I valori di riferimento comunemente usati per definire normale il numero delle piastrine, cellule fondamentali per la coagulazione del sangue, sono compresi tra un minimo di 150mila e un massimo di 400mila (450mila in alcuni casi) per microlitro di sangue. Ma questi valori non rispecchiano la realtà. Uno studio condotto da un consorzio scientifico italiano ha dimostrato l’esistenza di una grande variabilità tra la popolazione. Quei limiti, attualmente uguali per tutti, dovrebbero essere rivisti per adattarsi alle differenze esistenti tra uomini e donne e tra giovani, adulti e anziani, mettendo in conto anche le aree geografiche italiane.
La ricerca ha preso in esame 40mila 987 persone in differenti parti del nostro Paese, alcune piuttosto ampie mentre altre concentrate in zone in cui c’è poco scambio con l’esterno e dove gli abitanti si sposano molto spesso con persone della stessa area, portando a creare un patrimonio genetico uniforme e ben distinto dalle altre zone.
«Ciò che abbiamo osservato – spiega Carlo Balduini, direttore del Dipartimento di Medicina interna del Policlinico San Matteo di Pavia – è che esistono variazioni importanti nel numero delle piastrine». Le donne hanno mediamente un numero più alto di piastrine rispetto agli uomini. Ma anche l’età è importante: negli anziani, infatti, si nota una diminuzione progressiva delle piastrine, nei ragazzi al di sotto dei 15 anni, invece, il numero è decisamente più alto, senza che si notino differenze tra uomini e donne. Infine differenze significative sono state riscontrate tra le diverse aree del territorio italiano.
«Crediamo – continua Balduini – che sia giunto il tempo di pensare ad una migliore definizione dei limiti di normalità per le piastrine del sangue. I valori usati in laboratorio oggi possono andare bene per l’età adulta, nella quale non vediamo molta differenza con i numeri da noi riscontrati. Dove le differenze si notano maggiormente è soprattutto nel caso di bambini e anziani. Ridisegnando i valori di riferimento secondo l’età e il sesso avremo una minore medicalizzazione delle persone e una maggiore precisione nelle diagnosi».