Dignità: fondamento o espediente? Se per Cicerone era una dote che dovevano possedere un discorso ben fatto e, di conseguenza, un oratore, per Tommaso d’Aquino è l’attributo di tutti gli esseri viventi – piante comprese – che hanno ricevuto una giusta collocazione nel Creato. Hobbes distingue il suo valore da quello più quantificabile del prezzo, così come Kant, per il quale diventa una caratteristica intrinseca e incommensurabile dell’umanità. Schiller invece la definisce come “tranquillità nella sofferenza”.
Il libro di Michael Rosen Dignità. Storia e significato è un interessante excursus e una riflessione sulle sfumature di un termine che ha assunto nel tempo una importanza sempre maggiore, fino a diventare ai giorni nostri uno dei temi più discussi dell’etica e della vita civile.
Non è un caso che il concetto di dignità inizi a imporsi nel periodo del secondo dopoguerra: il suo legame con il diritto è stato sancito per la prima volta nel Preambolo della Carta delle Nazioni Unite del 1945, poi nella Dichiarazione generale dei diritti umani delle Nazioni Unite e nella Costituzione della Repubblica Federale Tedesca. Dopo la furia e gli orrori del Secolo breve, si avverte la necessità di proteggere dalla violenza più efferata l’uomo dall’uomo. È qui che la dignità esce da un contesto più attinente al sacro (l’uomo essere “degno” perché creato a immagine e somiglianza di Dio) e acquista anche una valenza etica e giuridica.
La riflessione di Rosen si sofferma in particolare su due poli: da una parte il pensiero di Kant il quale, con l’affermazione che gli uomini devono essere sempre considerati come fini e mai come mezzi, la colloca al centro del discorso etico; dall’altra l’evoluzione della dignitas nella visione della Chiesa cattolica, che la collega prima al rango e alla gerarchia sociale, fino ad arrivare all’interpretazione di Giovanni Paolo II che ne fa il cardine dell’inviolabilità della vita umana.
Oltre all’excursus storico, il volume offre le basi per orientarsi nel dibattito contemporaneo, il cui carattere pluralista fa sì che il riferimento alla dignità venga utilizzato in contesti a volte contrastanti: è il caso della lettera che il presidente iraniano Ahmadinejad inviò ad Angela Merkel nel 2006 in cui confutava l’Olocausto considerandolo un ‘alibi’ per tenere soggiogata la Germania, affermando al tempo stesso che “è responsabilità comune di tutte le persone che hanno fede in Dio difendere il valore e la dignità umana”. O ancora delle controversie sull’eutanasia e l’aborto, temi molto sentiti nel nostro Paese.
Le implicazioni della dignità nella vita umana possono anche avere carattere più prosaico, come nel caso della pratica del “lancio del nano”, ripresa nel recente film The Wolf of Wall Street, che ha un precedente storico: la battaglia legale di Manuel Wackenheim, a cui le autorità francesi vietarono, contro la sua stessa volontà, di essere lanciato in una competizione che si era diffusa tra gli affezionati frequentatori di un locale. Come si vede, se tutti almeno in apparenza sembrano essere d’accordo sulla necessità di salvaguardare il valore della dignità, la definizione e l’applicazione pratica di questo concetto risulta non essere né banale né scontata.
Marco Cecchini