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di Renato Pierri. Sul blog “Come Gesù” del sacerdote e scrittore Mauro Leonardi, una monaca di clausura mi scrive: «Il mio prossimo più prossimo è la sorella che mi vive accanto e nella misura in cui io la “incontro” posso arricchire la mia vita e essere in comunione con Dio… E il prossimo che sta fuori? E’ per lui che io ho scelto di vivere più vicino a Dio, di amare Dio anche per lui, di essergli vicino con la preghiera, di camminare con lui incontro a Dio”. Ed ecco la mia risposta: « L’amore per il prossimo tra le mura di un monastero, è solo pura astrazione.
Quando il Signore disse agli apostoli: “Se dunque io, il Signore e il maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri”, certamente non voleva dire (sarebbe sciocco pensarlo) che Pietro dovesse “lavare i piedi” a Giovanni, Giacomo a Tommaso, e via di seguito reciprocamente: “Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso” (Lc 6,32).
La monaca di clausura si è preclusa la possibilità di passare per la strada del malcapitato percosso dai briganti (parabola di Luca), si è preclusa la possibilità di incontrare i lebbrosi che incontrava Francesco, di andare a trovare l’infermo o il carcerato (Mt 25, 35ss). Però rimedia così: “E’ per lui che io ho scelto di vivere più vicino a Dio… “. Il che significa: col malcapitato, con l’infermo, col carcerato, siano gli altri a “sporcarsi” le mani, io penso a loro stando vicino a Dio… . Evangelico? Non direi. Francesco stava vicino a Dio più delle monache di clausura, e la mani se le sporcava. Francesco era in piena sintonia col vangelo».
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