitate al campo economico, ma si riverberano anche sulla politica e sulla mentalità della gente, come ha ben illustrato il giornalista economico Paolo Gila, autore del saggio Capitalesimo. Il ritorno del Feudalesimo nell’economia mondiale.
Ma torniamo per un attimo a Game of Thrones. Qui i sovrani sono solo apparentemente dotati di un potere assoluto e smisurato, dal momento che l’autorità politica è tutt’altro che salda nelle redini di chi governa ad Approdo del Re: la capitale può ancora esercitare la sua funzione di centro unificante dei Sette Regni, ma, come la Parigi dei primi Capetingi, fatica a controllare i potenti vassalli sparpagliati su un vasto territorio.
In buona sostanza, non esiste davvero uno Stato nazionale, e il potere è così in mano a varie casate nobiliari, che gestiscono intere regioni come se fossero una loro proprietà personale.
Anche intorno a noi ci sono Lannister, Stark e Tyrell. Sono le multinazionali, corporation che non hanno più bisogno di identificarsi in uno Stato specifico, ma che operano in maniera transnazionale, scavalcando parlamenti e confini.
Lo Stato-nazione, così com’era nato nell’era moderna, si sta rapidamente disgregando: incapaci di governare i flussi economici ormai globalizzati, gli Stati-nazione cedono progressivamente la loro sovranità a organismi sovranazionali, spesso non eletti e dunque antidemocratici, una sorta di nuovo Sacro Romano Impero della finanza e del mercato; al contempo, in senso contrario, fervono spinte localistiche per una maggiore delega delle prerogative statali a favore delle regioni, come a voler recuperare i piccoli principati che punteggiavano l’Europa medievale.
I Ramsay Bolton della nostra epoca sono le grandi banche che, per lucrare miliardi di dollari, manipolano i tassi da cui dipende l’ammontare della rata del nostro mutuo, restando però, di fatto, impunite, nonostante le multe salatissime comminategli: infatti, «le grandi società per azioni spalmano le multe nei loro bilanci, scaricandole sugli azionisti e in ultima istanza sui clienti attraverso aumenti di prezzi, commissioni e interessi», scrive Federico Rampini in Banchieri. Storie dal nuovo banditismo globale.
Come ha rivelato un recente sondaggio anonimo condotto tra top manager, trader e banchieri americani, i lupi di Wall Street, uno su cinque fra loro confessa di violare la legge per avere successo.
I nuovi Signori feudali aspirano a restaurare le vecchie corti di giustizia premoderne, quelle in cui un lord poteva essere giudicato solo da un suo pari: ecco così comparire l’ipotesi, nelle segretissime carte dell’accordo commerciale fra Usa e Europa (il Ttip), di tribunali sovranazionali presso cui le corporation possano far causa direttamente agli Stati se ritengono di esserne state danneggiate.
Nel neofeudalesimo il welfare state diventa improvvisamente un lusso, una voce di spesa troppo costosa per essere mantenuta. Sanità, pensioni, trasporti, servizi: il pubblico lascia sempre di più la gestione al privato.
Ne Il Trono di Spade Cersei Lannister, la cui ultima preoccupazione è dirottare il denaro del reame dai festeggiamenti matrimoniali dei figli ai poveri della capitale, stringe un’alleanza strategica con i fanatici religiosi dell’Alto Passero, che fanno opera di carità presso gli indigenti e che, in un certo senso, assomigliano a certi ordini cavallereschi medievali (Ospitalieri, Templari), nati per l’assistenza ai pellegrini e poi evolutisi in organizzazioni militari.
Oggi, istituzioni benefiche private come quella di Bill Gates (il cui fondo è di circa 43 miliardi di dollari) dispongono di risorse superiori a quelle di molti Stati nazionali e, con il beneplacito dei governi, lieti di sottrarsi all’incombenza di provvedere ai bisogni dei cittadini, sembrano replicare le iniziative caritatevoli degli ordini medievali. Nemmeno l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ad esempio, è riuscita a eguagliare gli 800 milioni donati dal fondatore della Microsoft fra il 2008 e il 2012 per la lotta alla malaria (1).
Non c’è poi nulla di più feudale dell’ossessione del neoliberismo, la dottrina economica imperante da trent’anni a questa parte, per lo smantellamento dello Stato a favore del libero mercato.
Nel 1987, nel corso di un’intervista, Margaret Thatcher sostenne che la società non esiste e che esistono solo gli individui, uomini e donne, e le famiglie. Nel mondo sognato dai neoliberisti, quindi, lo Stato, cappa oppressiva per l’intraprendenza del big business, trasferisce i propri poteri ai padri di famiglia e ai datori di lavoro. La democrazia si svuota, a vantaggio di un ripiegamento nella dimensione tutta feudale del privato.
Il mondo sognato dai neoliberisti è quello delle antiche fiere medievali, quando i mercanti potevano minacciare le autorità locali di spostare il loro prospero mercato altrove se le condizioni offerte dalla città non fossero state convenienti.
È un mondo del tutto sbilanciato a favore dei nuovi Signori: se la società non esiste, se cioè non esiste un corpo collettivo i cui interessi contrastanti giungono a un compromesso in istituzioni rappresentative come il parlamento nazionale, allora le persone si riducono ad atomi abbandonati e isolati, in un riedizione, fin troppo concreta, del gioco dei troni, in cui o si vince o si muore.
Le funzioni della società vengono quindi delegate all’individuo, a cui si chiede di essere imprenditore di sé stesso. Così anche la ricerca del lavoro diventa un fatto privato. Sei disoccupato? Vuol dire che è colpa tua. Questo dicono i neoliberisti. Pensate forse che Cersei Lannister non sarebbe d’accordo?
In Game of Thrones c’è in effetti una sovrarappresentazione dei ceti alti. Nessuno dei personaggi che seguiamo – e sono tanti – è di estrazione umile. Sono re, principi, nobildonne, regine, cavalieri di lignaggio elevato. Persino fra i Guardiani della Notte, dove dovremmo trovare i reietti della società, non facciamo che imbatterci in nobili, seppur caduti in disgrazia. Quando compaiono, i poveri o sono fedeli servitori dei loro signori, o sono raffigurati in masse di schiavi sfruttati e di rozzi plebei sempre inclini alla rivolta violenta.
Nonostante sia nel loro interesse rovesciare lord sanguinari come i Lannister o i Bolton, gli umili non salgono mai sul palcoscenico. I sovrani, anche i più benevoli come Daenerys Targaryen, tengono a bada le folle con il tipico pensiero magico medievale: draghi, fanatismo religioso, tutti elementi che all’inizio delle serie erano relegati a fossili dei secoli andati, irrompono nuovamente sui due continenti.
Oggi, invece, nonostante numerosi studiosi abbiano osservato in Occidente un ritorno a credenze premoderne e superstiziose o a nuove forme di religiosità, non è tramite il pensiero magico che i nuovi Signori conservano e accrescono la propria posizione, ma tramite il marketing, la grande fabbrica dei sogni.
I partiti stessi non ne sono rimasti immuni: gli elettori sono come clienti, sottoposti a sondaggi sempre più frequenti per testarne i “gusti” e orientare così le politiche pubbliche o le svolte ideologiche. Parallelamente crescono in tutti i Paesi la disaffezione dal sistema e l’astensionismo, mentre la partecipazione attiva alla politica è divenuta appannaggio dei ricchi (nel Congresso americano la maggior parte dei deputati è milionaria).
Gli umili, intanto, si ritraggono nella sfera privata, lasciando le luci della ribalta, come in GoT, ai nuovi feudatari.
E, chissà, magari è proprio questa una delle ragioni del successo de Il Trono di Spade e dei fantasy medievali: descrivono una realtà che, forse, non è così distante da quella in cui viviamo.
Jacopo Di Miceli @twitTagli
(1) Paolo Gila, Capitalesimo. Il ritorno del Feudalesimo nell’economia mondiale, Bollati Boringhieri, Torino 2013.